Consulta: il convivente di fatto rientra nell’impresa familiare

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Con la pronuncia n. 148 del 25 luglio la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionali gli articoli 230-bis, terzo comma, e 230-ter, del codice civile, in ambito di impresa familiare, per includervi l’operatività anche verso il convivente di fatto.

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Indice

1. La questione: disciplina impresa familiare al convivente di fatto


Le Sezioni unite civili della Corte di cassazione avevano sollevato questioni di legittimità costituzionale della disciplina dell’impresa familiare nella parte ove il convivente more uxorio non era incluso nel novero dei familiari.

2. Conviventi di fatto


Per l’art. 1, comma 36, della legge cd. Cirinnà, sono “due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale”.

3. Il mutamento dei tempi


La Consulta ha accolto le questioni rilevando che, nell’attuale società, vi è stata una convergente evoluzione sia della normativa nazionale che della giurisprudenza costituzionale, comune ed europea, che ha riconosciuto piena dignità alla famiglia composta da conviventi di fatto.

4. Diritti fondamentali indipendentemente dal “matrimonio”


Restano le differenze di disciplina rispetto alla famiglia fondata sul matrimonio, ma quando rilevano diritti fondamentali, questi devono essere riconosciuti a tutti senza distinzioni, in particolare il diritto al lavoro e alla giusta retribuzione, diritto che, per la Consulta, nel contesto di un’impresa familiare, richiede uguale tutela, versando pure il convivente di fatto, come il coniuge, nella stessa situazione ove la prestazione lavorativa deve essere protetta, rischiando altrimenti di essere inesorabilmente attratta nell’orbita del lavoro gratuito.

5. Affetti e lavoro


Sembra proprio che, quando si tratta di ambito lavorativo, le qualifiche e i titoli non contano: “Ma anche il convivente more uxorio versa nella stessa situazione in cui l’affectio maritalis fa sbiadire l’assoggettamento al potere direttivo dell’imprenditore, tipico del lavoro subordinato, e la prestazione lavorativa rischia di essere inesorabilmente attratta nell’orbita del lavoro gratuito. Si smarrisce così l’effettività della protezione del lavoro del convivente che, in termini fattuali, non differisce da quello del lavoro familiare prestato da chi è legato all’imprenditore da un rapporto di coniugio, parentela o affinità”.

6. Il convivente “entra” nell’impresa familiare


La Corte ha ritenuto, per l’effetto, irragionevole la mancata inclusione del convivente di fatto nell’impresa familiare.

7. Illegittimità consequenziale al 230-ter c.c.


All’estensione della tutela apprestata dall’art. 230-bis del codice civile al convivente di fatto è conseguita l’illegittimità costituzionale dell’art. 230-ter del codice civile il quale, nell’attribuire al medesimo una tutela ridotta, non inclusiva del riconoscimento del lavoro nella famiglia, del diritto al mantenimento, e dei diritti partecipativi nella gestione dell’impresa familiare, comporta un ingiustificato e discriminatorio abbassamento di protezione.

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