Abusi edilizi: ingiunzione a demolire dopo decenni non viola principio di proporzionalità

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La Corte di Cassazione, con sentenza n. 28545 del 16 luglio 2024, ha chiarito che, in tema di abusi edilizi, l’ingiunzione a demolire dopo decenni non viola il principio di proporzionalità.

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Corte di Cassazione – Sez. III Pen. – Sent. n. 28545 del 16/07/2024

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Indice

1. I fatti

La Corte di appello di Palermo quale giudice dell’esecuzione, ha respinto la richiesta di revoca o di sospensione dell’ingiunzione alla demolizione adottato dal Procuratore generale della Repubblica presso la predetta Corte nei confronti dell’imputato, nonché la declaratoria di estinzione per prescrizione dell’ordine di demolizione dell’immobile abusivo contenuto nella sentenza del Gip della Pretura circondariale di Palermo emessa in data 30/05/1995.
Avverso tale ordinanza, è stato proposto ricorso per Cassazione denunciando violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al “principio di proporzionalità” e al lasso temporale intercorso fra la data di irrevocabilità della sentenza che ordinava la demolizione dell’immobile e la notificazione dell’ingiunzione a demolire.
In particolare, il ricorrente lamentava che la Corte territoriale non aveva considerato che la demolizione, a causa del considerevole lasso temporale intercorso fra la notifica dell’ingiunzione e la sentenza che l’aveva disposta, doveva essere considerata come sanzione penale e, quindi, soggetta alla disciplina della prescrizione per il decorso del tempo.
Il ricorrente ha fatto richiamo anche del principio della giurisprudenza CEDU secondo cui “l’ordine di demolizione per un abuso edilizio costituisce, con certezza, sanzione penale allorquando la sua esecuzione intervenga a distanza di numerosi anni a far data dall’accertamento del fatto“.
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2. Abusi edilizi ed ingiunzione a demolire dopo decenni: l’analisi della Cassazione

La Corte di Cassazione, nel dichiarare inammissibile il ricorso, osserva che l’ordinanza impugnata riprende principi ormai consolidati in sede di legittimità, tra i quali la natura di sanzione amministrativa dell’ordine di demolizione del manufatto abusivo disposto con la sentenza del giudice penale cui consegue l’inapplicabilità dell’estinzione della misura per il decorrere del tempo prevista per le sanzioni penali dall’art. 173 cod. pen.
Per ciò che concerne, invece, il principio della giurisprudenza CEDU richiamato dal ricorrente, la Corte sottolinea che “ai fini dell’affermazione della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ha preso in considerazione il tempo trascorso tra la data della contestazione dell’illecito edilizio da parte dell’autorità di polizia e la decisione finale della Corte di Cassazione, pari a quasi nove anni, e non anche l’ulteriore periodo maturato tra questa decisione e la demolizione del manufatto“.
Ulteriori pronunce sono state poste dalla Corte a confutazione dell’argomento difensivo prospettante l’illegittimità dell’ordine di demolizione per effetto dello sproporzionato arco temporale intercorso tra la sua messa in esecuzione e la scoperta dell’illecito”, mettendo in evidenza che l’obbligo di provvedere alla demolizione incombeva, in prima battuta, sul condannato.

3. La decisione della Cassazione

Alla luce di quanto finora esposto, la Corte di Cassazione ha osservato che le svariate pronunce al riguardo rivelano l’errore di fondo in cui è incorso il ricorrente che ha ritenuto che la violazione della ragionevole durata del processo fosse da parametrare all’arco temporale intercorso fra il passaggio in giudicato della sentenza di condanna e la notifica dell’ingiunzione a demolire.
Inoltre, la Suprema Corte ha sottolineato che le sentenze della Corte EDU richiamate dal ricorrente sono tutte relative a ritardi nell’attuazione di provvedimenti favorevoli al privato mentre, nel caso di specie, la sentenza rimasta inattuata è di condanna e gli eventuali ritardi nella fase esecutiva, peraltro ancora non configurabili, da computarsi tenendo in considerazione la data di promovimento dell’incidente di esecuzione e quella di definizione, non potranno non tenere conto del vantaggio goduto dal condannato che ha continuato a usufruire dell’immobile abusivo.
Ad avviso della Corte, “non si vede come l’ingiunzione contestata, adottata dopo oltre vent’anni dalla sentenza di condanna nei confronti dell’autore dell’abuso, rimasto da allora, senza mai ricercare sistemazioni alternative, all’interno della costruzione a tre piani edificata in zona vincolata senza autorizzazione alcuna e in spregio al vincolo di sequestro imposto dall’autorità giudiziaria, possa, alla luce di quanto innanzi esposto, violare il principio di proporzionalità invocato dal ricorrente“.
Per questi motivi, la Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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