La Corte di Cassazione, con sentenza n. 30583 del 25 luglio 2024, ha fornito chiarimenti in merito all’applicabilità della misura dell’obbligo di dimora in luogo della più afflittiva misura degli arresti domiciliari.
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Indice
1. I fatti
Il Tribunale di Milano ha accolto l’appello proposto dal Pubblico ministero contro l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Como con cui era stata adottata, nei confronti dell’indagato, la misura dell’obbligo di dimora in luogo di quella degli arresti domiciliari che era stata sollecitata dalla pubblica accusa in presenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di truffa aggravata ai sensi dell’art. 640, comma 2, n. 2-bis cod. pen.
Per l’effetto, in riforma del provvedimento del Gip, è stata applicata la misura degli arresti domiciliari con relative prescrizioni accessorie.
Avverso tale provvedimento è stato proposto ricorso per Cassazione dall’indagato con il quale si sono contestati i criteri di scelta della misura ed il giudizio di sussistenza di esigenze tali da non poter essere adeguatamente tutelate con il ricorso a misure meno afflittive.
Ad avviso del ricorrente, i giudici dell’appello cautelare non hanno tenuto conto della giovane età dell’indagato e del suo stato di incensuratezza, incentrando, invece, la motivazione sulle modalità della condotta e sulla mancata individuazione di complici.
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Formulario Annotato del Processo Penale
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2. Obbligo di dimora e pericolo di recidiva: l’analisi della Cassazione
La Corte di Cassazione, nel dichiarare inammissibile il ricorso, osserva che, pur avendo il Pubblico ministero chiesto l’adozione della misura degli arresti domiciliari nei confronti dell’indagato, il Giudice per le indagini preliminari ha, infine, giudicato sufficiente a contenere le esigenze cautelari il ricorso alla meno gravosa misura dell’obbligo di dimora nel Comune di residenza.
Tuttavia, l’appello proposto dal Pubblico ministero ha sollevato l’inadeguatezza di tale misura non detentiva a fronteggiare il pericolo di recidiva, considerato il comportamento e la negativa personalità dell’indagato che, dopo la richiesta di misura, era stato denunziato dal NORM di Lecco in quanto gravemente indiziato di un’altra truffa in danno di un’anziana con modalità simili a quelle del fatto per cui si procede.
Di qui, secondo i giudici di merito, la fondatezza delle considerazioni svolte dal Pm “in ordine alla necessità di applicare una misura cautelare che impedisca all’indagato la libertà di muoversi e di avere rapporti con terzi soggetti incriminati sul territorio, non potendosi ritenere sufficiente l’applicazione della misura dell’obbligo di dimora“.
3. La decisione della Cassazione
Alla luce di quanto finora esposto, la Suprema Corte di Cassazione ha ribadito che “il testo dell’art. 274, comma 1, lett. b) e c) cod. proc. pen., risultante dalle modifiche apportate dalla legge n. 47 del 2015, se non consente di desumere il pericolo di fuga e di recidiva esclusivamente dalla gravità del titolo di reato per il quale si procede, non osta alla considerazione, ai fini cautelari, della concreta condotta perpetrata e delle circostanze che la connotano, in quanto la modalità della condotta e le circostanze di fatto in presenza delle quali essa si è svolta restano concreti elementi di valutazione imprescindibili per effettuare una prognosi di probabile ricaduta del soggetto nella commissione di ulteriori reati“.
Per questi motivi, la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e una somma di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende.
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