Traffico di influenze illecite: rileva anche solo la conclusione dell’accordo

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La Corte di Cassazione, con sentenza n. 31598 del 1 agosto 2024, ha fornito chiarimenti in merito alla conclusione dell’accordo nel delitto di traffico di influenze illecite.

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Corte di Cassazione – Sez. VI Pen. – Sent. n. 31598 del 01/08/2024

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Indice

1. I fatti

La Corte di appello di Catanzaro ha confermato la sentenza con cui l’imputato è stato condannato per il delitto di traffico di influenze illecite perché, sfruttando e vantando relazioni esistenti presso pubblici ufficiali o comunque incaricati di pubblico servizio presso un Comune e un’azienda, giovandosi della sfera di influenza derivante dalla carica di assessore allo sport si faceva promettere e otteneva diverse utilità.
Avverso tale decisione, è stato proposto ricorso per Cassazione affidato ad un unico motivo con cui si è dedotta violazione di legge e vizio di motivazione quanto al giudizio di responsabilità.
Nello specifico, è stato osservato che, nella specie, le relazioni sarebbero state effettive e non esclusivamente vantate.
La Corte di appello, investita da motivi specifici relativi alla qualificazione giuridica del fatto, non avrebbe affrontato la questione e avrebbe “omesso di confermare l’applicazione della norma previgente elaborando varie declinazioni sulla materialità (sfruttamento e vanteria) dell’attuale formulazione dell’art. 346-bis cod. pen.“.
Inoltre, il ricorrente ha aggiunto che vi sarebbe stata solo una promessa di mediazione che, però, non sarebbe riconducibile alla norma incriminatrice.

2. Traffico di influenze illecite e conclusione dell’accordo: l’analisi della Cassazione

La Corte di Cassazione, nel dichiarare il ricorso inammissibile, evidenzia, sotto un primo profilo, come, in ragione del tempo di commissione del reato, il tema relativo ai rapporti tra il traffico di influenze illecite nel testo vigente dopo le modifiche apportate alla fattispecie dalla legge 9 gennaio 2019, n. 3 e quello di millantato credito non assume rilievo.
I fatti sono stati correttamente ricondotti da entrambi i Giudici di merito al delitto di cui all’art. 346-bis cod. pen. nel testo originario introdotto con la legge 6 novembre 2012, n. 190 e la pena è stata determinata da entrambi i giudici di merito facendo riferimento a tale normativa.
Ne consegue, ad avviso della Suprema Corte, che nessuna valenza assume il tema, su cui a lungo si è soffermato il ricorrente, della continuità normativa tra il “nuovo” art. 346-bis cod. pen. nella parte in cui attribuisce rilievo anche alle relazioni asserite e il “vecchio” art. 346, comma 2, cod. pen., nella parte in cui detta norma faceva riferimento al “pretesto di dover comprare il favore di un pubblico ufficiale“.
Per quanto riguarda il resto, si configurava un reato-accordo e una tutela marcatamente anticipata, rispetto a condotte realmente pericolose per i beni del buon andamento o dell’imparzialità dell’attività amministrativa.
Si volle punire, con questo delitto ostacolo, il pre-accordo corruttivo o comunque prodromico ad altre condotte antigiuridiche che rientrano nella sfera di competenza di un soggetto pubblico che potrebbe, però, restare del tutto all’oscuro dell’altrui pattuizione illecita, in quanto neppure avvicinato dal trafficante di influenza.
Quanto alla c.d. mediazione onerosa, quella cioè in cui la prestazione del committente costituisce solo il corrispettivo per la mediaizone illecita promessa dall’intermediario nei confronti del pubblico agente, l’utilità corrisposta dall’acquirente dell’influenza non è diretta, neppure in parte, a retribuire il pubblico agente, bensì costituisce il prezzo per l’intercessione promessa dal “faccendiere”.
La Corte sottolinea che “la mediazione onerosa è illecita in ragione della proiezione esterna del rapporto dei contraenti, dell’obiettivo finale dell’influenza compravenduta, nel senso che la mediazione è illecita se è volta alla commissione di atto contrario ai doveri di ufficio o comunque favorevole e non dovuto, idoneo a produrre vantaggi al committente“.

3. La decisione della Cassazione

Alla luce di quanto finora esposto, la Corte di Cassazione ha affermato che i giudici di merito hanno fatto corretta applicazione dei principi indicati, ricostruendo i fatti e valutando prove, chiarendo i rapporti esistenti tra i soggetti della questione.
Per questi motivi, la Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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