La Corte di Cassazione, con sentenza n. 33252 del 28 agosto 2024, ha fornito chiarimenti in merito alle condizioni necessarie per la preclusione del beneficio dei permessi premio.
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Indice
1. I fatti
Il Tribunale di sorveglianza di Sassari ha rigettato il reclamo proposto dal condannato avverso il provvedimento con cui il Magistrato di sorveglianza ha dichiarato l’inammissibilità della richiesta di fruizione di un permesso premio.
Il beneficio è stato ritenuto precluso ai sensi dell’art. 58, commi 5 e 7, legge 26 luglio 1975, n. 354, ai sensi dei quali “l’assegnazione al lavoro all’esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione previste dal capo VI non possono – per un periodo di cinque anni dal momento in cui è ripresa l’esecuzione della custodia o della pena – essere concessi o, se già concessi, sono revocati ai condannati per taluni delitti indicati nei commi 1, 1-ter e 1-quater dell’articolo 4-bis, nei cui confronti si procede o è pronunciata condanna per un delitto doloso punito con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni, commesso da chi ha posto in essere una condotta punibile a norma dell’articolo 385 del codice penale ovvero durante il lavoro all’esterno o la fruizione di un permesso premio o di una misura alternativa alla detenzione“.
È stato segnalato che il ricorrente, già condannato per una precedente evasione, ha commesso altro reato doloso peraltro consumato in occasione di fruizione di permesso premio.
Avverso l’ordinanza è stato proposto ricorso per Cassazione con il quale è stata eccepita violazione di legge ascrivendo al Tribunale di sorveglianza di avere offerto una fallace interpretazione della legge.
Nello specifico, la preclusione quinquiennale aveva cominciato a decorrere dal 2017 e, quindi, dovrebbe essere venuta meno nel 2022, in epoca precedente alla proposizione della richiesta di permesso premio.
Inoltre, viene specificato che la commissione del successivo reato è collocabile dopo lo spirare del permesso premio e non in circostanza della sua fruizione.
2. Permessi premio e preclusione: l’analisi della Cassazione
La Corte di Cassazione, nel dichiarare fondato il ricorso, osserva che la questione controversa attiene all’applicazione, nei confronti del ricorrente, quale soggetto ristretto per reato c.d. “ostativo”, della più rigorosa previsione dei commi 5 e 7 dell’art. 58-quater l. cit., che estende a cinque anni la durata della preclusione nei riguardi dei condannati di cui al paragrafo precedente.
Il tema è stato affrontato dalla giurisprudenza di legittimità che ha interpretato il dettato normativo nel senso che “la sottoposizione del richiedente alla più ampia preclusione sancita dai commi 5 e 7 dell’art. 58-quater postula, tra l’altro, che il condannato sia indagato o imputato o sia stato dichiarato responsabile di un delitto per cui sia edittalmente prevista la pena della reclusione non inferiore, nel massimo, a tre anni che secondo quanto contestato o accertato, sia stato commesso in costanza di evasione o durante la fruizione del lavoro esterno, di un permesso premio o di una misura alternativa“.
Tanto, specifica la Corte, in ragione del più intenso disvalore delle condotte illecite la cui commissione è stata favorita dalla contingente condizione di libertà dell’agente, arbitrariamente sottrattosi a provvedimenti detentivi o ammesso, per effetto di un provvedimento dell’autorità al lavoro esterno, ad un permesso premio o ad una misura alternativa alla detenzione.
3. La decisione della Cassazione
Alla luce di quanto finora esposto, la Corte di Cassazione ha ritenuto che, nel caso in esame, il Tribunale di sorveglianza non si sia conformato al principio testé enunciato, trascurando che la ratio dell’intervento normativo risponde all’esigenza di sanzionare con maggior rigore le condotte criminose che abbiano tratto occasione dalla transitoria libertà di movimento del soggetto che, già autore di reati di gravità tale da giustificare la sottoposizione ad un più severo trattamento penitenziario, si è reso protagonista di una condotta di evasione oppure è stato ammesso al lavoro esterno, ad un permesso premio o ad una misura alternativa alla detenzione.
Ad avviso della Suprema Corte, l’enucleazione, all’interno dei comportamenti criminosi commessi dal condannato per reato c.d. “ostativo”, di quelli che impongono una moratoria quinquennale sull’ammissione a permessi premio o misure alternative, deve essere, quindi, compiuta secondo l’indirizzo ermeneutico che ha inteso ribadire, in ragione, tra l’altro, della concomitanza tra la condizione di evaso e l’illecito e non già della mera qualificazione ai sensi dell’art. 385 cod. pen. del reato cui consegue la preclusione.
Per questi motivi, la Corte ha imposto l’annullamento dell’ordinanza impugnata con conseguente rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Sassari.
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