La Corte di Cassazione, con sentenza n. 33435 del 3 settembre 2024, ha chiarito che, in tema di misure alternative alla detenzione, il giudice deve valutare autonomamente il percorso rieducativo del condannato.
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Indice
1. I fatti
Il Tribunale di sorveglianza di Caltanissetta ha dichiarato l’inammissibilità della richiesta di applicazione delle misure alternative alla detenzione dell’affidamento in prova al servizio sociale, della detenzione domiciliare e della semilibertà, con riferimento alla pena di anni sette e mesi due di reclusione in ordine ai reati di produzione, traffico e detenzione illecita di sostanze stupefacenti e associazione finalizzata al traffico di tali sostanze, ai sensi degli artt. 73 e 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
Nello specifico, il Tribunale di sorveglianza ha evidenziato che l’istanza non poteva essere presa in considerazione, posto che il condannato non aveva ancora espiato la pena relativa al reato associativo, ostativo alla concessione delle misure alternative alla detenzione, ai sensi dell’art. 4-bis, l.n. 354 del 26 luglio 1975.
Avverso tale ordinanza, è stato proposto ricorso per Cassazione affidato a due motivi: inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento agli artt. 4-bis e 50, comma 2, ord. pen., perché il Tribunale di sorveglianza avrebbe omesso di rilevare che il ricorrente aveva già espiato due terzi della pena inflitta, utile ai fini dell’applicazione della misura alternativa della semilibertà; vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata, perché il giudice di merito avrebbe omesso di considerare che, in tema di misure alternative alla detenzione in favore di un soggetto condannato per i reati ostativi c.d. di prima fascia ex art. 4-bis ord. pen., per effetto delle modifiche apportate dal d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, non assume rilievo decisivo la collaborazione con l’Autorità giudiziaria, essendo ormai demandato al giudice la valutazione del percorso rieducativo del condannato e dell’assenza di collegamenti, attuali e potenziali, con la criminalità organizzata.
2. Misure alternative alla detenzione: l’analisi della Cassazione
La Corte di Cassazione, nel dichiarare fondato il ricorso, osserva che il Tribunale di sorveglianza avrebbe dovuto applicare l’art. 4-bis, comma 1-bis, ord. pen. che permette la concessione dei benefici penitenziari ai condannati per reati ostativi rientranti nella corrispondente prima fascia “anche in assenza di collaborazione con la giustizia“.
La Suprema Corte, a tal proposito, riprende un consolidato principio di diritto secondo il quale, in tema di misure alternative alla detenzione in favore di soggetto condannato per reati ostativi definiti di prima fascia,per effetto delle modificazioni apportate all’art. 4-bis ord. pen. con il d.l. n. 162 del 2022 cit., “non assume rilievo decisivo la collaborazione con l’autorità giudiziaria, ma è demandata al giudice, alla luce della mutata natura della presunzione – divenuta relativa – di mantenimento dei collegamenti con l’organizzazione criminale, la valutazione del percorso rieducativo del condannato e dell’assenza di collegamenti, attuali o potenziali, con la criminalità organizzata e con il contesto mafioso, mediante gli ampliati poteri istruttori di cui all’art. 4-bis, comma 2, cit.“.
3. La decisione della Cassazione
Alla luce di quanto finora esposto, la Corte di Cassazione ha affermato che il Tribunale avrebbe dovuto svolgere la valutazione del percorso rieducativo del condannato tenuto conto, inoltre, degli elementi familiari e lavorativi indicati nella memoria depositata al Tribunale di sorveglianza ed allegati al ricorso.
Nel caso di specie, questo non è accaduto e, per questi motivi, la Corte ha imposto l’annullamento con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Caltanissetta dell’ordinanza impugnata.
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