La durata della mediazione civile e commerciale alla luce della riforma Cartabia: termini ed effetti

Carlo Lunghi 01/10/24
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La riforma Cartabia ha rivoluzionato la durata della mediazione civile e commerciale, ponendo nuovi interrogativi sulla natura del termine di sei mesi e sugli effetti sulla prescrizione e decadenza dei diritti. Questo articolo offre un’analisi approfondita e rigorosa di queste tematiche cruciali, esplorando le implicazioni pratiche per gli operatori del diritto. Scopri come conciliare efficienza procedurale e tutela degli interessi delle parti in un contesto giuridico in evoluzione. Per approfondimenti sul tema, consigliamo il pratico volume “Formulario commentato del Nuovo Processo civile 2024”.

Indice

1. La mediazione e la riforma Cartabia


La mediazione civile e commerciale è uno strumento fondamentale nel sistema giuridico italiano per la risoluzione alternativa delle controversie. Con l’entrata in vigore della riforma Cartabia (decreto legislativo n. 149 del 10 ottobre 2022), sono state apportate modifiche significative, in particolare riguardo alla durata massima del procedimento di mediazione.
Questo articolo si propone di analizzare le implicazioni di questa nuova previsione, concentrandosi su tre aspetti principali:

  • Natura del termine: esaminare se il termine sia perentorio o ordinatorio e le conseguenze giuridiche di tale qualificazione.
  • Volontà delle parti: valutare il ruolo dell’autonomia delle parti nel proseguire la mediazione oltre il termine stabilito.
  • Effetti sulla prescrizione e decadenza: analizzare come la durata della mediazione influisca sull’interruzione e la ripresa dei termini prescrizionali.

L’obiettivo è fornire un quadro chiaro e sintetico delle questioni emergenti, offrendo riflessioni critiche e prospettive giurisprudenziali per gli operatori del diritto. Per approfondimenti sul tema, consigliamo il pratico volume “Formulario commentato del Nuovo Processo civile 2024”.

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2. La mediazione civile e commerciale nel quadro normativo italiano


La mediazione è stata introdotta nel sistema giuridico italiano con il decreto legislativo n. 28 del 4 marzo 2010, in attuazione della direttiva 2008/52/ce. Essa mira a offrire un’alternativa efficace e rapida al contenzioso giudiziario, promuovendo la risoluzione amichevole delle controversie e riducendo il carico dei tribunali.
Caratteristiche fondamentali della mediazione:

  • Volontarietà e obbligatorietà: la mediazione può essere scelta liberamente dalle parti o essere obbligatoria come condizione di procedibilità in specifiche materie, come previsto dalla legge.
  • Riservatezza: le informazioni e le dichiarazioni rese durante la mediazione sono confidenziali e non possono essere utilizzate in eventuali procedimenti giudiziari successivi.
  • Flessibilità: il procedimento è caratterizzato da informalità e adattabilità, consentendo alle parti di modellare l’accordo secondo le proprie esigenze e interessi.

La riforma Cartabia ha introdotto ulteriori innovazioni per rendere il procedimento di mediazione più efficiente e incisivo, tra cui la definizione di termini temporali per la sua conclusione, con l’obiettivo di prevenire dilatazioni eccessive dei tempi e favorire una risoluzione tempestiva delle controversie.

3. La riforma Cartabia: novità sulla durata della mediazione


La riforma Cartabia ha introdotto una serie di modifiche volte a rendere più efficiente il procedimento di mediazione. Una delle novità più rilevanti riguarda la durata massima del procedimento, stabilita in tre mesi, prorogabili di ulteriori tre mesi su accordo scritto delle parti.

4. Il cambiamento del testo


Testo normativo attuale
L’analisi normativa del termine massimo di sei mesi per la conclusione del procedimento di mediazione, introdotto dalla riforma Cartabia (d.lgs. N. 149/2022), richiede un esame approfondito delle disposizioni legislative pertinenti.
L’articolo 6 del d.lgs. N. 28/2010, come modificato dalla riforma, stabilisce che:
Il procedimento di mediazione ha una durata non superiore a tre mesi, prorogabile di ulteriori tre mesi dopo la sua instaurazione e prima della sua scadenza con accordo scritto delle parti.
2. Il termine di cui al comma 1 decorre dalla data di deposito della domanda di mediazione o dalla scadenza del termine fissato dal giudice per il deposito della stessa e, anche nei casi in cui il giudice dispone il rinvio della causa ai sensi dell’articolo 5, comma 2, ovvero ai sensi dell’articolo 5-quater, comma 1, non è soggetto a sospensione feriale.
3. Se pende il giudizio, le parti comunicano al giudice la proroga del termine di cui al comma 1.

Nuovo testo art. 6
in base alle disposizioni integrative e correttive al D. Lgs. 10 ottobre 2022 n. 149. in corso di pubblicazione G.U.
Ancora da pubblicare in Gazzetta Ufficiale.
Art. 6
Durata
Il procedimento di mediazione ha una durata di sei mesi, prorogabile dopo la sua instaurazione e prima della sua scadenza, fermo quanto previsto dal comma 2, per periodi di volta in volta non superiori a tre mesi.
Quando il giudice procede ai sensi dell’articolo 5, comma 2, o dell’articolo 5-quater, comma 1, il procedimento di mediazione ha una durata di sei mesi, prorogabile dopo la sua instaurazione e prima della sua scadenza, per una sola volta, di ulteriori tre mesi.
Il termine di durata del procedimento di mediazione non è soggetto a sospensione feriale. Il predetto termine nel caso di cui al comma 1 decorre dalla data di deposito della domanda di mediazione e, nel caso di cui al comma 2, decorre dalla data di deposito dell’ordinanza con la quale il giudice adotta i provvedimenti previsti dall’articolo 5, comma 2 o dall’articolo 5-quater, comma 1.
La proroga ai sensi dei commi 1 e 2 risulta da accordo scritto delle parti allegato al verbale di mediazione o risultante da esso. Nei casi di cui al comma 2, le parti comunicano al giudice la proroga del termine mediante produzione in giudizio dell’accordo scritto o del verbale da cui esso risulta.
Il nuovo articolo 6 della normativa sulla mediazione stabilisce chiaramente una durata iniziale di sei mesi per il procedimento di mediazione. Questo periodo può essere prorogato per ulteriori tre mesi, ma è importante notare che tale proroga può essere concessa solo se le parti coinvolte raggiungono un accordo scritto. Tuttavia, un aspetto significativo da evidenziare è che, per le mediazioni obbligatorie che vengono avviate prima dell’apertura di un giudizio, non esiste un limite massimo esplicito riguardo alla durata. Questo implica che queste tipologie di mediazione possono continuare senza un termine definito, a seconda delle necessità specifiche delle parti coinvolte e della complessità della controversia che stanno cercando di risolvere.
D’altra parte, la normativa offre una prospettiva diversa per quanto riguarda le mediazioni che sono delegate dal giudice. In questo caso, la legge sembra stabilire un termine massimo di sei mesi, che può essere prorogato una sola volta per ulteriori tre mesi. Questa distinzione tra mediazioni obbligatorie e quelle delegate dal giudice è particolarmente logica e sensata. Infatti, quando le parti si trovano già in contenzioso e hanno avviato un procedimento di mediazione, è molto probabile che abbiano una maggiore comprensione e conoscenza della questione in discussione. Questo è dovuto al fatto che hanno già affrontato le fasi precedenti del processo legale, raccogliendo informazioni e preparando le loro argomentazioni.
Tuttavia, è importante notare che anche il nuovo termine di sei mesi per le mediazioni delegate potrebbe essere considerato di natura ordinatoria e non perentoria. Questo significa che, pur essendo indicato un termine massimo, le parti potrebbero avere la possibilità di proseguire la mediazione oltre il limite previsto, se concordano di farlo. L’assenza di sanzioni specifiche per il superamento di questo termine suggerisce che il legislatore non intendeva creare rigidità, ma piuttosto favorire la flessibilità e l’autonomia delle parti nella gestione della loro controversia.
Pertanto, l’imposizione di un termine temporale massimo per le mediazioni che sono state delegate dal giudice è una misura utile per garantire una maggiore efficienza e rapidità nella risoluzione delle controversie. Questa misura è particolarmente importante per evitare che il procedimento di mediazione si protragga oltre misura, specialmente in situazioni in cui le parti hanno già un quadro chiaro della loro posizione e dei punti specifici in discussione. In sintesi, la normativa sulla durata della mediazione cerca di trovare un giusto equilibrio: da un lato, si intende permettere una risoluzione flessibile e prolungata delle controversie per le mediazioni obbligatorie; dall’altro, si punta a garantire che le mediazioni delegate dai giudici avvengano in un arco di tempo ragionevole. Questo approccio mira a sostenere l’efficacia della mediazione come strumento di risoluzione alternativa delle controversie, senza compromettere la tempestività e l’efficienza necessarie per un buon funzionamento del sistema giuridico.
Tuttavia, entrambe le formulazioni non prevedono espressamente sanzioni per il superamento del termine complessivo di sei mesi/ nove mesi. In particolare, non vi è alcuna disposizione che qualifichi il termine come perentorio o che disponga l’improcedibilità della successiva azione giudiziale in caso di sua violazione.
Secondo i principi generali del diritto processuale civile italiano, la natura perentoria o ordinatoria dei termini è disciplinata dagli articoli 152, 153 e 154 del codice di procedura civile (c.p.c.):
Art. 152 i termini per il compimento degli atti del processo sono stabiliti dalla legge; possono essere stabiliti dal giudice anche a pena di decadenza, soltanto se la legge lo permette espressamente.
Art.153 i termini perentori non possono essere abbreviati o prorogati, nemmeno sull’accordo delle parti.
Art. 154 il giudice, prima della scadenza, può abbreviare o prorogare, anche d’ufficio, il termine che non sia stabilito a pena di decadenza. La proroga non può avere una durata superiore al termine originario. Non può essere consentita proroga ulteriore, se non per motivi particolarmente gravi e con provvedimento motivato la parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile può chiedere al giudice di essere rimessa in termini. Il giudice provvede a norma dell’articolo 294, secondo e terzo comma
Applicando questi principi, in assenza di una espressa qualificazione legislativa del termine di sei mesi come perentorio, si dovrebbe ritenere che esso abbia natura ordinatoria.
Inoltre, l’assenza di sanzioni specifiche per il superamento del termine suggerisce che il legislatore non abbia inteso attribuire al termine una natura perentoria. Se il legislatore avesse voluto stabilire conseguenze giuridiche per il mancato rispetto del termine, avrebbe potuto prevedere espressamente sanzioni quali l’improcedibilità o la decadenza.

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5. Giurisprudenza


Data la recente introduzione della riforma Cartabia, non esiste ancora una giurisprudenza consolidata che si sia espressa specificamente sulla natura del termine per la mediazione. Tuttavia, è possibile fare riferimento a precedenti interpretazioni giurisprudenziali riguardanti termini procedurali analoghi nel contesto della mediazione e di altri procedimenti alternativi di risoluzione delle controversie.
Precedenti giurisprudenziali sulla natura dei termini in mediazione
La giurisprudenza italiana ha, in passato, affrontato la questione della natura dei termini relativi al procedimento di mediazione, soprattutto in relazione al termine iniziale di tre mesi previsto dal d.lgs. N. 28/2010 prima della riforma.
Si è affermato che i termini previsti per la mediazione hanno natura ordinatoria, in assenza di una espressa qualificazione come perentori e di sanzioni specifiche per il loro superamento.
I tribunali di prima istanza in prevalenza hanno fino ad adesso ritenuto che il termine di tre mesi per la conclusione della mediazione fosse ordinatorio, permettendo alle parti di proseguire oltre tale termine senza pregiudicare la validità del procedimento.
Principi generali della giurisprudenza sui termini processuali
La giurisprudenza italiana ha consolidato alcuni principi riguardanti la qualificazione dei termini processuali:

  • Presunzione di ordinarietà dei termini: in linea con l’art. 152 c.p.c., i termini sono generalmente considerati ordinatori, salvo espressa indicazione contraria.
  • Finalità del termine: se il termine è posto a tutela di un interesse pubblico o per garantire la celerità del processo, è più probabile che venga considerato perentorio. Tuttavia, se il termine serve prevalentemente gli interessi delle parti e la loro autonomia negoziale, tende ad essere interpretato come ordinatorio.
  • Assenza di sanzioni esplicite: la mancanza di sanzioni specifiche per il superamento del termine rafforza l’interpretazione della sua natura ordinatoria.

6. Applicazione al termine di sei mesi della mediazione


Applicando questi principi al termine introdotto dalla riforma Cartabia:

  • Assenza di qualificazione espressa: la legge non dichiara espressamente il termine come perentorio.
  • Mancanza di sanzioni specifiche: non sono previste conseguenze giuridiche dirette, come l’improcedibilità, per il superamento del termine.
  • Valorizzazione dell’autonomia delle parti: la mediazione è un procedimento che valorizza la volontà delle parti e la loro capacità di autodeterminazione nella risoluzione della controversia.

Pertanto, si può ragionevolmente sostenere che, in base ai precedenti giurisprudenziali e ai principi generali, il termine abbia natura ordinatoria.

7. Dottrina


Anche la dottrina giuridica tende a sostenere la natura ordinatoria dei termini nella mediazione, sottolineando l’importanza di non ostacolare la funzione conciliativa del procedimento.

  • Gli studiosi hanno evidenziato che una rigida qualificazione dei termini come perentori potrebbe compromettere l’efficacia della mediazione, disincentivando le parti dal proseguire nella ricerca di un accordo amichevole.
  • La dottrina processualcivilistica sottolinea che i termini processuali devono essere interpretati in modo da favorire la realizzazione del diritto sostanziale e la tutela effettiva degli interessi delle parti.

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8. Conclusioni sull’analisi normativa e giurisprudenziale


Alla luce dell’analisi normativa e giurisprudenziale, si può concludere che:

  • Natura ordinatoria del termine: in assenza di una qualificazione espressa e di sanzioni specifiche, il termine per la conclusione della mediazione dovrebbe essere considerato ordinatorio.
  • Prevalenza della volontà delle parti: la prosecuzione della mediazione oltre il termine stabilito, su accordo delle parti, non dovrebbe pregiudicare la validità del procedimento né l’ammissibilità della successiva azione giudiziale.
  • Necessità di chiarimenti futuri: data la mancanza di giurisprudenza consolidata post-riforma, sarà importante monitorare le future pronunce dei tribunali e della corte di cassazione per verificare come verrà interpretata la natura del termine.

Possibili orientamenti giurisprudenziali
Sulla questione post-riforma, si possono ipotizzare due possibili orientamenti:
Interpretazione restrittiva (termine perentorio):
Argomentazioni: il termine è stabilito per garantire la celerità del procedimento e prevenire abusi.
Conseguenze: il superamento del termine comporterebbe l’improcedibilità della successiva azione giudiziale, in quanto la condizione di procedibilità non sarebbe stata soddisfatta nei tempi previsti.
Interpretazione estensiva (termine ordinatorio):
Argomentazioni: l’assenza di sanzioni esplicite e di una qualificazione come perentorio suggerisce la natura ordinatoria del termine. La valorizzazione dell’autonomia delle parti e della finalità conciliativa della mediazione supportano questa interpretazione.
Conseguenze: le parti possono proseguire la mediazione oltre il termine di sei mesi senza pregiudicare l’ammissibilità della successiva azione giudiziale.
Bilanciamento degli interessi
È fondamentale bilanciare:
L’esigenza di certezza e celerità: garantire che le controversie siano risolte in tempi ragionevoli per evitare pregiudizi e abusi.
La finalità conciliativa della mediazione: favorire la risoluzione amichevole delle controversie, rispettando la volontà delle parti e la loro autonomia negoziale.
È prevedibile che, nei prossimi anni, la giurisprudenza si esprimerà più compiutamente sulla questione, tenendo conto di:

  • L’intento del legislatore: le future interpretazioni potrebbero cercare di cogliere l’intento del legislatore nel fissare un termine massimo, bilanciando l’esigenza di efficienza con la flessibilità propria della mediazione.
  • Principio di effettività della tutela giurisdizionale: i giudici potrebbero privilegiare interpretazioni che non precludano l’accesso alla giustizia, evitando soluzioni che portino a decadenze o improcedibilità non espressamente previste dalla legge.
  • Comparazione con altri ordinamenti: si potrebbe anche guardare alle esperienze di altri ordinamenti giuridici europei, dove la mediazione è ampiamente utilizzata, per trarre spunti interpretativi.

Implicazioni per gli operatori del diritto
In attesa di orientamenti giurisprudenziali più chiari, gli avvocati e i mediatori dovrebbero:

  • Agire con prudenza: considerare la possibilità che alcuni giudici possano interpretare il termine come perentorio, adottando le necessarie precauzioni per evitare pregiudizi ai propri assistiti.
  • Informare le parti: spiegare ai clienti i potenziali rischi e le incertezze interpretative, in modo che possano prendere decisioni consapevoli.
  • Monitorare gli sviluppi giurisprudenziali: tenersi aggiornati sulle pronunce dei tribunali per adeguare la propria prassi professionale.

In sintesi, l’analisi normativa e giurisprudenziale attuale suggerisce una natura ordinatoria del termine di sei mesi per la conclusione della mediazione, in assenza di una qualificazione espressa e di sanzioni specifiche. Tuttavia, data la novità della normativa e l’assenza di giurisprudenza consolidata post-riforma, permane un margine di incertezza che richiede attenzione e prudenza da parte degli operatori del diritto.

9. Il ruolo della volontà delle parti nel procedimento di mediazione


La mediazione si basa sulla volontarietà e collaborazione tra le parti:
Autonomia contrattuale
Accordo tra le parti: se le parti concordano nel proseguire la mediazione oltre i sei mesi, ciò riflette l’esercizio della loro autonomia.
Principio di conservazione degli atti: il giudice tende a favorire la sostanza sull’aspetto formale, privilegiando l’accordo raggiunto dalle parti.
Limitazioni alla discrezionalità giudiziale
Rispetto della volontà delle parti: un giudice dovrebbe difficilmente andare contro un accordo tra le parti volto a risolvere la controversia.
Finalità della mediazione: favorire la composizione amichevole è un interesse superiore riconosciuto dal legislatore.

10. Effetti sulla prescrizione e decadenza: interruzione e riapertura dei termini


Un altro aspetto cruciale riguarda gli effetti della mediazione sulla prescrizione:
Effetto interruttivo: la domanda di mediazione interrompe la prescrizione una sola volta.
Durata dell’effetto: l’interruzione permane per tutta la durata della mediazione.
Ripresa della prescrizione
Decorrenza dei termini: al termine della mediazione, i termini di prescrizione riprendono a decorrere.
Implicazioni del superamento dei sei mesi: se la mediazione si protrae oltre i sei mesi, potrebbe sorgere il dubbio se la prescrizione rimanga interrotta.
Ratio legis
Prevenire abusi: la previsione di un termine massimo mira a evitare che la mediazione sia utilizzata per dilazionare indebitamente i tempi.
Tutela dell’efficienza: garantire che le controversie siano risolte in tempi ragionevoli.

11. Riflessioni critiche e prospettive giurisprudenziali


Interpretazioni potenziali dei giudici
La natura giuridica del termine massimo per la conclusione del procedimento di mediazione, come introdotto dalle riforme e dai correttivi, rappresenta un nodo interpretativo di notevole rilevanza. L’analisi si concentra sulla possibilità che i giudici possano qualificare tale termine come perentorio o ordinatorio, con conseguenze sostanziali sull’ammissibilità delle domande giudiziali successive.
Improcedibilità per superamento del termine
Un’interpretazione rigorosa potrebbe portare alcuni giudici a considerare il termine di sei mesi come perentorio, in base al dettato normativo dell’art. 6 del d.lgs. N. 28/2010, modificato dalla riforma Cartabia. La norma stabilisce che la procedura di mediazione  ha una durata massima di tre mesi, prorogabili di ulteriori tre mesi su accordo scritto delle parti. Questa formulazione potrebbe essere interpretata come indicativa della volontà legislativa di attribuire natura perentoria al termine.
In particolare la nuova riformulazione dell’art.6 secondo comma sulle mediazioni delegate.
Sostenendo questa posizione, il superamento del termine comporterebbe l’improcedibilità della domanda giudiziale, in quanto la condizione di procedibilità non sarebbe stata soddisfatta nei tempi previsti. Tale interpretazione trova fondamento nei principi generali del diritto processuale civile, secondo cui il mancato rispetto dei termini perentori comporta decadenze processuali.
Inoltre, questa lettura sarebbe coerente con la ratio legis della riforma, volta a garantire la celerità e l’efficienza del procedimento di mediazione, evitando che esso si trasformi in uno strumento dilatorio o di abuso del processo.
Accoglimento della volontà delle parti
In contrapposizione, un’altra corrente interpretativa potrebbe sostenere che il termine di sei mesi sia ordinatorio, valorizzando la centralità della volontà delle parti nel procedimento di mediazione. Questa posizione si fonda sul principio di autonomia negoziale (art. 1322 c.c.) E sulla natura consensuale della mediazione, la cui efficacia dipende in larga misura dalla collaborazione e dalla libera determinazione delle parti coinvolte.
Secondo questa prospettiva, qualora le parti concordino di proseguire la mediazione oltre il termine di sei mesi, il giudice dovrebbe rispettare tale volontà, consentendo la prosecuzione del procedimento. Ciò sarebbe giustificato dalla finalità primaria della mediazione di promuovere la composizione amichevole delle controversie, obiettivo che verrebbe frustrato da un’interpretazione troppo rigida dei termini.
Inoltre, l’art. 152 c.p.c. Prevede che i termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, salvo che la legge stessa li dichiari espressamente perentori. Poiché la norma sulla mediazione non qualifica espressamente il termine come perentorio, si potrebbe argomentare a favore della sua natura ordinatoria.
Implicazioni pratiche: Sicurezza giuridica
L’incertezza interpretativa riguardo alla natura del termine di sei mesi / nove mesi può generare insicurezza tra gli operatori del diritto. Avvocati, mediatori e parti coinvolte potrebbero trovarsi in difficoltà nel comprendere le conseguenze del superamento del termine, con il rischio di incorrere in decadenze o improcedibilità inattese.
Questa situazione potrebbe minare la fiducia nel sistema di mediazione, ostacolando l’efficacia della riforma e la diffusione della cultura della risoluzione alternativa delle controversie. La mancanza di orientamenti chiari potrebbe inoltre portare a prassi applicative difformi nei diversi tribunali, compromettendo l’uniformità e la prevedibilità delle decisioni giudiziarie.
Necessità di chiarimenti normativi
Alla luce delle possibili divergenze interpretative, sarebbe auspicabile un intervento chiarificatore a livello normativo o giurisprudenziale. Il legislatore potrebbe modificare la norma per specificare espressamente la natura perentoria o ordinatoria del termine, eliminando ogni ambiguità.
In alternativa, pronunce della corte di cassazione potrebbero fornire indirizzi interpretativi volti ad uniformare l’applicazione della norma e garantendo maggiore certezza del diritto. Anche le linee guida o le circolari ministeriali potrebbero contribuire a orientare gli operatori del settore.

12. Riflessioni


La durata massima della mediazione fissata dalla riforma Cartabia solleva questioni interpretative significative riguardo alla natura del termine, al ruolo della volontà delle parti e agli effetti sulla prescrizione. Mentre da un lato vi è l’esigenza di evitare abusi e dilazioni indebite, dall’altro è fondamentale rispettare l’autonomia delle parti e l’obiettivo primario della mediazione: la risoluzione amichevole delle controversie.
È auspicabile che la giurisprudenza adotti un approccio equilibrato, considerando il termine di sei mesi come ordinatorio e valorizzando la volontà delle parti di proseguire la mediazione oltre tale limite. Allo stesso tempo, è cruciale che gli operatori del diritto siano consapevoli dei potenziali rischi legati alla prescrizione, adottando le necessarie cautele.
In definitiva, la sfida consiste nel conciliare l’efficienza procedurale con la flessibilità necessaria per favorire accordi condivisi, garantendo al contempo la certezza del diritto e la tutela degli interessi delle parti coinvolte.
Effetti sulla prescrizione
La durata della mediazione ha implicazioni dirette sugli effetti interruttivi della prescrizione. L’art. 5, comma 6, del d.lgs. N. 28/2010 prevede che la domanda di mediazione interrompe la prescrizione, ma tale interruzione opera una sola volta e per la durata del procedimento.
Se si considera il termine di sei mesi come perentorio, al suo scadere la mediazione dovrebbe ritenersi conclusa, con la conseguenza che la prescrizione riprenderebbe a decorrere. Le parti potrebbero quindi rischiare di perdere il diritto per prescrizione, qualora non attivino tempestivamente l’azione giudiziaria.
Questo scenario impone particolare attenzione nelle controversie soggette a termini prescrizionali brevi. La mancata consapevolezza del decorso dei termini potrebbe avere effetti pregiudizievoli irreversibili.
Responsabilità degli avvocati
Gli avvocati hanno un ruolo cruciale nel monitorare i termini di prescrizione e nell’assicurare la tutela dei diritti dei propri assistiti. Devono valutare con attenzione se, in prossimità del termine di sei mesi, sia opportuno procedere giudizialmente per evitare di incorrere in prescrizioni o decadenze anche se la mediazione è ancora in corso, si pensi al caso di impugnativa della delibera condominiale.
La negligenza nel gestire tali aspetti potrebbe comportare responsabilità professionale per colpa grave, con possibili richieste di risarcimento danni da parte dei clienti. È quindi essenziale che i legali informino adeguatamente le parti sui rischi connessi e adottino le misure necessarie per prevenirli.
Ratio legis e prevenzione di abusi
La fissazione di un termine massimo per la durata della mediazione risponde all’esigenza di evitare che il procedimento venga utilizzato in modo strumentale per dilatare i tempi e ritardare l’accesso alla giustizia. Senza un limite temporale, una delle parti potrebbe prolungare indefinitamente la mediazione, pregiudicando il diritto dell’altra parte a una decisione definitiva.
Tuttavia, un’applicazione eccessivamente rigida del termine potrebbe contrastare con la finalità conciliativa della mediazione, soprattutto in controversie complesse che richiedono tempi più lunghi per la negoziazione. È necessario quindi bilanciare l’esigenza di efficienza processuale con quella di favorire accordi sostanzialmente equi e condivisi.

13. Conclusioni


Le questioni sollevate riguardo alla durata della mediazione e ai suoi effetti sulla procedura e sulla prescrizione richiedono un’attenta riflessione da parte della dottrina e della giurisprudenza. Un approccio equilibrato e consapevole è fondamentale per garantire l’efficacia della mediazione come strumento di risoluzione delle controversie, tutelando al contempo i diritti delle parti e la certezza del diritto.
La durata massima della mediazione fissata dalla riforma Cartabia ed in particolare la nuova formulazione dell’art. 6 secondo comma sulle mediazioni delegate rappresenta un elemento innovativo che può contribuire a rendere più efficiente il sistema di risoluzione delle controversie. Tuttavia, le questioni interpretative emerse evidenziano la necessità di un approfondimento dottrinale e di un confronto giurisprudenziale per garantire una corretta applicazione delle norme.
È essenziale che il legislatore, la giurisprudenza e gli operatori del diritto collaborino per:

  • Chiarire gli aspetti controversi: fornire indicazioni chiare sulla natura del termine di sei mesi e sugli effetti sulla prescrizione.
  • Garantire la tutela dei diritti: assicurare che le parti possano usufruire dei benefici della mediazione senza rischiare la decadenza dei propri diritti.
  • Promuovere la certezza del diritto: evitare incertezze interpretative che possano minare la fiducia nel sistema giuridico e nella mediazione stessa.

In definitiva, la sfida consiste nel conciliare l’efficienza procedurale con la flessibilità necessaria per raggiungere accordi condivisi, garantendo al contempo la certezza del diritto e la tutela effettiva degli interessi delle parti coinvolte. Solo attraverso un approccio equilibrato e consapevole sarà possibile realizzare pienamente le potenzialità della mediazione come strumento centrale nel panorama giuridico italiano.

Carlo Lunghi

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