Chiudere i porti, alzare muri, spedire i migranti altrove: in Europa l’immigrazione diventa giorno dopo giorno sempre più una questione di controllo, una promessa elettorale che non risolve ma piuttosto sposta i problemi, spesso ignorando – o non essendo in grado di affrontare – le radici profonde della crisi.
In Italia, il governo Meloni segna una svolta con l’accordo per l’offshoring in Albania, una misura discussa e controversa, che sembra più incline a fornire risposte immediate alle paure che a costruire soluzioni reali ed efficaci.
Ma i conti con la realtà vanno fatti, e muri e frontiere continuano, e continueranno, a non fermare chi fugge da guerre, miseria e catastrofi climatiche. Così, l’Europa si dibatte tra politiche che parlano alla pancia dei cittadini e la necessità di una visione a lungo termine, mentre il flusso migratorio cresce esponenzialmente e si fa sempre più complesso da gestire. Per approfondire il tema dell’immigrazione consigliamo il volume: Immigrazione, asilo e cittadinanza
Indice
- 1. L’accordo con l’Albania: una soluzione controversa
- 2. L’aumento della migrazione irregolare e le morti
- 3. Riforme necessarie per il sistema di asilo
- 4. Migliorare le procedure di asilo
- 5. Una visione globale per contrastare gli spostamenti forzati
- 6. Integrazione e mobilità lavorativa
- 7. Il ruolo della società civile
- 8. Conclusioni
1. L’accordo con l’Albania: una soluzione controversa
L’accordo tra Italia e Albania per il trasferimento dei richiedenti asilo ha sollevato un acceso dibattito, evidenziando problematiche legate alla protezione dei diritti fondamentali e alla compatibilità con le normative europee. Recentemente, l’Europa ha registrato un aumento delle richieste di asilo, superando 1,1 milioni di domande nel 2023, con un incremento del 17% rispetto all’anno precedente[1]. Questo incremento ha spinto alcuni Paesi a considerare l’offshoring delle procedure come una soluzione per alleggerire i propri sistemi di accoglienza, ma l’implementazione pratica del modello italiano in Albania presenta numerosi ostacoli.
Le strutture albanesi, infatti, nate come misura temporanea, rischiano di non essere adeguate a garantire i diritti fondamentali dei migranti, soprattutto in un contesto come quello attuale, in cui i diritti umani nei paesi “terzi sicuri” sono spesso oggetto di controversie. Secondo il diritto dell’Unione Europea, le procedure di asilo dovrebbero svolgersi all’interno dei suoi confini, una condizione che potrebbe entrare in conflitto con il trasferimento di queste in paesi esterni come l’Albania. Inoltre, la gestione equa delle richieste di asilo promessa dal governo italiano potrebbe rivelarsi difficile in un contesto con norme e risorse diverse.
Il ricorso a paesi terzi per gestire i flussi migratori appare, quindi, come una strategia che solleva importanti questioni legali e morali, soprattutto alla luce delle sfide attuali in Europa, dove la pressione migratoria e il dibattito sui diritti umani sono più vivi che mai.
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2. L’aumento della migrazione irregolare e le morti
Oltre a queste criticità, l’Italia si trova a dover gestire le conseguenze delle proprie politiche interne. L’aumento dell’immigrazione irregolare ha portato a una maggiore tensione sociale, in cui la paura e l’insicurezza quotidiana trovano terreno fertile. È interessante considerare, poi, che, secondo i dati Eurostat, quasi il 70% dei rifugiati vive nei paesi limitrofi a quello d’origine, il che dimostra che la maggior parte delle persone non cerca di raggiungere l’Europa a tutti i costi, nonostante la percezione sia totalmente differente.
La gravità della situazione è innegabile: siamo ormai assuefatti a scene di vite in bilico sulle barche, di corpi inermi galleggianti, di urla strazianti e inferni in mare. Ma non possiamo permetterci di non risvegliare le nostre coscienze intorpidite, anche alla luce dei dati, ricordandoci, quando li leggiamo, che si parla di vite umane. Tra il 2021 e il 2023, oltre 7.600 persone sono morte o sono scomparse nel Mediterraneo, mentre circa 950 sono morte attraversando il Sahara[1]. Per approfondire il tema dell’immigrazione consigliamo il volume: Immigrazione, asilo e cittadinanza
3. Riforme necessarie per il sistema di asilo
L’Unione Europea è chiamata, dunque, a ripensare le proprie strategie in materia di immigrazione, creando modelli funzionanti di integrazione, a partire dagli investimenti in sistemi di asilo più efficienti e giusti. Ciò include un potenziamento delle procedure di richiesta e una cooperazione più rapida ed efficace tra gli Stati membri, affinché le persone in cerca di protezione possano essere trattate con dignità. Un sistema di asilo efficiente dovrebbe garantire che le domande vengano elaborate rapidamente, riducendo così i tempi di attesa e migliorando le condizioni di vita dei richiedenti. Ciò richiede un investimento significativo in risorse e formazione per il personale coinvolto nei processi di accoglienza[1].
Il “Decreto Flussi 2024” in Italia ha introdotto un sistema di quote per l’ingresso di lavoratori stranieri, ponendo l’accento su una gestione più strutturata dei flussi migratori. Con un totale di 151.000 permessi destinati a lavoratori non comunitari, suddivisi tra lavori stagionali e non stagionali, il decreto si propone di rispondere alla crescente domanda di forza lavoro in settori come l’agricoltura, il turismo e l’assistenza domestica. Le aziende italiane hanno accolto positivamente questa normativa, specialmente nel settore agricolo, che ha evidenziato da tempo carenze significative di manodopera. Tuttavia, l’alto numero di richieste ricevute nei “click day” di marzo – circa 690.000 per soli 151.000 posti disponibili – evidenzia come il decreto non sia sufficiente a soddisfare la reale domanda del mercato del lavoro[2].
Il provvedimento, sebbene tenda a una gestione più organica dei flussi, solleva interrogativi sulla sua coerenza rispetto alle politiche di asilo e accoglienza, poiché il sistema delle quote non copre le necessità di protezione internazionale. Inoltre, le limitazioni delle quote potrebbero escludere molti lavoratori in modo non equo, creando disparità rispetto agli attuali standard di accoglienza per i richiedenti asilo e aumentando la pressione su di essi.
4. Migliorare le procedure di asilo
Le proposte avanzate dall’UNHCR per migliorare le procedure di asilo tramite un approccio regionale rappresentano un passo promettente verso una gestione più equa e sostenibile. Secondo questo modello, le richieste di asilo sarebbero suddivise in base alla loro complessità e credibilità: le domande più meritevoli di attenzione verrebbero esaminate all’interno dei Paesi dell’Unione Europea, mentre quelle considerate meno fondate verrebbero gestite in paesi terzi ritenuti sicuri. Questo sistema, se ben implementato, potrebbe alleggerire il carico sui sistemi di accoglienza europei e, al contempo, garantire una valutazione giusta e uniforme per tutti i richiedenti.
Tuttavia, una strategia efficace non dovrebbe limitarsi alla gestione logistica delle domande, ma affrontare anche le cause alla radice delle migrazioni forzate, come instabilità politica, povertà e violazioni dei diritti umani. È urgente per l’Europa adottare una visione più ampia, capace di rispondere alle emergenze migratorie senza perdere di vista la necessità di un sistema di accoglienza umano e dignitoso.
L’idea della creazione di “sportelli unici” nei centri di accoglienza, proposta dall’UNHCR, merita particolare attenzione. Questi sportelli potrebbero rappresentare un punto di riferimento per i migranti, offrendo supporto umanitario, informazioni dettagliate sulle procedure di asilo e, dove possibile, assistenza per il rimpatrio volontario. Uno spazio del genere favorirebbe una gestione trasparente e integrata, riducendo i tempi d’attesa e garantendo ai migranti una chiara comprensione dei loro diritti e delle loro opzioni.
Un sistema che combina la gestione regionale delle domande di asilo con una rete di supporto locale e integrato potrebbe dunque trasformare radicalmente l’approccio europeo all’immigrazione.
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5. Una visione globale per contrastare gli spostamenti forzati
Secondo l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Filippo Grandi, il mondo ha bisogno di un approccio più ampio e inclusivo per affrontare la crisi delle migrazioni forzate, che riguarda milioni di persone. L’UNHCR sottolinea l’importanza di una “visione più ampia e profonda” per rispondere ai bisogni crescenti di coloro che fuggono da conflitti, persecuzioni e cambiamenti climatici. Questo richiede un impegno maggiore non solo a livello europeo, ma anche internazionale, per investire in pace, stabilità e resilienza nei paesi d’origine e in quelli di transito.
Grandi ha recentemente evidenziato come i modelli tradizionali di assistenza non siano più sufficienti a rispondere alla complessità degli spostamenti forzati. Per risolvere la crisi dei rifugiati, è necessario un cambio di paradigma che preveda, tra le altre cose, l’ampliamento delle opportunità legali per i migranti e rifugiati, in modo che non siano costretti a rischiare la vita attraversando rotte pericolose per raggiungere la sicurezza. Inoltre, è essenziale che l’Europa e gli altri attori globali collaborino più strettamente, distribuendo equamente le responsabilità e fornendo assistenza diretta ai paesi maggiormente colpiti dai flussi migratori.
Queste proposte riflettono una crescente consapevolezza che una politica migratoria sostenibile deve affrontare le cause profonde della migrazione. In questo contesto, l’Europa, forte dei suoi valori fondanti, ha l’opportunità di porsi come modello di solidarietà e responsabilità condivisa, investendo in soluzioni a lungo termine.
6. Integrazione e mobilità lavorativa
Per rendere il sistema di asilo sostenibile, è necessario anche promuovere l’integrazione dei migranti nelle società ospitanti. Le politiche di integrazione devono includere opportunità di lavoro e accesso ai servizi sociali. Ciò non solo aiuterebbe i migranti a ricostruire le loro vite, ma contribuirebbe anche all’economia dei paesi ospitanti.
L’implementazione dei programmi di mobilità lavorativa legale può rappresentare una strategia vincente per gestire l’immigrazione e rispondere contemporaneamente alle necessità dei mercati del lavoro europei, che affrontano una significativa carenza di manodopera in vari settori, tra cui in particolare l’agricoltura, l’edilizia, l’assistenza sanitaria e i servizi sociali.
I programmi di mobilità legale possono agevolare l’integrazione dei migranti attraverso percorsi lavorativi che li inseriscono attivamente nel tessuto economico del Paese ospitante. Gli immigrati che accedono al mercato del lavoro con un contratto legale contribuiscono in modo diretto alla produttività nazionale, all’aumento del PIL e al finanziamento dei sistemi previdenziali e sanitari. Inoltre, questi programmi sono progettati per essere sostenibili e bilanciare le esigenze del Paese ospitante con quelle dei migranti, permettendo di colmare le lacune del mercato senza sovraccaricare i servizi sociali[1].
La possibilità di stabilire percorsi di mobilità su misura consentirebbe di indirizzare i migranti verso i settori che hanno maggiore bisogno di forza lavoro. Ad esempio, accordi bilaterali tra Paesi d’origine e Paesi di destinazione potrebbero prevedere percorsi formativi specifici in base alle esigenze locali, consentendo ai migranti di ottenere competenze direttamente spendibili nel mercato del lavoro europeo. Questo approccio permette di ottimizzare le risorse e rispondere alla domanda di settori in deficit.
Per garantire l’efficacia di tali programmi, è fondamentale che siano supportati da un quadro normativo trasparente e da politiche di inclusione coerenti. Devono includere politiche di protezione sociale e percorsi chiari per i migranti che rispettino i diritti fondamentali. In questo contesto, un monitoraggio costante e il coinvolgimento delle comunità locali possono rafforzare il successo di questi programmi, rendendo l’Europa un modello di gestione dell’immigrazione basato su cooperazione, legalità e diritti umani.
Nonostante i numerosi benefici, l’implementazione di tali programmi presenta sfide significative. La diversità normativa tra gli Stati membri e le difficoltà legate alla burocrazia possono rallentare l’efficacia di questi percorsi. Una gestione efficace richiede quindi una sinergia tra le istituzioni nazionali e internazionali, nonché un impegno da parte dei governi europei nel creare un quadro di riferimento uniforme e flessibile.
7. Il ruolo della società civile
In un contesto in cui, come abbiamo avuto modo di osservare, le politiche migratorie si irrigidiscono e l’approccio istituzionale si concentra sul controllo e sul contenimento, il ruolo della società civile diventa più che mai centrale. Organizzazioni non governative, gruppi di volontariato, comunità locali e associazioni religiose costituiscono spesso l’unica rete di supporto concreto per i migranti, offrendo aiuto legale, assistenza sanitaria, opportunità di istruzione e supporto psicologico. Tuttavia, il rischio che tali attori siano percepiti come un “tappabuchi”, come una soluzione temporanea che compensa le lacune di politiche pubbliche inadeguate o mal strutturate è reale e spesso anche fondato.
L’obiettivo, in una visione più ampia, è che il loro contributo non consista più nell’intervenire laddove è carente l’intervento dello Stato, ma piuttosto l’obiettivo è di costruire un sistema in cui la società civile si collochi perfettamente all’interno di una catena funzionante e in cui tutti i contributi possano essere valorizzati al massimo.
In tal senso, tra le proposte costruttive maggiormente condivisibili, in primis si colloca la collaborazione strutturata con le istituzioni. È essenziale creare uno spazio di collaborazione concreta tra istituzioni e società civile. Le ONG, in particolare, devono essere riconosciute come partner ufficiali nei processi di integrazione, con un ruolo attivo nella definizione delle politiche migratorie. Immaginando un riscontro nella realtà di tale impostazione, potrebbero essere inclusi in tavoli tecnici permanenti, dove possano proporre modifiche o suggerimenti, e siano coinvolti direttamente nell’implementazione di servizi per migranti.
Ancora, altro tema centrale riguarda i finanziamenti. Infatti,spesso le ONG e i gruppi di volontariato operano con fondi limitati e incerti. Creare un fondo europeo o nazionale dedicato esclusivamente al supporto della società civile che lavora con i migranti permetterebbe a queste organizzazioni di pianificare a lungo termine e di investire in progetti di integrazione duraturi, anziché limitarsi a interventi di emergenza. Il finanziamento dovrebbe essere vincolato alla realizzazione di attività che promuovono inclusione e rispetto dei diritti umani, e il suo utilizzo monitorato attraverso meccanismi trasparenti.
Riconoscere una voce ai diretti interessati sarebbe un passo essenziale per una maggiore umanizzazione della gestione del processo. Le esperienze dei migranti sono spesso trattate come numeri o statistiche, mentre la realtà è fatta di storie, di persone, di sfide e successi che possono ispirare politiche migliori. È cruciale che i migranti abbiano l’opportunità di partecipare attivamente a forum pubblici, dibattiti e iniziative che influenzano direttamente la loro vita. Un sistema di consultazioni periodiche che includa migranti e rifugiati darebbe loro voce diretta nelle discussioni politiche, aiutando a costruire soluzioni più rispondenti alle loro esigenze.
Abbiamo, dunque, osservato comela società civile rappresenti un elemento chiave nell’accoglienza e nell’integrazione, ma il suo ruolo deve essere valorizzato in maniera coerente e sostenuto dalle istituzioni, non solo simbolicamente ma attraverso azioni concrete, strutturate e sostenibili. È solo con un’effettiva collaborazione tra società civile e governi che si può immaginare di creare un sistema migratorio umano, equo e capace di affrontare le sfide dell’oggi e del domani.Inizio moduloFine modulo
8. Conclusioni
In conclusione, l’immigrazione non può essere trattata come un’emergenza temporanea da risolvere con misure drastiche e immediate. L’adozione di soluzioni punitive o di esternalizzazione dei migranti in paesi terzi rischia di violare i principi fondanti dell’Unione Europea, quali la tutela dei diritti umani e la solidarietà. È necessario un approccio globale e strutturale, che tenga conto delle esigenze dei migranti e delle comunità ospitanti, investendo in politiche di accoglienza che siano realmente efficaci, umane e sostenibili.
L’Europa si trova a un bivio e ha l’opportunità di dimostrare che la gestione dell’immigrazione può essere affrontata con responsabilità e giustizia. Questo richiede però un cambiamento radicale rispetto all’attuale sistema, spesso frammentato e inadeguato. Le riforme necessarie devono comprendere un sistema di asilo armonizzato a livello europeo, che distribuisca equamente i richiedenti tra gli Stati membri e risponda prontamente alle esigenze di chi fugge da condizioni di conflitto, povertà estrema o persecuzione. Si è visto, infatti, come il peso della gestione migratoria ricada troppo spesso sui paesi di confine dell’Europa, creando tensioni interne e minando la coesione tra gli Stati membri.
L’esperienza recente di alcuni Stati europei, come la Germania e la Svezia, mostra come investire in programmi di integrazione sociale, istruzione e accesso al lavoro per i migranti non solo favorisce l’inclusione, ma può contribuire positivamente all’economia locale. Di fronte a una popolazione europea in fase di invecchiamento, politiche migratorie inclusive potrebbero rappresentare una risposta strategica a lungo termine, anziché un mero intervento emergenziale. Un impegno concreto da parte dell’Unione Europea per promuovere una cultura della solidarietà e dell’integrazione potrebbe inoltre ridurre l’impatto sociale e politico delle crisi migratorie.
È cruciale mantenere alta l’attenzione su questi temi per evitare che le politiche migratorie si riducano a meri strumenti di controllo o contenimento. È essenziale che le decisioni continuino a essere orientate dal rispetto della dignità umana e dalla promozione di una cooperazione solidale tra i popoli. Solo con un’Europa unita e solidale, capace di affrontare la questione migratoria come una sfida comune, sarà possibile costruire un sistema che sia tanto umano quanto efficiente.
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