Tramite la sentenza n. 173 depositata il 4 novembre, la Corte costituzionale ha dichiarato infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal GIP del Tribunale di Modena, in riferimento agli artt. 3 e 13 Cost., verso l’art. 282-ter, commi 1 e 2, c.p.p., come modificato dal nuovo codice rosso.
Indice
1. Le norme asseritamente incostituzionali
Con ordinanza il GIP del Tribunale di Modena aveva sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 13 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 282-ter, commi 1 e 2, del codice di rito penale, come modificato dall’art. 12, comma 1, lettera d), numeri 1) e 2), della legge n. 168/2023 (Disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica), nella parte in cui, disciplinando la misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, non consente al giudice, tenuto conto di tutte le specificità del caso concreto e motivando sulle stesse, di stabilire una distanza inferiore a quella legalmente prevista di 500 metri e al contempo prevede che, qualora l’organo delegato per l’esecuzione accerti la non fattibilità tecnica delle modalità di controllo, il giudice debba necessariamente imporre l’applicazione, anche congiunta, di ulteriori misure cautelari anche più gravi, senza, invece, possibilità di valutare e motivare, pur garantendo le esigenze cautelari di cui all’art. 274 c.p.p., la non necessità di applicazione del dispositivo elettronico di controllo nel caso concreto.
2. Il caso concreto
Nella specie, verso una indagata del reato di atti persecutori, aggravato da preesistente relazione affettiva, a norma dell’art. 612-bis, secondo comma, c.p., era stata applicata nel dicembre 2023, su conforme richiesta del p.m., la misura cautelare del divieto di avvicinamento alla persona offesa, alla di lui madre e alla nuova fidanzata, con l’attivazione del dispositivo elettronico di controllo remoto e con la prescrizione di mantenere dalla persona offesa e dai luoghi dalla medesima abitualmente frequentati, individuati nella casa di abitazione e nel luogo di lavoro, una distanza di almeno cinquecento metri. L’ordinanza di rimessione evidenzia che i Carabinieri delegati per l’esecuzione della misura hanno osservato non esservi nel luogo di residenza dell’indagata una copertura della rete mobile sufficiente al funzionamento del dispositivo elettronico di controllo e non essere comunque possibile l’osservanza della distanza minima legale di 500 metri, attese le modeste dimensioni del centro abitato, tali che l’indagata stessa, non solo per andare a lavoro, ma anche per recarsi eventualmente in municipio, farmacia, ufficio postale o alla caserma dei Carabinieri, si troverebbe sempre costretta ad avvicinarsi troppo alla casa della persona offesa.
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3. Finalità di braccialetto elettronico e distanza minima
Per la Consulta, che ritiene infondate le questioni sollevate, il braccialetto elettronico è un importante dispositivo funzionale alla tutela delle persone vulnerabili rispetto ai reati di genere, e la distanza minima di 500 metri corrisponde alla finalità pratica del tracciamento di prossimità, quindi fornire uno spazio di tempo sufficiente alla persona minacciata per trovare sicuro riparo e alle forze dell’ordine per intervenire in soccorso. Il braccialetto elettronico, dispositivo di scarso peso, applicato alla caviglia dell’indagato e quindi normalmente invisibile ai terzi, non impedisce alla persona soggetta al divieto di avvicinamento di uscire dalla propria abitazione e soddisfare tutte le proprie necessità di vita, purché essa non oltrepassi il limite dei 500 metri dai luoghi specificamente interdetti o da quello in cui si trova la vittima del reato in relazione al quale il divieto stesso è stato disposto. La Corte ha osservato che, nonostante negli abitati più piccoli la distanza di 500 metri possa rivelarsi stringente, l’indagato ne riceve un aggravio sopportabile, cioè di recarsi nel centro più vicino per trovare i servizi di cui necessita; mentre, ove rilevino motivi di lavoro o esigenze abitative, il comma 4 dell’art. 282-ter codice di rito penale permette al giudice di stabilire modalità peculiari di esecuzione del divieto di avvicinamento, restituendo flessibilità alla misura. «A un sacrificio relativamente sostenibile per l’indagato”, ha rilevato la Consulta, “si contrappone l’impellente necessità di salvaguardare l’incolumità della persona offesa, la cui stessa vita è messa a rischio dall’imponderabile e non rara progressione dal reato-spia (tipicamente lo stalking) al delitto di sangue”.
4. Quando sussistono problemi tecnici
Circa la riscontrata impossibilità tecnica del controllo elettronico, evenienza oggettivamente non imputabile all’indagato, la Corte evidenzia come la norma censurata possa interpretarsi in senso costituzionalmente adeguato, di conseguenza il giudice non è tenuto a imporre una misura più grave del divieto di avvicinamento, bensì deve rivalutare le esigenze cautelari della fattispecie, potendo, all’esito della rivalutazione, in base ai criteri ordinari di idoneità, necessità e proporzionalità, scegliere non solamente una misura più grave, come il divieto o l’obbligo di dimora, bensì pure una più lieve, come l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.
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