Autonomia differenziata: la Corte Costituzionale si pronuncia

Quattro Regioni hanno presentato ricorso alla Corte Costituzionale per far dichiarare illegittima la legge sull’autonomia differenziata.

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Dopo un acceso dibattito, il Parlamento in data 19 giugno 2024 ha approvato in via definitiva la riforma sull’autonomia differenziata che, benché sia espressamente prevista dagli articoli 116 e 117 della Costituzione, così come modificati dalla legge costituzionale di riforma del titolo V della Costituzione, ha provocato forti tensioni. Pertanto quattro Regioni governate dal centro-sinistra (Puglia, Toscana, Sardegna e Campania) hanno presentato ricorso alla Corte Costituzionale per far dichiarare illegittima la legge, ai sensi degli artt. 2, 5 e 97 Cost. La Corte costituzionale ha accolto in parte il ricorso e ha sollecitato il parlamento a modificare alcuni aspetti del provvedimento ritenuti in contrasto con la Costituzione. Tale provvedimento, se da un lato costituisce un rallentamento all’attuazione della legge, dall’altro potrebbe inficiare il referendum abrogativo già presentato ai sensi dell’art. 75 della Costituzione perché, dopo l’approvazione delle modifiche sollecitate dalla Corte, potrebbe rendersi necessaria la proposizione di un nuovo referendum.

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Indice

1. La legge sull’autonomia differenziata


In data 19 giugno 2024, è stata approvata la legge  26 giugno 2024, n. 86 (Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione).[1]
Gli obiettivi della legge sono contenuti in maniera confusa e contradditoria nell’art. 1 il quale recita “La presente legge, nel rispetto dell’unità nazionale e al fine di rimuovere discriminazioni e disparità di accesso ai servizi essenziali sul territorio, nel rispetto altresì dei princìpi di unità giuridica ed economica, di coesione economica, sociale e territoriale, anche con riferimento all’insularità, nonché dei princìpi di indivisibilità e autonomia e in attuazione del principio di decentramento amministrativo e per favorire la semplificazione e l’accelerazione delle procedure, la responsabilità, la trasparenza e la distribuzione delle competenze idonea ad assicurare il pieno rispetto dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza di cui all’articolo 118 della Costituzione, nonché del principio solidaristico di cui agli articoli 2 e 5 della Costituzione, definisce i princìpi generali per l’attribuzione alle Regioni a statuto ordinario di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia in attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione e per la modifica e la revoca delle stesse, nonché le relative modalità procedurali di approvazione delle intese fra lo Stato e una Regione, nel rispetto delle prerogative e dei Regolamenti parlamentari”.[2] Infatti, la disposizione afferma, in modo contorto, principi in parte contrastanti, come quello del decentramento e quello solidaristico previsto dall’art. 2 della Costituzione che la legge non riesce a garantire pienamente, come poi accertato dalla Corte Costituzionale.[3]
Il secondo comma della disposizione prevede un limite invalicabile all’applicazione della normativa de qua e statuisce che “L’attribuzione di funzioni relative alle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, relative a materie o ambiti di materie riferibili ai diritti civili e sociali che devono essere garantiti equamente su tutto il territorio nazionale, è consentita subordinatamente alla determinazione, nella normativa vigente alla data di entrata in vigore della presente legge o sulla base della procedura di cui all’articolo 3, dei relativi livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, ivi compresi quelli connessi alle funzioni fondamentali degli enti locali nel rispetto dell’articolo 1, comma 793, lettera d), della legge 29 dicembre 2022, n. 197, che devono essere garantiti equamente su tutto il territorio nazionale, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera m), e nel rispetto dei princìpi sanciti dall’articolo 119 della Costituzione”.[4]
Tali livelli indicano “la soglia costituzionalmente necessaria e costituiscono il nucleo invalicabile per rendere effettivi tali diritti su tutto il territorio nazionale e per erogare le prestazioni sociali di natura fondamentale, per assicurare uno svolgimento leale e trasparente dei rapporti finanziari fra lo Stato e le autonomie territoriali e per favorire un’equa ed efficiente allocazione delle risorse e il pieno superamento dei divari territoriali nel godimento delle prestazioni inerenti ai diritti civili e sociali.”
A tale riguardo, l’articolo 4 stabilisce i principi per il trasferimento delle funzioni alle singole Regioni (concesso solo dopo la determinazione dei Lep e nei limiti delle risorse in legge di bilancio), senza i quali non vi potrà essere autonomia. La determinazione dei costi e dei fabbisogni standard avverrà dopo l’indagine della spesa storica dello Stato in ogni Regione nell’ultimo triennio.
La legge, poi, attribuisce l’iniziativa alle Regioni, una volta sentiti gli enti locali e dispone che “Ogni Regione può chiedere più autonomia in una o più materie e le relative funzioni. Segue il negoziato tra il governo e la Regione per la definizione dell’intesa preliminare”.
Viene, anche, prevista l’istituzione di una cabina di regia composta da tutti i ministri competenti, assistita da una segreteria tecnica, collocata presso il Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie della Presidenza del Consiglio. I suoi compiti saranno quelli di effettuare la ricognizione del quadro normativo per ogni funzione amministrativa sia statale sia delle regioni ordinarie e l’individuazione delle materie dei Lep sui diritti civili e sociali che devono essere garantiti in tutto il territorio nazionale; tale organismo ha due anni di tempo per svolgere i propri lavori.
Inoltre, il governo entro 24 mesi dall’entrata in vigore del provvedimento dovrà varare uno o più decreti legislativi per determinare livelli e importi dei Lep; invece, lo Stato e le Regioni avranno 5 mesi per definire l’accordo; le intese potranno durare fino a 10 anni e poi essere rinnovate, oppure potranno terminare prima, con un preavviso di 12 mesi
Per quanto concerne il procedimento di approvazione delle intese, viene statuito che la richiesta deve essere deliberata dalla regione interessata e poi trasmessa al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro per gli affari regionali e le autonomie.
Quest’ultimo, acquisita la valutazione dei Ministri competenti per materia e del Ministro dell’economia e delle finanze entro i successivi 30 giorni, inizia il negoziato con la Regione interessata. Lo schema d’intesa preliminare tra Stato e Regione, unitamente alla relazione tecnica, è approvato dal Consiglio dei ministri e trasmesso alla Conferenza unificata per un parere non vincolante da rendere entro 30 giorni. Decorso tale termine, lo schema viene comunque trasmesso alle Camere per l’esame da parte dei competenti organi parlamentari, che si esprimono mediante atti di indirizzo entro 60 giorni. Il Presidente del Consiglio, poi, approva lo schema di intesa definitivo, ove necessario al termine di un ulteriore negoziato.
Lo schema viene, poi, trasmesso alla Regione interessata per l’approvazione e, entro 30 giorni dalla comunicazione dell’approvazione da parte della Regione, lo schema d’intesa definitivo, corredato dalla relazione tecnica, viene deliberato dal Consiglio dei ministri insieme a un disegno di legge di approvazione da presentare alle Camere.
Va anche sottolineato che il provvedimento normativo assegna un forte potere di veto al Presidente del Consiglio. Infatti, il comma 2 dell’articolo 2 della legge quadro sull’autonomia stabilisce che “Al fine di tutelare l’unità giuridica, nonché di indirizzo rispetto a politiche pubbliche prioritarie, il Presidente del Consiglio dei Ministri, anche su proposta del Ministro per gli affari regionali e le autonomie o dei ministri competenti per materia, può limitare l’oggetto del negoziato ad alcune materie o ambiti di materie individuati dalla Regione nell’atto di iniziativa”.
Si precisa, anche, che, ai sensi dell’art. 116, comma 3 Cost., per l’approvazione definitiva del disegno di legge, a cui l’intesa è allegata, è richiesta la maggioranza assoluta dei componenti di ogni Camera. L’intesa può essere modificata su iniziativa dello Stato o della Regione e può prevedere le ipotesi e le modalità tramite cui lo Stato o la Regione possono chiederne la cessazione, da deliberare tramite legge a maggioranza assoluta delle Camere. Alla scadenza del termine, l’intesa si intende rinnovata per identico periodo, salva differente volontà dello Stato o della Regione, manifestata almeno un anno prima della scadenza.
La legge riguarda le 23 materie “concorrenti”,  e cioè: l’istruzione, fatta salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche; i rapporti internazionali delle Regioni con l’Ue; il commercio estero; la tutela e la sicurezza del lavoro; le professioni; la ricerca scientifica e tecnologica  e l’innovazione per i settori produttivi; la tutela della salute; l’alimentazione; l’ordinamento sportivo; la protezione civile; il governo del territorio; i porti e gli aeroporti civili; le grandi reti di trasporto e di navigazione; l’ordinamento della comunicazione; la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell’energia; la previdenza complementare integrativa; il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; la valorizzazione dei beni culturali e ambientali e la promozione e l’organizzazione di attività culturali; le casse di risparmio, le casse rurali aziende di credito a carattere regionale, gli enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Si tratta in prevalenza delle materie relative alla legislazione concorrente.[5]
La legge prevede anche tre fasi attuative. Nella prima le Regioni possono ottenere subito le funzioni relative a 9 delle 23 materie; per queste materie il Comitato per la fissazione dei Lep (CLEP) ha ritenuto che non vi fossero livelli essenziali delle prestazioni da garantire.
La seconda fase devolutiva si aprirà solo dopo che lo Stato avrà determinato i livelli essenziali relativi a funzioni LEP che non incidono sulla spesa storica, che cioè non richiedono nuove risorse economiche.
La terza fase, la più critica, riguarda le funzioni dove sono previsti i c.d. livelli essenziali delle prestazioni (LEP), dove cioè il passaggio avverrà se e quando saranno rinvenute le risorse necessarie.
A tal proposito si stabilisce che l’attribuzione di nuove funzioni relative ai “diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” viene consentita subordinatamente alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni da parte della Cabina di regia. Il finanziamento dei LEP, sulla base dei relativi costi e fabbisogni standard, verrà attuato nel rispetto degli equilibri di bilancio e dell’art. 17 della legge di contabilità e finanza pubblica (legge n. 196/09).
Se dalla determinazione dei LEP deriveranno nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, si potrà procedere al trasferimento delle funzioni solo dopo i provvedimenti legislativi di stanziamento delle risorse finanziarie coerenti con gli obiettivi programmati di finanza pubblica. Inoltre, se dopo la data di entrata in vigore della legge di approvazione dell’intesa, saranno modificati i LEP col relativo finanziamento o ne siano determinati ulteriori, la Regione interessata sarà tenuta alla loro osservanza, subordinatamente alla revisione delle relative risorse. Il Governo o la Regione potranno, anche congiuntamente, disporre verifiche sul raggiungimento dei LEP.
Inoltre, le funzioni trasferite alla Regione potranno essere da questa attribuite a Comuni, Province, città metropolitane, unitamente alle relative risorse umane, strumentali e finanziarie.
Secondo il legislatore le intese in teoria non dovrebbero pregiudicare l’entità delle risorse da destinare a ciascuna delle altre Regioni. Sarà, anche, garantita l’invarianza finanziaria del fondo perequativo e delle altre iniziative previste dall’art. 119 della Costituzione per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, rimuovere gli squilibri economici e sociali e favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona.
Ovviamente il provvedimento dispone che saranno garantiti gli specifici vincoli di destinazione e la programmazione già in corso alla data di entrata in vigore delle nuove norme.[6]
Infine, l’art. 11, oltre a estendere la legge anche alle Regioni a statuto speciale e le Province autonome, reca la clausola di salvaguardia per l’esercizio del potere sostitutivo del governo. L’esecutivo dunque potrà sostituirsi agli organi delle Regioni, delle città metropolitane, delle Province e dei Comuni quando si riscontri che gli enti interessati si dimostrino inadempienti, rispetto a trattati internazionali, normativa comunitaria oppure vi sia pericolo grave per la sicurezza pubblica e occorra tutelare l’unità giuridica o quella economica; in particolare si cita la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni sui diritti civili e sociali.
Allo stato, i governatori di Veneto, Lombardia e Piemonte hanno dichiarato di essere pronti a chiedere subito “il trasferimento delle competenze su 9 materie” che, sottolineano, “non prevedono la determinazione dei Lep”.

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2. La sentenza della Corte costituzionale in data 14 novembre 2024


Secondo il comunicato stampa, la Consulta in primo luogo, nell’esaminare i ricorsi delle Regioni Puglia, Toscana, Sardegna e Campania, le difese del Presidente del Consiglio dei ministri e gli atti di intervento ad opponendum delle Regioni Lombardia, Piemonte e Veneto, sottolinea l’aspetto unitario del nostro ordinamento costituzionale sulla base del principio di sussidiarietà e statuisce che “l’art. 116, terzo comma, della Costituzione (che disciplina l’attribuzione alle regioni ordinarie di forme e condizioni particolari di autonomia) deve essere interpretato nel contesto della forma di Stato italiana. Essa riconosce, insieme al ruolo fondamentale delle Regioni e alla possibilità che esse ottengano forme particolari di autonomia, i principi dell’unità della Repubblica, della solidarietà tra le Regioni, dell’eguaglianza e della garanzia dei diritti dei cittadini, dell’equilibrio di bilancio”.
Il Giudice delle leggi ritiene, altresì, che “la distribuzione delle funzioni legislative e amministrative tra i diversi livelli territoriali di governo, in attuazione dell’art. 116, terzo comma, non debba corrispondere all’esigenza di un riparto di potere tra i diversi segmenti del sistema politico, ma debba avvenire in funzione del bene comune della società e della tutela dei diritti garantiti dalla nostra Costituzione. A tal fine, è il principio costituzionale di sussidiarietà che regola la distribuzione delle funzioni tra Stato e regioni […]”.
I giudici sottolineano, altresì, il rispetto dei principi dell’efficienza e della responsabilità politica degli enti locali e affermano che “[…] l’autonomia differenziata deve essere funzionale a migliorare l’efficienza degli apparati pubblici, ad assicurare una maggiore responsabilità politica e a meglio rispondere alle attese e ai bisogni dei cittadini”.
In attesa del deposito delle motivazioni, inoltre, la Corte ha fatto sapere di non ritenere fondata “la questione di costituzionalità dell’intera legge sull’autonomia differenziata”, ma di considerare “illegittime” sette specifiche disposizioni della legge che riguardano alcuni aspetti centrali del provvedimento.[7]
In particolare, la Corte ha ravvisato l’incostituzionalità dei seguenti profili della legge: 

  • la possibilità che l’intesa tra lo Stato e la Regione e la successiva legge di differenziazione trasferiscano materie o ambiti di materie, laddove la Corte ritiene che la devoluzione debba riguardare specifiche funzioni legislative e amministrative e debba essere giustificata, in relazione alla singola Regione, alla luce del richiamato principio di sussidiarietà;
  • il conferimento di una delega legislativa per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (LEP), i servizi minimi che lo Stato deve garantire in ogni parte del suo territorio su settori fondamentali priva di idonei criteri direttivi, con la conseguenza che la decisione sostanziale viene rimessa nelle mani del Governo, limitando il ruolo costituzionale del Parlamento. Anche questo aspetto, dunque, rimarca la centralità del Parlamento;
  • la previsione che sia un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (DPCM) a determinare l’aggiornamento dei LEP. Secondo la Corte, il problema in entrambi i casi è che anche in questo modo verrebbe limitato “il ruolo costituzionale” del Parlamento, cioè la sua funzione legislativa, perché verrebbe delegata al governo;
  • il ricorso alla procedura prevista dalla legge n. 197 del 2022 (legge di bilancio per il 2023) per la determinazione dei LEP con DPCM, sino all’entrata in vigore dei decreti legislativi previsti dalla stessa legge per definire i LEP. Pertanto, appare evidente che prevedere il trasferimento di competenze commisurando l’attribuzione di nuove risorse alle Regioni sulla base del criterio della spesa storica, equivale a disconoscere l’esigenza indifferibile di porre rimedio a squilibri sociali provocati dall’incompleta attuazione del Titolo V della Costituzione;
  • la possibilità di modificare, con decreto interministeriale, le aliquote della compartecipazione al gettito dei tributi erariali, prevista per finanziare le funzioni trasferite, in caso di scostamento tra il fabbisogno di spesa e l’andamento dello stesso gettito; in base a tale previsione, potrebbero essere premiate proprio le regioni inefficienti, che – dopo aver ottenuto dallo Stato le risorse finalizzate all’esercizio delle funzioni trasferite – non sono in grado di assicurare con quelle risorse il compiuto adempimento delle stesse funzioni;
  • la facoltatività, piuttosto che la doverosità, per le regioni destinatarie della devoluzione, del concorso agli obiettivi di finanza pubblica, con conseguente indebolimento dei vincoli di solidarietà e unità della Repubblica;
  • un altro punto su cui la Corte ha espresso dei dubbi riguarda la possibilità che la legge sull’autonomia differenziata possa essere estesa anche alle regioni a statuto speciale (Friuli Venezia Giulia, Sardegna, Sicilia, Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta), che secondo il primo comma dell’articolo 116 della Costituzione dispongono di “forme e condizioni particolari di autonomia”. Per questo motivo, secondo la Corte, “per ottenere maggiori forme di autonomia queste regioni possono ricorrere alle procedure previste dai loro statuti speciali”, e pertanto non devono essere inquadrate nella disciplina prevista dal terzo comma dello stesso articolo.

La Corte, infine, ha interpretato in modo costituzionalmente orientato altre previsioni della legge:

  • l’iniziativa legislativa relativa alla legge di differenziazione non va intesa come riservata unicamente al Governo;
  • la legge di differenziazione non è di mera approvazione dell’intesa (“prendere o lasciare”) ma implica il potere di emendamento delle Camere; in tal caso l’intesa potrà essere eventualmente rinegoziata;
  • la limitazione della necessità di predeterminare i LEP ad alcune materie (distinzione tra “materie LEP” e “materie-no LEP”) va intesa nel senso che, se il legislatore qualifica una materia come “no-LEP”, i relativi trasferimenti non potranno riguardare funzioni che attengono a prestazioni concernenti i diritti civili e sociali;
  • l’individuazione, tramite compartecipazioni al gettito di tributi erariali, delle risorse destinate alle funzioni trasferite dovrà avvenire non sulla base della spesa storica, bensì prendendo a riferimento costi e fabbisogni standard e criteri di efficienza, liberando risorse da mantenere in capo allo Stato per la copertura delle spese che, nonostante la devoluzione, restano comunque a carico dello stesso;
  • la clausola di invarianza finanziaria richiede, oltre a quanto precisato al punto precedente, che, al momento della conclusione dell’intesa e dell’individuazione delle relative risorse, si tenga conto del quadro generale della finanza pubblica, degli andamenti del ciclo economico, del rispetto degli obblighi dell’Unione Europea.

[8]

3. Conclusioni


Si ritiene che la riforma in questione sia formalmente rispettosa del dettato costituzionale come peraltro accertato dalla stessa Corte Costituzionale. Si tratta, infatti, di una legge che ha dato attuazione all’articolo 116 della Costituzione dove al comma 3 è scritto che “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia[…]possono essere attribuite a altre Regioni con legge dello Stato su iniziativa della Regione interessata”. Sulla base di intese tra governo e Regione si realizzerebbe, quindi, un federalismo differenziato.[9]
La Consulta ha chiarito, però, tra l’altro, che la legge di differenziazione non si deve limitare a dire semplicemente “si o no” all’intesa, ma implica, come detto, il potere di emendamento delle Camere; in tal caso l’intesa potrà eventualmente essere rinegoziata. Quindi il tentativo di chiudere il processo evolutivo facendone derivare l’esito da una partita a due tra singola Regione e governo non è stato ritenuto conforme a Costituzione.
Inoltre, nelle materie in cui la legge Calderoli non ha individuato i LEP la loro devoluzione alle Regioni non potrà riguardare funzioni che attengono a prestazioni concernenti i diritti civili e sociali. Si tratta di un chiarimento quanto mai necessario poiché il confine tra “materie LEP” e “materie no LEP” è molto labile.[10]
A tale quadro di incertezza, si aggiunge il nodo della perequazione infrastrutturale come ribadito più volte dall’ufficio Parlamentare di Bilancio, “per la realizzazione effettiva dei livelli essenziali delle prestazioni”. Infatti, rimasta inattuata dal 2009, data di approvazione del federalismo fiscale, la perequazione infrastrutturale è oggi quasi priva di fondi. In realtà, originariamente vi erano 4,6 miliardi di euro, ma con i disegni di legge nn.13, 44 e 145 del 2023 e poi con la legge di Bilancio per il 2024 il governo l’ha definanziata, riducendone l’importo a 900 milioni di euro. E la legge finanziaria attualmente in corso di approvazione in Parlamento non sembra prevedere nulla al riguardo.
In conclusione, in attesa del deposito delle motivazioni della sentenza, si presume che la decisione in esame rallenterà notevolmente l’iter di attuazione della riforma, che potrebbe non essere completato in questa legislatura, anche se la stessa decisione potrebbe determinare l’annullamento del previsto referendum abrogativo ai sensi dell’art. 75 della Costituzione; infatti, le sottoscrizioni già raccolte potrebbero non avere più validità, considerato che la legge, dopo l’adeguamento alla sentenza della Corte Costituzionale, sarà sicuramente modificata.
Inoltre, si ritiene anche che, nonostante il parere contrario di alcuni costituzionalisti[11] e di alcuni esponenti di governo, un nuovo referendum abrogativo potrà essere riproposto in quanto il precedente non potrà essere votato dai cittadini elettori e quindi perderà la sua efficacia, mentre non si può escludere apriori che la successiva legge adottata sulla base dei rilievi della Consulta possa contenere ulteriori profili di illegittimità costituzionale.
Infine, è da escludere che la riforma, allo stato, possa essere applicata per le materie “no lep” come ritenuto anche dalla maggioranza delle forze di governo (Fratelli di Italia e Forza Italia).

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Note


[1] P. Gentilucci, Il disegno di legge sull’autonomia differenziata, in Diritto.it del 26 febbraio 2023.
[2] P. Gentilucci, Autonomia differenziata: una riforma contrastata, in Diritto.it del 24 giugno 2024.
[3] Redazione, Cosa prevede l’Autonomia differenziata, dai Lep ai tempi di attuazione, in Policy maker del 19 giugno 2024
[4] Redazione, Autonomia differenziata, Calderoli: è nel programma. Fdi rilancia il presidenzialismo, in Il sole 24 ore del 18 novembre 2022.
[5] L. Biarella, Autonomia Differenziata: ok al disegno di legge, cit.
[6] L. Biarella, Autonomia Differenziata: ok al disegno di legge, cit.
[7]Redazione, La Corte costituzionale ha detto che la legge sull’autonomia differenziata è in parte illegittima, in il Post del 14 novembre 2024.
[8] Comunicato stampa della Corte Costituzionale in data 14 novembre 2024.
[9] G. Casadio, Autonomia differenziata per le Regioni: che cos’è la riforma proposta da Calderoli, in La Repubblica del 18 novembre 2022.
[10] P.L. Portaluri, “Unità, solidarietà e uguaglianza, i giudici hanno tracciato la rotta”, in il Quotidiano di Puglia del 15 novembre 2024.
[11] Paolo Maddalena, ex vice presidente della Corte Costituzionale.

Prof. Paolo Gentilucci

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