Il tribunale esclude la responsabilità del medico di medicina generale perché il paziente non ha indicato specificatamente l’operato del medico. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica
Indice
1. I fatti: la responsabilità del medico di medicina generale
Una paziente agiva in giudizio nei confronti del proprio medico di medicina generale sostenendo di essere affetta da avitaminosi B con riscontri neuropatici cerebrali a partire del febbraio 2016, come aveva confermato il reparto di neurologia di un ospedale locale da cui era stata dimessa con la diagnosi di neuromielite ottica per carenza di B12.
L’attrice lamentava che nel gennaio 2016 si era recata dal medico di medicina generale lamentando delle algie e problemi circolatori e pertanto il sanitario l’aveva invitata ad eseguire una risonanza magnetica e successivi esami di valutazione emocromo, acido folico e vitamina B12.
Soltanto dopo aver letto il referto della risonanza magnetica, il medico di medicina generale inviava la paziente da uno specialista in neurochirurgia degenerativa, all’esito del quale controllo veniva ricoverata presso l’ospedale a fine marzo 2016.
Sulla base di tale ricostruzione in fatto, l’attrice chiedeva al Tribunale adito la condanna del medico di medicina generale per non aver diagnosticato la malattia, in quanto non aveva valutato correttamente il quadro di avitaminosi della paziente che la avrebbe poi portata alla patologia riscontrata in ospedale.
Dal punto di vista dei danni subiti, la paziente lamentava stanchezza, dolori, crampi agli arti, diffusa mancanza di sensibilità, neuropatia espressa perifericamente su base centrale, ma non quantificativa economicamente i predetti pregiudizi, né indicava i criteri di terminazione.
Il medico convenuto si costituiva in giudizio eccependo preliminarmente la propria carenza di legittimazione passiva, in quanto riteneva vi fosse la responsabilità esclusiva della ASL locale: infatti, secondo il convenuto, essendo egli un medico di medicina generale, seppure era stato scelto dall’attrice (così come dagli altri suoi pazienti), agiva comunque nell’ambito dell’organizzazione del servizio convenzionato predisposto dalla ASL. Pertanto, detta struttura sanitaria doveva essere considerata responsabile del fatto illecito del medico con essa convenzionato.
Conseguentemente, il medico convenuto chiedeva la chiamata in causa della predetta struttura sanitaria, chiedendo la condanna diretta della stessa a risarcire i danni subiti dalla paziente oppure di essere dalla prima manlevata e tenuta indenne di quanto fosse eventualmente condannato a pagare alla seconda.
Nel merito, il medico contestava la domanda attorea ritenendo che non fosse stato neanche dedotto ed individuato il nesso di causalità tra la sua condotta e la patologia, né alcun ragionamento controfattuale rispetto alle pregresse condizioni patologiche della paziente. A tal proposito, il medico rilevava che la paziente aveva manifestato le problematiche oggetto di causa soltanto nel febbraio 2016 e che pertanto egli l’aveva immediatamente invitata ad eseguire una risonanza magnetica (poi effettivamente eseguita).
La struttura sanitaria terza chiamata si costituiva in causa eccependo la propria carenza di legittimazione passiva, in quanto non vi era alcun rapporto diretto o contatto sociale con la paziente, tale da poter giustificare una responsabilità della ASL. Secondo la struttura sanitaria, infatti, tra la stessa e il medico convenzionato non intercorreva alcun rapporto di dipendenza o di servizio, poiché il medico era un libero professionista liberamente scelto dal paziente e non soggetto ad alcun potere concreto ed effettivo di vigilanza, controllo e direzione da parte della ASL medesima. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica
Manuale pratico operativo della responsabilità medica
La quarta edizione del volume esamina la materia della responsabilità medica alla luce dei recenti apporti regolamentari rappresentati, in particolare, dalla Tabella Unica Nazionale per il risarcimento del danno non patrimoniale in conseguenza di macrolesioni e dal decreto attuativo dell’art. 10 della Legge Gelli – Bianco, che determina i requisiti minimi delle polizze assicurative per strutture sanitarie e medici. Il tutto avuto riguardo all’apporto che, nel corso di questi ultimi anni, la giurisprudenza ha offerto nella quotidianità delle questioni trattate nelle aule di giustizia. L’opera vuole offrire uno strumento indispensabile per orientarsi tra le numerose tematiche giuridiche che il sottosistema della malpractice medica pone in ragione sia della specificità di molti casi pratici, che della necessità di applicare, volta per volta, un complesso normativo di non facile interpretazione. Nei singoli capitoli che compongono il volume si affrontano i temi dell’autodeterminazione del paziente, del nesso di causalità, della perdita di chances, dei danni risarcibili, della prova e degli aspetti processuali, della mediazione e del tentativo obbligatorio di conciliazione, fino ai profili penali e alla responsabilità dello specializzando. A chiusura dell’Opera, un interessante capitolo è dedicato al danno erariale nel comparto sanitario. Giuseppe Cassano, Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School of Economics di Roma e Milano, ha insegnato Istituzioni di Diritto Privato presso l’Università Luiss di Roma. Avvocato cassazionista, studioso dei diritti della persona, del diritto di famiglia, della responsabilità civile e del diritto di Internet, ha pubblicato numerosissimi contributi in tema, fra volumi, trattati, voci enciclopediche, note e saggi.
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2. Le valutazioni del Tribunale
Preliminarmente, il giudice ha rilevato che la ASL è responsabile del fatto colposo del medico di base convenzionato con il servizio sanitario nazionale, in quanto quest’ultimo rientra nella figura dell’ausiliario di cui la struttura si avvale per l’esecuzione della prestazione. Infatti, la ASL è tenuta per legge, nei limiti dei livelli essenziali di assistenza, ad erogare l’assistenza medica generica e la relativa prestazione di cura, avvalendosi di personale medico alle proprie dipendenze o in rapporto di convezionamento. Tale rapporto, unitamente all’obbligo di fornire le cure ai propri utenti, determina una responsabilità della ASL ex art. 1228 c.c. per il fatto dei propri ausiliari.
Tuttavia, nel caso di specie, l’attrice ha ritenuto di non estendere la domanda risarcitoria (azionata nei confronti del medico, anche) nei confronti della ASL. Conseguentemente, il giudice ha valutato la richiesta di risarcimento danni oggetto del giudizio esclusivamente nei rapporti tra la paziente e il medico di medicina generale (salvo poi valutare detta richiesta nei rapporti tra medico e ASL, in ragione della domanda di manleva esperita dal primo nei confronti della seconda).
Ciò premesso, il giudice ha analizzato i principi in materia di responsabilità sanitaria.
Secondo il Tribunale trevigiano, è onere del creditore- danneggiato provare, oltre alla fonte del suo credito (contratto o contatto sociale), il nesso di causalità tra la condotta asseritamente colposa del sanitario e il danno subito dalla paziente. Tale prova deve essere valutata applicando il criterio del “più probabile che non”.
Per fornire detta prova, l’attore deve descrivere l’insorgenza o l’aggravamento della patologia e deve allegare una inadempienza qualificata del sanitario, astrattamente idonea a provocare, quale causa o concausa efficiente il danno lamentato.
Il giudice ha altresì precisato che, inoltre, nel caso di asserita negligenza omissiva, è indispensabile che l’attore – danneggiato ricostruisca in maniera esatta le circostanze del fatto concreto, con particolare riguardo all’operato effettivamente svolto dal medico nel periodo anteriore alle manifestazioni acute della patologia, al tipo di anamnesi eseguito e, soprattutto, alle informazioni e ai sintomi riferiti dalla paziente in occasione delle visite.
Ciò, in modo che il giudice possa accertare, con valutazione ex ante, se fosse in concreto esigibile una diversa ipotetica condotta diagnostica e terapeutica del medico più mirata rispetto a quella effettivamente posta in essere e censurata dal paziente – danneggiato.
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3. La decisione del Tribunale
Nel caso di specie, il giudice ha ritenuto che l’attrice – così come aveva già fatto nel precedente accertamento tecnico preventivo ex art. 696 bis c.p.c., già rigettato da altro giudice per inammissibilità – non ha dedotto nulla di nuovo e diverso in ordine alla condotta specifica effettivamente posta in essere dal medico di medicina generale, riguardo a quello che egli ha fatto prima dell’emergere dei sintomi della patologia, al tipo di controlli e valutazioni che ha posto in essere durante le visite, tanto meno l’attrice ha indicato quali fossero stati le informazioni e i sintomi che la stessa aveva riferito al medico prima della diagnosi della malattia.
Tale carenza deduttiva dell’attrice impedisce di valutare la sussistenza del nesso di causalità fra una condotta del medico di medicina generale che fosse astrattamente idonea a causare la patologia e la patologia medesima poi diagnosticata alla paziente.
A tale carenza deduttiva, inoltre, secondo il giudice, non può supplire né la prova per testi richiesta dall’attrice (in quanto anche l’ammissione dei capitoli di prova richiesti non avrebbe colmato la mancata allegazione della condotta imputabile al medico astrattamente idonea a determinare la patologia), né la CTU pur richiesta dalla paziente (in quanto la stessa era esplorativa, poiché diretta a sopperire all’onere di allegazione e prova che incombe alla parte).
Conseguentemente, il Tribunale ha rigettato la domanda di risarcimento formulata dalla paziente nei confronti del medico di medicina generale.
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