La recente approvazione, anche al Senato della Repubblica, essendo già passata per l’approvazione della Camera dei deputati, del Disegno di Legge n.1175, avente ad oggetto il riconoscimento del diritto all’assistenza sanitaria per le persone senza fissa dimora, richiama, sullo sfondo, un problema ben più ampio. Stiamo parlando, infatti, del diritto ad avere una residenza per le persone, cittadini italiano e non solo, che si trovano in una situazione di svantaggio e, cioè, quella di non aver un’abitazione ovvero una dimora cui far riferimento onde richiedere l’iscrizione nel registro della pertinente anagrafe comunale.
Indice
1. La legge n. 1228 del 24 dicembre 1954: anagrafe della popolazione con residenza
Ora, negli anni Cinquanta, il Parlamento Nazionale licenziò una legge, precisamente la Legge n. 1228 del 24 dicembre 1954, rubricandola come Ordinamento delle anagrafi della popolazione residente, recante il riassetto e la disciplina dei registri anagrafici comunali a livello statale.
Si è riconosciuto il diritto di ciascun cittadino d’ottenere l’iscrizione nel registro del comune dove egli ha posto la propria dimora abituale.
Qualora volessimo trasferire la nostra residenza, ai fini della nova iscrizione anagrafica, ci verrà richiesto d’indicare, nell’istanza formulata ai sensi dell’art. 5, comma 5, del D.L. n. 5 del 2012 (residenza in tempo reale) dell’art. 2 e seguenti della L. n. 241/1990, gli estremi della registrazione presso l’Agenzia delle Entrate di un contratto di locazione, di comodato oppure i dati identificativi catastali dell’immobile che assumiamo di proprietà.
In genere, entro due giorni, l’ufficio anagrafico comunale comunicherà all’istante l’avvio del procedimento amministrativo ai sensi dell’art. 7 della L.n.241/1990.
All’esito dell’istruttoria, qualora non si ricevano comunicazioni di segno contrario nei successivi quarantacinque giorni, la residenza nel nuovo comune s’intende confermata, maturando, in tal senso, il Silenzio Assenso disciplinato dall’art. 20 della L.n. 241/90 (Cfr. art. 2 Circ. Min. Int. N. 9 del 27.04.2012).
Se nel corso dell’istruttoria emerge una carenza documentale, tramite il preavviso di rigetto ex art. 10 bis della L.n.241/1990, la P.A. inviterà l’istante a presentare, entro dieci giorni, la documentazione ulteriore richiesta con le relative osservazioni, prima che maturi il definitivo rigetto dell’istanza.
Con tal strumento, espressione dell’istituto del soccorso istruttorio, nell’ottica d’una economia procedimentale, volta ad omaggiare i principi di economicità, semplicità, trasparenza e di non aggravio del procedimento, espressi dall’art. 1 della L.n. 241/1990, nonché dagli artt. 97, 98, Cost., la P.A. tende a recuperare la fase istruttoria chiedendo all’istante d’integrare l’originaria carenza documentale.
Delineato il procedimento amministrativo volto ad accogliere l’istanza di quel cittadino che domandi l’iscrizione presso l’anagrafe del nuovo comune di residenza, ci dovremmo domandare cosa accadrebbe se quest’ultimo non avesse la possibilità d’indicare un’abitazione di proprietà.
Soccorre la L.n. 1228 del 1954, il cui art. 2, comma 3, assicura il diritto alla residenza anche alle persone senza una fissa dimora.
Possiamo dire che la ratio del legislatore è di ordine generale posto che lo Stato avverte la necessità di sapere dove i suoi cittadini sono ubicati nel territorio, rispondendo tal necessità anche ad un’esigenza di controllo del territorio.
Il riconoscimento della residenza è connesso con la possibilità d’usufruire di altri diritti quale quello all’assistenza sanitaria, ad un lavoro, all’esercizio del diritto di voto, tutelati, rispettivamente, anche a livello costituzionale, dagli artt. 32, 4 e 48, Cost.
2. Il documento Istat n. 29 del 1992
Tali considerazioni sono state espresse anche nella circolare n. 29 del 1992, ove si afferma che “una delle innovazioni più importanti della legge è costituita dalla estensione della disciplina anagrafica anche alle persone senza fissa dimora che in precedenza erano sempre sfuggite ad ogni registrazione”. (Pag.41)
Ciò riflette la necessità dello Stato di presidio del territorio.
Il documento in esame indica, ai fini anagrafici, la persona senza fissa dimora, e, cioè, colui che non ha “…in alcun Comune quella dimora abituale che è elemento necessario per l’accertamento della residenza (…); orbene, per tali persone si è adottato il criterio dell’iscrizione anagrafica nel Comune di domicilio”. (Pag.41).
Il domicilio, ex art. 43, primo comma, C.c., indica il luogo dove la persona stabilisce la sede principale dei suoi affari ed interessi, mentre, la residenza è il luogo dove la essa ha la dimora abituale.
La scelta, quindi, di ancorare l’iscrizione anagrafica della persona senza fissa dimora presso il Comune dove questi stabilisce il proprio domicilio, anziché alla propria residenza, risponde proprio alla considerazione che il Comune ove registrarlo debba essere, preferibilmente, quello dove più “frequentemente” egli svolge la propria vita, i propri interessi fondamentali.
Come ultima misura, si prevede che l’iscrizione, in difetto del Comune di dimora, debba essere fatta presso quello di nascita.
Ed, infatti, l’art. 2, comma 3, della L.n.1228 del 1954, stabilisce che “…la persona che non ha fissa dimora si considera residente nel comune dove ha stabilito il proprio domicilio. In mancanza del domicilio, si considera residente nel comune di nascita…”.
L’iscrizione della persona senza fissa dimora presso il registro anagrafico del Comune di domicilio, è, indi, essenziale per consentire a questi di esercitare i diritti de quibus, poiché va da sé che, senza la registrazione anagrafica, egli non potrà, per esempio, votare.
Ecco, che, allora, si presenta la necessità d’indicare un indirizzo che, poi, dovrà esser indicato negli atti anagrafici ed, a tal fine, si ravvisa la necessità che “…anche in anagrafe venga istituita una via, territorialmente non esistente, ma conosciuta con un nome convenzionale dato dall’ufficio di anagrafe…”. (Pag.45).
La legge citata, in uno al D.P.R. n. 223/1989, impone ai Comuni d’istituire un registro separato per l’iscrizione delle persone senza fissa dimora, alle quali verrà assegnata una via fittizia di residenza e consentendo, così, a tal categoria di persone, d’assumere una dignità anagrafica, cui conseguiranno il riconoscimento e l’esercizio dei diversi diritti di cui abbiam fatto cenno.
In questo quadro normativo, il diritto ad esser iscritto al registro delle persone senza fissa dimora risponde a due requisiti che devono esser entrambi sodisfatti, l’uno oggettivo e l’altro soggettivo.
Per quanto concerne il primo, la persona deve dimostrare che abitualmente è dimorante presso il Comune dove intende effettuare l’iscrizione.
A tal fine, la documentazione a corredo della domanda ben potrà esser implementata da un’attestazione di un centro di accoglienza, pubblico ovvero privato che attesti, per l’appunto, la persona è ospitata presso le loro strutture in quanto priva di un’abitazione.
Dal punto di vista soggettivo, invece, la persona senza fissa dimora deve manifestare l’inequivoca volontà di permanere presso il Comune dove vive stabilmente.
In tal senso la Suprema Corte ha precisato che “…ciò che rileva ai fini della individuazione della residenza, intesa come dimora abituale, è dunque la permanenza in un luogo per un periodo prolungato apprezzabile (c.d. elemento oggettivo), ma tale che non debba essere necessariamente prevalente sotto un profilo quantitativo, dovendo tale elemento coniugarsi con quello altrettanto rilevante, anzi dirimente, dell’intenzione di stabilirvisi stabilmente (c.d. elemento soggettivo), rivelata dalle proprie consuetudini di vita e dalle proprie relazioni familiari e sociali.”. (Cass. civ., Sez. I, Ord. n. 3841 del 15 febbraio 2021).
Si voglia ulteriormente, riflettere che, tramite l’iscrizione presso il registro anagrafico delle persone senza fissa dimora, ai sensi della normativa quivi scrutinata, il soggetto in parola potrà, finanche, ottenere il rilascio ovvero il rinnovo del documento d’identità.
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3. La Circolare del Ministero dell’Interno n. 8 del 29 maggio 1995
Con il documento in rassegna, si precisa che la richiesta di iscrizione anagrafica è” un diritto soggettivo del cittadino”.
Esso non è oggetto di un’attività discrezionale della P.A., bensì di un’attività vincolata della P.A., ove quest’ultima si limita ad acclarare la presenza oggettiva dei requisiti di legge richiesti per ottenere l’iscrizione presso la competente anagrafe.
Si precisa che un’attività amministrativa che tenti di ostacolare il riconoscimento del diritto all’iscrizione anagrafica è contraria “…alla libertà di spostamento e di stabilimento dei cittadini sul territorio nazionale in palese violazione dell’art. 16 della Carta costituzionale…”.
Come recita la circolare de qua, il concetto di residenza “…è fondato sulla dimora abituale del soggetto sul territorio comunale, cioè dall’elemento obiettivo della permanenza in tale luogo e soggettivo dell’intenzione di avervi stabile dimora…”.
Quale che sia la vigenza della circolare in parola, possiamo ben estendere tali concetti anche al diritto soggettivo del cittadino di ottenere l’iscrizione presso il registro delle persone senza fissa dimora del Comune dove stabilmente dimora.
4. La posizione della giurisprudenza amministrativa
Occorre evidenziare che per la giurisprudenza la residenza “… è anzitutto uno strumento di governo del territorio e di tutela della pubblica sicurezza. Permette alle autorità di pubblica sicurezza di individuare, rintracciare i soggetti iscritti anagraficamente ai fini di legge…”. (Consiglio di Stato, Sez. III, Sentenza n. 11044 del 16 dicembre 2022).
E, ancora, si aggiunge che la residenza “…è uno strumento di garanzia per l’accesso del soggetto ai servizi che sono espressione di diritti fondamentali. Rientrano tra questi, per esempio, l’iscrizione al servizio sanitario e assistenziale territoriale, l’iscrizione nelle liste elettorali, l’accesso al gratuito patrocinio, l’iscrizione nelle liste di collocamento…”. (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 11044/2022, cit.).
Le considerazioni sopra riportate ed espresse dai giudici amministrativi collimano con le riflessioni in precedenza fatte nella presente breve trattazione.
Cosicché il diritto alla residenza deve esser riconosciuto anche alle persone senza fissa dimora posto che “…Se così non fosse, le persone sprovviste di una dimora stabile sarebbero escluse dai servizi essenziali inerenti diritti fondamentali quali, tra gli altri, il diritto alla salute, diritto al lavoro, diritto all’elettorato…”. (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 11044/2022, cit.).
Occorre dar conto che la Giunta Comunale di Roma, modificando le precedenti deliberazioni, ha statuito che il diritto delle persone senza fissa dimora ad ottenere l’iscrizione presso il relativo comune non può esser più oggetto di valutazione discrezionale dei servizi sociali, in quanto, al sussistere delle condizioni di legge, alla persona senza fissa dimora deve esser riconosciuto l’iscrizione presso il pertinente registro. (Cfr. Deliberazione Giunta comunale di Roma n. 110 dell’11 aprile 2024).
5. Conclusioni
Il diritto alla residenza, anche fittizia, è un diritto costituzionale, riconosciuto anche a livello comunitario ed internazionale.
In una società dove le diseguaglianze si accentuano, il divario tra i ricchi ed i poveri si palesa, anche il diritto alla residenza è un diritto universale che deve esser riconosciuto alle persone senza fissa dimora, ancor prima, vorrei dire, soggetti appieno di diritto.
Non può sfuggire a tutti noi, operatori, a vario titolo, del diritto, che il riconoscimento e la difesa di tal diritto universale è il presupposto per l’esercizio ed il godimento di tutti gli altri diritti che appartengono all’essere umano in quanto tale, quali il diritto alla salute, all’esercizio del voto elettorale, ma, in generale, ed in maniera più penetrante, quale diritto che conferisce a quella persona, “gli invisibili”, la propria dignità sociale.
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