A quali atti è applicabile la “nuova” disciplina dell’art. 601, comma 3, cod. proc. pen. introdotta dalla riforma Cartabia?
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Indice
1. La vicenda giudiziaria
La Corte di Appello de L’Aquila confermava quanto statuito con sentenza dal Tribunale di Pescara per un caso di rapina aggravata e lesioni, con il quale l’imputato veniva condannato alla pena comminata da tale Tribunale, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulla recidiva contestata.
Ciò posto, avverso siffatta decisione proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato, il quale deduceva i seguenti motivi: 1) violazione dell’art. 601, comma 5, cod. proc. pen., nonché difetto di motivazione sull’eccezione tempestivamente formulata (della quale la sentenza impugnata dà atto in epigrafe) riguardante il termine a comparire accordato all’imputato per il giudizio di appello, pari a venti giorni in luogo dei quaranta asseritamente dovuti; 2) violazione dell’art. 62, primo comma, n. 4, cod. pen., nonché mancanza e contraddittorietà della motivazione, per non avere la Corte territoriale considerato il valore esiguo della catenina di argento sottratta alla vittima e la pronta restituzione alla stessa del telefono cellulare pure sottrattole, secondo quanto riferito dalla persona offesa.
2. La questione prospettata
La Seconda sezione, assegnataria del suddetto ricorso, ne disponeva la rimessione alle Sezioni unite ai sensi dell’art. 618, comma 1, cod. proc. pen., rilevando l’esistenza di contrasti interpretativi sia in ordine alla determinazione del termine a comparire nel giudizio di appello a far data dal 30 dicembre 2022 (che un orientamento individua in giorni venti ed un altro in giorni quaranta), sia all’individuazione – in presenza di un fenomeno di successione di leggi (l’art. 601 cod. proc. pen., che disciplina gli atti preliminari al giudizio di appello, è stato in parte qua novellato dall’art. 34 D.Lgs. n. 150 del 2022) – dell’atto da valorizzare in concreto ai fini dell’applicazione del principio tempus regit actum.
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Codice penale e di procedura penale e norme complementari
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3. Gli orientamenti giurisprudenziali
Le Sezioni unite, prima di esaminare le questioni summenzionate, procedevano ad una loro delimitazione nei seguenti termini: “se la disciplina dell’art. 601, comma 3, cod. proc. pen., introdotta dall’art. 34, comma 1, lett. g), D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, che individua in quaranta giorni, anziché venti, il termine a comparire nel giudizio di appello, sia applicabile a far data dal 30 dicembre 2022 oppure dal 1 luglio 2024″); “se, in tema di successione di leggi regolanti il termine a comparire nel giudizio di appello, ai fini dell’individuazione della disciplina da applicare, debba farsi riferimento alla data di emissione del decreto di citazione in appello, considerata l’autonoma rilevanza dello stesso, ovvero a quella della deliberazione della sentenza impugnata”.
Ebbene, ad avviso di codeste Sezioni, prima di passare all’esame delle questioni controverse, appariva opportuno ribadire che il mancato rispetto del termine a comparire previsto dall’art. 601, comma 3, cod. proc. pen. per il giudizio di appello integra una nullità di ordine generale c. d. “a regime intermedio“, relativa all’intervento dell’imputato, che deve essere rilevata od eccepita entro i termini previsti dall’art. 180 cod. proc. pen., ovvero prima della deliberazione della sentenza di secondo grado (Sez. 4, n. 48056 del 16/11/2023; Sez. 2, n. 49644 del 02/11/2023; Sez. 1, n. 6613 del 27/10/2022; Sez. 6, n. 28408 del 23/06/2022) visto che deve ritenersi ormai superato il contrario orientamento a parere del quale la predetta nullità aveva natura meramente relativa, non rilevabile di ufficio e sanata se non eccepita nei termini di cui all’art. 181, comma 3, cod. proc. pen., ovvero subito dopo l’accertamento della costituzione delle parti (così, da ultimo, Sez. 2, n. 55171 del 25/09/2018).
Pur tuttavia, nel caso in esame, per la Corte di legittimità, la presunta nullità della citazione dell’imputato ricorrente per il giudizio di appello per violazione dell’art. 601 cod. proc. pen. era stata tempestivamente eccepita.
Premesso ciò, i giudici di piazza Cavour, in ordine alla prima questione controversa, cioè quella concernente l’individuazione del termine per comparire nel giudizio di appello, rilevavano come fossero emersi in giurisprudenza due orientamenti.
In particolare, un primo orientamento (numericamente maggioritario) ritiene che la nuova disciplina dell’art. 601, commi 3, ultimo periodo, e 5, cod. proc. pen., introdotta dall’art. 34, comma 1, lett. g), D.Lgs. n. 150 del 10 ottobre 2022, che individua in quaranta giorni, anziché in venti, il termine per comparire nel giudizio di appello, sia applicabile a far data dal 30 dicembre 2022: ciò si ricaverebbe dal combinato disposto del predetto art. 34, comma 1, lett. g), D.Lgs. n. 150 del 2020, dell’art. 16, comma 1, d. I. 30 dicembre 2021, n. 228, convertito dalla legge 25 febbraio 2022, n. 15 e dell’art. 6 d. I. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito in legge 30 dicembre 2022, n. 199 (che ha novellato l’art. 94 delle disposizioni transitorie del D.Lgs. n. 150 del 2022).
In effetti, le predette disposizioni non si interesserebbero dell’entrata in vigore delle disposizioni novellate riguardanti il termine a comparire per il giudizio di appello – rimessa all’operatività del tradizionale principio tempus regit actum -, ma solo delle modalità di accesso al rito con trattazione partecipata od orale, estendendone l’applicazione, da ultimo, alle impugnazioni proposte fino al 30 giugno 2024 (Sez. 4, n. 20334 del 10/04/2024; Sez. 6, n. 12157 del 20/02/2024; Sez. 2, n. 8976 del 01/02/2024; Sez. 3, n. 5481 del 24/01/2024; Sez. 4, n. 7204 del 23/01/2024; Sez. 3, n. 15115 del 10/01/2024; Sez. 4, n. 48056 del 16/11/2023; Sez. 2, n. 49644 del 02/11/2023).
Più nel dettaglio, secondo Sez. 6, n. 12157 del 20/02/2024, pur dovendosi dare atto dell’obiettiva incertezza determinata dalla scelta normativa di non prevedere una disposizione transitoria ad hoc, dovrebbe comunque previlegiarsi l’interpretazione letterale dell’art. 94, comma 2, D.Lgs. n. 150 del 2022, poiché essa, “lì dove ha espressamente stabilito che “continuano ad applicarsi le disposizioni di cui all’art. 23-bis D.L. n. 137 del 2020″ fino al 30 giugno 2024, non consente in alcun modo di ricomprendere in tale previsione anche il differimento dell’entrata in vigore del termine di comparizione, essendo questo estraneo alle modifiche apportate dalla normativa emergenziale”; questa conclusione sarebbe legittimata dall’evoluzione della normativa transitoria che, nell’originaria previsione, richiamava espressamente l’art. 34, lett. g), D.Lgs. n. 150 del 2022 e, cioè, la norma che contiene anche la modifica del termine di comparizione: “il fatto che nella successiva formulazione dell’art. 94, comma 2, D.Lgs. n. 150 del 2022, tale richiamo non sia stato riprodotto, essendosi fatto riferimento alla sola normativa emergenziale, depone a favore della tesi secondo cui si è voluto non differire l’entrata in vigore della disciplina del termine di comparizione”.
All’opposto, non potrebbe valorizzarsi, in senso contrario, l’esistenza di una presunta interdipendenza tra il termine di comparizione per il giudizio di appello e la disciplina della trattazione emergenziale dettata dall’art. 23-bis D.L. n. 137 del 2020, come convertito, poiché quest’ultima disciplina sarebbe del tutto indipendente dalla determinazione del termine di comparizione, operando indifferentemente sia che il termine di comparizione sia quello originario di venti giorni, sia che si applichi quello più ampio introdotto dalla novella; né potrebbe argomentarsi l’esistenza di una incompatibilità funzionale tra il termine di comparizione introdotto dalla novella e la perdurante applicazione del rito emergenziale, a fronte del dato letterale della norma transitoria, nella quale è stato soppresso il riferimento alla norma che ha modificato il termine dilatorio di cui all’art. 601, comma 3, cod. proc. pen.
Chiarito ciò, un altro orientamento, invece, ritiene che la nuova disciplina dell’art. 601, commi 3, ultimo periodo, e 5, cod. proc. pen., introdotta dall’art. 34, comma 1, lett. g), D.Lgs. n. 150 del 10 ottobre 2022, sia applicabile, per effetto delle disposizioni transitorie ad hoc succedutesi nel tempo, e da ultimo della proroga disposta dall’art. 11, comma 7, d. I. 30 dicembre 2023, n. 215, come convertito, soltanto alle impugnazioni proposte dopo il 30 giugno 2024, ovvero a partire dal 1 luglio 2024: sussisterebbe, infatti, una “stretta correlazione” tra la perdurante applicazione delle disposizioni emergenziali (disposta dalla normativa transitoria emanata ad hoc) e l’entrata in vigore della disciplina riguardante il nuovo termine a comparire per il giudizio di appello (Sez. 2, n. 23261 del 04/04/2024; Sez. 5, n. 5347 del 02/02/2024; Sez. 2, n. 7990 del 31/01/2024; Sez. 2, n. 12621 del 19/12/2023; Sez. 5, n. 14344 del 16/11/2023).
Ebbene, tra queste pronunce, la Sez. 2, n. 7990 del 31/01/2024 evidenzia che l’esistenza di una stretta correlazione fra la perdurante applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 23-bis, commi 1, 2, 3, 4 e 7, del d. I. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, e l’entrata in vigore dell’art. 601, commi 3 e 5, cod. proc. pen. nella nuova formulazione, come modificata dal D.Lgs. n. 150 del 2022 troverebbe conferma nel fatto che la trattazione “cartolare” costituisce allo stato il modello ordinario di celebrazione del processo in appello, risultando la trattazione orale mera ipotesi residuale, conseguente ad una richiesta di parte (art. 601, comma 1) oppure ad una decisione officiosa del giudice, consentita unicamente ricorrendo determinate condizioni (art. 601, comma 3), tenuto conto altresì del fatto che, diversamente opinando, sarebbe, inoltre, necessario ritenere che il decreto di citazione dovrebbe contenere tutti gli avvisi previsti dal testo novellato dell’art. 601 cod. proc. pen. (all’evidenza incompatibili con il rito emergenziale del quale è stata pacificamente disposta l’ultrattività fino al 30 giugno 2024: si pensi ad esempio alle diverse tempistiche per accedere all’udienza partecipata), non essendo stata esclusa dalle disposizioni transitorie de quibus (come interpretate dall’opposto orientamento) l’immediata entrata in vigore di questa parte della predetta disposizione novellata.
4. Dato letterale e principio del “tempus regit actum
Ribadita, in ossequio al primo orientamento, l’assenza di specifiche disposizioni transitorie riguardanti il fenomeno successorio de quo, una decisione (Sez. 2, n. 6010 del 05/12/2023) ha comunque ritenuto doversi fare riferimento, quale atto che determina l’operatività del vecchio o del nuovo termine a comparire per il giudizio di appello, alla data di emissione della sentenza impugnata, richiamando adesivamente un principio già affermato in generale dalle Sezioni Unite (cfr. Sez. U, n. 27614 del 29/03/2007, per la quale, ai fini dell’individuazione del regime applicabile in materia di impugnazioni, allorché si succedano nel tempo diverse discipline e non sia espressamente regolato, con disposizioni transitorie, il passaggio dall’una all’altra, l’applicazione del principio tempus regit actum impone di far riferimento al momento di emissione del provvedimento impugnato e non già a quello della proposizione dell’impugnazione).
Diversamente, ad avviso di Sez. 2, n. 7990 del 31/01/2024, l’accoglimento del primo orientamento, però, non comporterebbe automaticamente che il termine dilatorio novellato di giorni quaranta sarebbe applicabile per i decreti di citazione di appello emessi a partire dal 30 dicembre 2022, occorrendo in proposito avere riguardo al principio tempus regit actum e conseguentemente alle diverse possibili soluzioni interpretative cui sarebbe possibile accedere per individuare l’atto all’uopo valorizzabile.
Concluso tale excursus giurisprudenziale, gli Ermellini facevano altresì presente che, ad ogni modo, nessuna analisi dottrinale risultava ad oggi avere incisivamente riguardato la prima questione sottoposta all’esame del collegio.
Precisato ciò, prima di esaminare siffatta questione, per la Suprema Corte, era altresì opportuno ribadire che, come in ogni altro caso, il criterio fondamentale cui occorre attenersi nell’interpretazione delle disposizioni de quibus è quello del rispetto del dato letterale dei testi normativi, “che costituisce un limite insuperabile anche quando si proceda ad una interpretazione estensiva, e che non può essere in alcun modo valicato mediante il richiamo ai lavori preparatori o alla relazione illustrativa” (Sez. U, n. 12759 del 14/12/2023) dal momento che questa conclusione è imposta, a livello costituzionale, dall’art. 101, secondo comma, Cost. il quale, attraverso la previsione che “(i) giudici sono soggetti soltanto alla legge”, individua, ad un tempo, in quest’ultima il fondamento, ma anche il limite, del potere del giudice.
Del resto, in piena armonia con la predetta previsione, a livello di legge ordinaria il (pur previgente) art. 12 disp. prel. cod. civ. già disponeva che l’unico criterio ermeneutico impiegabile per superare il dato letterale di una disposizione di legge è quello dell’interpretazione analogica, peraltro consentita unicamente nel caso in cui una controversia non possa “essere decisa con una precisa disposizione” (ovvero in presenza di una lacuna, in relazione alla questione controversa in esame non enucleabile) e comunque vietata dall’art. 14 disp. prel. cod. civ. in riferimento alle leggi penali o eccezionali.
D’altro canto, se la stessa giurisprudenza costituzionale ha già chiarito che “la lettera della norma impugnata, il cui significato non può essere valicato neppure per mezzo dell’interpretazione costituzionalmente conforme (sentenza n. 219 del 2008), non consente in via interpretativa di conseguire l’effetto che solo una pronuncia di illegittimità costituzionale può produrre” (sentenza n. 110 del 2012), le medesime Sezioni unite hanno, a loro volta, già chiarito che: – l’art. 101, secondo comma, Cost. pone un principio di “fedeltà del giudice al tenore letterale della disposizione normativa quale canone fondamentale di interpretazione cui si deve attenere” (Sez. U, n. 32938 del 19/01/2023);
– “non basta rilevare un inconveniente o una incongruenza o un effetto anomalo d’una legge per trarne un’interpretazione non consentita dalla lettera della legge stessa, anzitutto, e dai principi del sistema”, poiché quello letterale “non è un criterio interpretativo ma il limite d’ogni altro metodo ermeneutico” (Sez. U, n. 11 del 19/95/1999); – l’interpretazione estensiva “attiene alle ipotesi in cui il risultato interpretativo si mantiene, comunque, all’interno dei possibili significati della disposizione normativa” (Sez. U, n. 14840 del 27/10/2022); – il criterio dell’interpretazione logica e sistematica “non può servire ad andare oltre quello letterale, quando la disposizione idonea a decidere è chiara e precisa” (Sez. U, n. 38810 del 13/06/2022; Sez. U, n. 40986 del 19/07/2018).
Oltre a ciò, si citava per di più quanto già osservato da Sez. U, n. 12759 del 14/12/2023, che, sul punto, ha avuto modo di affermare quanto segue: “l’inammissibilità di operazioni ermeneutiche volte a superare il dato letterale di una disposizione di legge sulla base dei lavori preparatori o della relazione illustrativa del testo normativo è direttamente determinata dal sistema delle fonti del diritto. Invero, i testi di legge sono oggetto di procedure di approvazione “garantite”, nelle quali un ruolo centrale spetta al Parlamento ed alla formale espressione di volontà della sua maggioranza. I testi di legge inoltre sono promulgati dal Presidente della Repubblica e possono essere sottoposti a controllo di legittimità costituzionale, oltre che a referendum abrogativo. Nulla di tutto questo, invece, è dato con riferimento ai lavori preparatori e alla relazione illustrativa”.
D’altro canto, pure in un’altra decisione, sempre emessa dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016), si ricollega l’inidoneità del lavori preparatori a fondare interpretazioni di disposizioni di legge che travalichino il dato letterale delle stesse al rilievo che “proprio l’intenzione del legislatore deve essere “estratta” dall’involucro verbale (“le parole“), attraverso il quale essa è resa nota ai destinatari e all’interprete”: non può, infatti, dubitarsi del fatto “che detta intenzione non si identifichi con quella dell’Organo o dell’Ufficio che ha predisposto il testo, ma vada ricercata nella volontà statuale, finalisticamente intesa”.
L’intenzione del legislatore che, ai sensi dell’art. 12 disp. prel. cod. civ., quindi, per la Corte di legittimità, rappresenta uno dei molteplici criteri per l’interpretazione di una disposizione di legge costituisce, pertanto, un canone sussidiario e recessivo rispetto al criterio dell’interpretazione letterale, e va intesa “in senso “oggettivo“, dunque espressivo del significato immanente nella stessa legge, e non anche in senso “soggettivo“, vale a dire come volontà del legislatore dal punto di vista storico-psicologico” (Sez. U, n. 19357 del 29/02/2024).
D’altronde, rilevavano sempre gli Ermellini nella decisione qui in commento, a conclusioni non difformi sono reiteratamente pervenute in argomento le Sezioni Unite civili, ferme nell’evidenziare che l’interpretazione di ogni disposizione di legge non si sottrae al primato del criterio letterale che, per il suo carattere di oggettività e per il suo naturale obiettivo di ricerca del senso normativo maggiormente riconoscibile e palese, rappresenta il criterio cardine nella interpretazione della legge e concorre alla definizione in termini di certezza, determinatezza e tassatività della fattispecie di volta in volta in questione (Sez. U civ., n. 23051 del 25/07/2022,).
Tal che ne consegue che, nel caso in cui l’interpretazione letterale sia sufficiente ad individuare, in modo chiaro ed univoco, il significato e la portata precettiva di una norma di legge o regolamentare, l’interprete non deve ricorrere al criterio ermeneutico sussidiario della mens legis, il quale acquista un ruolo paritetico e comprimario rispetto al criterio letterale soltanto nel caso in cui, nonostante l’impiego del criterio letterale e del criterio teleologico singolarmente considerati, la lettera della norma rimanga ambigua, mentre “può assumere rilievo prevalente nell’ipotesi, eccezionale, in cui l’effetto giuridico risultante dalla formulazione della disposizione sia incompatibile con il sistema normativo, non essendo, invece, consentito all’interprete correggere la norma nel significato tecnico proprio delle espressioni che la compongono nell’ipotesi in cui ritenga che tale effetto sia solo inadatto rispetto alla finalità pratica della norma stessa” (Sez. U civ, n. 8091 del 23/04/2020), fermo restando che è comune anche il rilievo che ai lavori preparatori non va riconosciuto un peso determinante nel procedimento di interpretazione delle leggi, poiché essi, pur offrendo elementi per l’interpretazione di singole disposizioni, non possono sovrapporsi alla volontà della legge, quale risulta consacrata ed obiettivata nel testo della legge e quale si desume dal significato proprio delle parole usate, dalla sua ratio e dal suo coordinamento nel sistema nel quale va ad inserirsi (Sez. U civ., n. 1455 del 21/05/1973).
Precisato ciò, per altro verso, le Sezioni unite reputavano necessario ribadire che, nella misura in cui l’affidamento costituisce un “valore essenziale della giurisdizione, che va ad integrarsi con l’altro – di rango costituzionale – della “parità delle armi”” e che “soddisfa l’esigenza di assicurare ai protagonisti del processo la certezza delle regole processuali e dei diritti eventualmente già maturati, senza il timore che tali diritti, pur non ancora esercitati, subiscano l’incidenza di mutamenti legislativi improvvisi e non sempre coerenti col sistema, che vanno a depauperare o a disarticolare posizioni processuali già acquisite” (Sez. U, n. 27614 del 29/03/2007), s’impone, in materia processuale, l’esigenza che esso sia tutelato e, quindi, la necessità che le norme siano non soltanto chiare e prevedibili, ma anche interpretate senza stravolgerne, a sfavore dell’interessato, il significato letterale, assumendo in proposito particolare rilievo, pur essendo riferita alla materia civile, una recente decisione della Corte di Strasburgo (Corte EDU, 09/11/2023, Legros ed altri c. Francia, parr. 131 – 132 e parr. 151 ss.) che ha riconosciuto l’esistenza di una violazione dell’art. 6, par. 1, CEDU, per ingiustificato diniego di accesso ad un Tribunale, in un caso nel quale i ricorsi contenziosi dei ricorrenti erano stati dichiarati inammissibili per tardività in forza dell’imprevedibile applicazione retroattiva del nuovo e più breve termine enucleato dalla giurisprudenza a seguito di un revirement del proprio precedente orientamento che, alla data di presentazione dei ricorsi, riteneva applicabile un termine più ampio.
5. Evoluzione normativa e soluzione delle Sezioni Unite sulla nuova disciplina dell’art. 601 c.p.p., co. 3 c.p.p.
Ciò premesso, le Sezioni Unite ritenevano come nel caso di specie fosse corretta la conclusione cui perviene il secondo degli orientamenti in precedenza passati in rassegna.
In particolare, i giudici di piazza Cavour addivenivano a siffatto esito giuridico, rilevando prima di tutto che l’art. 601 cod. proc. pen. è stato modificato dall’art. 34, comma 1, lett. g), nn. 3 e 4), D.Lgs. n. 150 del 2022, attraverso l’aumento del termine a comparire per il giudizio di appello da venti a quaranta giorni: la formulazione novellata della predetta disposizione prevede, rispettivamente, che “Il termine per comparire non può essere inferiore a quaranta giorni” (comma 3, ultimo periodo) e che “Almeno quaranta giorni prima della data fissata per il giudizio di appello, è notificato avviso ai difensori” (comma 5).
Chiarito ciò, si evidenziava in secondo luogo che la Relazione illustrativa allo “Schema dì decreto legislativo recante attuazione della legge 27 settembre 2021 n. 134 recante delega al governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari” ricollegava chiaramente la necessità dell’ampliamento, da venti a quaranta giorni, del termine a comparire per il giudizio di appello alle nuove scansioni temporali imposte dalla novella per l’esercizio del contraddittorio cartolare ovvero per l’accesso alla trattazione partecipata.
In particolare, la Relazione de qua muoveva da alcune premesse che, per la Corte, appariva opportuno sintetizzare nei seguenti termini: “Nel novellato sistema processuale, “le forme di trattazione dell’appello con rito camerale “non partecipato” vengono disciplinate dal nuovo art. 598-bis cod. proc. pen., con modalità simmetriche rispetto al rito davanti alla Corte di cassazione di cui all’art. 611 cod. proc. pen., secondo la seguente cadenza temporale calcolata a ritroso dall’udienza: quindici giorni per le richieste del procuratore generale e per le memorie e richieste scritte delle altre parti, nonché per i motivi nuovi e la richiesta di concordato; cinque giorni per le memorie di replica, termini il cui tassativo rispetto garantisce un funzionamento efficiente del nuovo rito cartolare”. Il termine di quindici giorni prima dell’udienza “costituisce uno snodo processuale fondamentale, anche in considerazione della previsione innovativa che entro tale termine debba essere presentata la richiesta di concordato o a pena d’inammissibilità”. L’altro snodo processuale “è costituito dal termine di quindici giorni dalla ricezione del decreto di citazione in giudizio, entro il quale deve essere presentata a pena d’inammissibilità la richiesta di partecipazione all’udienza dell’appellante o, comunque, dell’imputato o del suo difensore”. Il regime del comma 2 del nuovo art. 598-bis è, pertanto, “coerente con l’impostazione sistematica del codice che colloca le scelte sul rito a valle degli atti propulsivi del procedimento”. Con specifico riferimento alla novellazione dell’art. 601 cod. proc. pen., la predetta Relazione osservava che, “considerata la dialettica anticipata e scritta imposta dal rito “non partecipato”, vengono ampliati a quaranta giorni i termini dilatori (oggi di venti giorni) concessi per comparire e per la notifica dell’avviso di udienza ai difensori, ai sensi dell’art. 601, commi 3 e 5, cod. proc. pen.“.”.
Ebbene, constatato come questa fosse dunque la ragione dell’ampliamento del predetto termine dilatorio, per quanto riguarda i profili di diritto intertemporale, si rilevava come il fenomeno successorio, che ha interessato l’art. 601 cod. proc. pen., fosse stato da principio espressamente regolato dall’art. 94, comma 2, D.Lgs. n. 150 del 2022, a norma del quale “Le disposizioni degli articoli 34, comma 1, lettere c), e), f), g), numeri 2), 3), 4), e h), 35, comma 1, lettera a), e 41, comma 1, lettera ee), si applicano a decorrere dalla scadenza del termine fissato dall’articolo 16, comma 1, del decreto-legge 30 dicembre 2021, n. 228, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 febbraio 2022, n. 15“, fermo restando che quest’ultima disposizione prevedeva, a sua volta, quanto segue: “Le disposizioni di cui all’articolo 221, commi 3, 4, 5, 6, 7, 8 e 10 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, nonché le disposizioni di cui all’articolo 23, commi 2, 6, 7, 8, primo, secondo, terzo, quarto e quinto periodo, 8-bis, primo, secondo, terzo e quarto periodo, 9, 9-bis e 10, e agli articoli 23-bis, commi 1, 2, 3, 4 e 7, e 24 del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, in materia di processo civile e penale, continuano ad applicarsi fino alla data del 31 dicembre 2022″.
Ebbene, se la disposizione transitoria ad hoc inizialmente prevista in relazione alla novella dell’art. 601 cod. proc. pen. ne prevedeva (ad eccezione del comma 1, contenente una mera disposizione di coordinamento) l’applicazione a far data dal 1 gennaio 2023, essa non aveva, però, indicato il momento processuale in relazione al quale si sarebbe dovuta valutare l’applicabilità della nuova disciplina, ovvero se dovesse all’uopo aversi riguardo alla data della pronuncia della sentenza impugnata, alla data del deposito dell’atto d’impugnazione (e, in presenza di plurimi atti d’impugnazione, se di quello proposto per primo o per ultimo), ovvero alla data di emissione del decreto di citazione per il giudizio di appello.
Invero, se il D.Lgs. n. 150 del 2022, pubblicato in GU, Supplemento ordinario, n. 243 del 17 ottobre 2022, doveva inizialmente entrare in vigore a partire dal 1 novembre 2022, l’art. 6 d. I. n. 162 del 31 ottobre 2022 ha tuttavia inserito nel predetto D.Lgs. il nuovo art. 99-bis, che ne prorogava la vigenza al 30 dicembre 2022: è stata, in tal modo, uniformata l’entrata in vigore dell’intero D.Lgs. n. 150 del 2022, ad eccezione delle specifiche disposizioni per le quali è stata espressamente stabilita una diversa vigenza, pur rimanendo fermo che l’art. 601, come novellato, sarebbe entrato in vigore a partire dal 1 gennaio 2023.
Orbene, a fronte di tale stato delle cose, l’Ufficio del Massimario (relazione n. 68/2022) aveva immediatamente evidenziato che il previsto regime transitorio poneva, relativamente ai giudizi d’appello “in corso” alla data di entrata in vigore della riforma, un problema non superato dall’operato differimento, ex art. 99-bis D.Lgs. n. 150 del 2022, dell’entrata in vigore al 30 dicembre 2022 dell’intero d.lgs., poiché, comunque, fino al 31 dicembre 2022 avrebbe trovato applicazione, in forza dell’art. 94, comma 2, stesso d.lgs., la disciplina emergenziale: si era, in particolare, evidenziato che, “relativamente agli appelli già proposti alla data del 30 dicembre 2022 ma rispetto ai quali non sia stata fissata la data per la trattazione, ricadente quindi dopo il 1 gennaio 2023, si pone la questione se operi il termine minimo per la comparizione di venti giorni previsto dal vecchio art. 601, comma 3, cod. proc. pen. nel testo ante riforma, o se debba già trovare applicazione il nuovo termine di quaranta giorni previsto dal riscritto art. 601 cod. proc. pen. post riforma”.
Ad ogni modo, l’art. 94, comma 2, D.Lgs. n. 150 del 2022 è stato, a sua volta, novellato dall’art. 5-duodecies D.L. 31 ottobre 2022, n. 162, introdotto, in sede di conversione con modificazioni del predetto decreto-legge, dalla l. 30 dicembre 2022, n. 199, il quale stabilisce quanto sussegue: “2. Per le impugnazioni proposte entro il 30 giugno 2023 continuano ad applicarsi le disposizioni di cui all’articolo 23, commi 8, primo, secondo, terzo, quarto e quinto periodo, e 9, nonché le disposizioni di cui all’articolo 23-bis, commi 1, 2, 3, 4 e 7, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176. Se sono proposte ulteriori impugnazioni avverso il medesimo provvedimento dopo il 30 giugno 2023, si fa riferimento all’atto di impugnazione proposto per primo”.
Dunque, per effetto di tale novella legislativa, è stata, pertanto, prevista la perdurante efficacia, fino al 30 giugno 2023, delle disposizioni emergenziali in tema di procedimento c.d. cartolare sopra richiamate, individuando nella proposizione dell’impugnazione il momento del processo in relazione al quale valutare l’applicabilità di tale nuova disciplina, fermo restando che, ai sensi dell’art. 1, comma 2, I. n. 199 del 2022, la predetta modifica legislativa è entrata in vigore il 31 dicembre 2022, ovvero nella medesima data indicata quale limite temporale di applicazione del novellato art. 601 cod. proc. pen. dalla previgente formulazione dell’art. 94, comma 2, D.Lgs. n. 150 del 2022.
Dunque, a fronte del succedersi di tali norme giuridiche, a sua volta, la Relazione ministeriale, alla proposta di emendamento della originaria disposizione transitoria contenuta nel D.L. n. 162 osservava che, a seguito del differimento dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 150, “la cessazione dell’efficacia del regime emergenziale viene esattamente a sovrapporsi all’entrata in vigore del nuovo regime”, evidenziando oltre tutto che “il nuovo modello di udienza non partecipata implica la preventiva adozione di un decreto di citazione con determinati avvisi e requisiti”, tale da comportare una diversa modulazione dei termini entro i quali le parti hanno l’onere di richiedere la partecipazione in udienza e, per il giudizio di appello, l’introduzione di termini dilatori più ampi di quelli precedentemente previsti per la notifica alle parti.
Si riteneva, di conseguenza, a fronte di tale situazione, indispensabile dettare una disciplina transitoria per chiarire le modalità di transizione dal precedente regime a quello nuovo.
Ciò premesso, si chiariva come, a tal fine, fosse opportuno “far ricorso a meccanismi già ampiamente sperimentati e che hanno trovato piena adesione da parte degli operatori, prevedendosi quindi che per i procedimenti nei quali l’impugnazione sia stata proposta prima della scadenza del 31 gennaio 2022 continuino ad applicarsi le disposizioni “emergenziali” di cui all’art. 23, comma 8, primo, secondo, terzo, quarto e quinto periodo, e comma 9, e di cui all’art. 23-bis, commi 1, 2, 3, 4 e 7 del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176“.
In sede di conversione, la disposizione de qua veniva però emendata in termini diversi da quelli proposti dal Ministero della Giustizia.
In particolare, si stabiliva che le “disposizioni emergenziali” continuassero a trovare applicazione a tutti i procedimenti impugnatori instaurati con impugnazioni proposte entro il 30 giugno 2023 (termine, come si vedrà, in seguito ulteriormente prorogato al 30 giugno 2024).
Nondimeno, pur essendo mutato l’elemento valorizzabile ai fine del predetto discrimen, poteva dirsi rimasta ferma la volontà di disciplinare con omogeneità il passaggio dal “rito emergenziale puro” al “rito novellato puro“, senza prevederne commistioni, ovvero senza accedere – in fase transitoria – alla creazione di un terzo regime per così dire “misto“, in parte “emergenziale“, in parte “novellato“.
Ebbene, per le Sezioni unite, a questo punto della disamina, apparibs di grande significato, ai fini della risoluzione della prima questione controversa, il Dossier del Servizio studi del Senato riguardante la conversione del D.L. n. 162 del 2022, che documenta espressamente la voluntas legis di risolvere il problema posto dal D.L. n. 162 del 2022 e segnalato dall’Ufficio del Massimario, dato che si afferma in esso che, con l’introduzione dell’illustrato regime transitorio, “il legislatore ha mostrato di recepire le osservazioni formulate dall’Ufficio del massimario della Corte di cassazione che, con riferimento alla sostituita disciplina transitoria, aveva rilevato come, relativamente agli appelli già proposti alla data del 30 dicembre 2022, ma rispetto ai quali non fosse stata fissata la data per la trattazione, ricadente quindi dopo il 1 gennaio 2023, si poneva la questione se operasse il termine minimo per la comparizione di venti giorni previsto dal vecchio art. 601, comma 3, cod. proc. pen. nel testo ante riforma, o se dovesse già trovare applicazione il nuovo termine di quaranta giorni previsto dal riscritto art. 601 cod. proc. pen. post riforma”.
In particolare, dopo avere riepilogato i rilievi dell’Ufficio del Massimario, il predetto Dossier evidenzia che, con la disciplina transitoria in esame, il legislatore ha risolto il dubbio interpretativo sollevato, “specificando che, ove l’impugnazione sia proposta entro il 30 giugno 2023 (termine, come si vedrà, in seguito ancora prorogato al 30 giugno 2024), le fasi successive del procedimento continuano ad essere disciplinate dalla normativa emergenziale, attualmente in vigore, indipendentemente dalla circostanza che l’udienza di trattazione sia successiva alla scadenza di tale termine, trovando la nuova disciplina applicazione solo per le impugnazioni proposte dopo la scadenza del citato termine. Tale decisione risulta ispirata al principio tempus regit actum, nel senso che, per individuare la disciplina regolatrice dello svolgimento del giudizio di impugnazione, occorre fare riferimento al regime giuridico vigente al momento in cui l’atto introduttivo di impugnazione è stato proposto”.
Ciò posto, si notava comunque che l’art. 17 d. I. 22 giugno 2023, n. 75 (entrato in vigore il giorno seguente) ha ulteriormente novellato l’art. 94, comma 2, D.lgs. n. 150 del 202.2, stabilendo quanto segue: “Per le impugnazioni proposte sino al quindicesimo giorno successivo alla scadenza del termine del 31 dicembre 2023, di cui ai commi 1 e 3 dell’articolo 87, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui agli articoli 23, commi 8, primo, secondo, terzo, quarto e quinto periodo, e 9, e 23-bis, commi 1, 2, 3, 4 e 7, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176. Se sono proposte ulteriori impugnazioni avverso il medesimo provvedimento dopo la scadenza dei termini indicati al primo periodo, si fa riferimento all’atto di impugnazione proposto per primo”.
Orbene, alla luce di tale dettato normativo, è stata in tal modo estesa la vigenza delle indicate disposizioni emergenziali in tema di procedimento c.d. cartolare, riferendola alle impugnazioni proposte fino a 15 giorni dopo il 31 dicembre 2023 (data individuata in relazione all’art. 87, commi 1 e 3, D.lgs. n. 150 del 2022, recante la disciplina transitoria in materia di processo penale telematico).
8.7.1, fermo restando che, in sede di conversione con modificazioni del predetto d.I. n. 75, la legge 10 agosto 2023, n. 112 (entrata in vigore il 17 agosto 2023) ha apportato all’art. 94, comma 2, D.Lgs. n. 150 del 2022, come sostituito dal citato art. 17 d. I. n. 75 del 2023, modifiche meramente formali.
Infine, a compimento di questo iter particolarmente complesso, l’art. 11, comma 7, d. I. 30 dicembre 2023, n. 215 (c.d. “Decreto Milleproroghe 2023”, entrato in vigore il giorno successivo ed in seguito convertito), come sostituito, in sede di conversione, dalla I. 23 febbraio 2024, n. 18, ha stabilito quanto sussegue: “7. All’articolo 94, comma 2, del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, recante disposizioni transitorie in materia di giudizi di impugnazione, le parole: “sino al quindicesimo giorno successivo alla scadenza del termine del 31 dicembre 2023, di cui ai commi 1 e 3 dell’articolo 87,” sono sostituite dalle seguenti: “sino al 30 giugno 2024”.
Ebbene, all’esito della ricostruzione delle vicende normative che hanno caratterizzato il fenomeno successorio de quo, le Sezioni unite rilevavano quanto segue.
Si evidenziava innanzitutto che, da un punto di vista logico-sistematico, la dichiarata ratio della novellazione riguardante il termine dilatorio (aumentato dal D.lgs. n. 150 del 2022 da venti a quaranta giorni) previsto dall’art. 601 cod. proc. pen., individuata nell’esigenza di tenere conto delle nuove scansioni procedimentali previste per l’accesso al contraddittorio “cartolare” ed a quello “partecipato“, e il differimento della vigenza di tali nuove disposizioni, renderebbero incomprensibile l’entrata in vigore della sola nuova disposizione riguardante l’aumento del termine dilatorio da venti a quaranta giorni (che il legislatore considera inscindibilmente ricollegata alle residue parti della novella) e non anche, contestualmente, delle ulteriori disposizioni novellate del predetto art. 601.
Orbene, per la Corte di legittimità, il mutamento, in sede di conversione, della disposizione transitoria presente nel testo originario del D.L. n. 162 del 2022 appare di per sé indicativo della voluntas legis di dettare una normativa transitoria diversa, superflua se, come ritenuto dal primo orientamento, anche la disposizione introdotta in sede di conversione dalla legge n. 199 del 2022 avesse previsto l’applicazione dell’intero art. 601 cod. proc. pen. (ad eccezione dell’ininfluente comma 1) a partire dal 1 gennaio 2023.
L’operatività (da ultimo fino al 30 giugno 2024) dell’art. 23-bis, comma 4, della disciplina emergenziale, che disciplinava l’accesso all’esercizio del contraddittorio cartolare ed alla trattazione orale, conferma quindi, ad avviso degli Ermellini,, in difetto di una contraria espressa disposizione transitoria, la perdurante efficacia anche della originaria previsione del termine dilatorio di giorni venti contenuta nel testo ante novella dell’art. 601 cod. proc. pen., ed il differimento della vigenza del nuovo e più ampio termine dilatorio di giorni quaranta posto che la normativa emergenziale era stata ab initio concepita come complemento, in deroga, di quella ordinaria, che la prima presupponeva inscindibilmente; di qui, l’impossibilità di ritenere che la sopravvenuta ultrattività dei segmenti della disciplina emergenziale prescindesse dalla disciplina ante novella del termine dilatorio per il giudizio di appello.
D’altro canto, sempre per le Sezioni unite, questa affermazione si pone in linea con la espressa voluntas legis, inequivocabilmente emergente dai lavori preparatori, di non dar vita, in fase transitoria, ad un terzo regime, disciplinato in parte dalla normativa emergenziale e in parte dalla novella dato che tale volontà è ragionevolmente giustificata dalla necessità di venire incontro alle esigenze di certezza degli operatori del diritto ed ha coerentemente portato alla conferma dell’operatività di meccanismi processuali ormai ampiamente collaudati ed oggetto di interpretazioni costanti, che non ponevano più problemi esegetici, diversamente da quanto sarebbe inevitabilmente accaduto ove si fosse optato per la creazione, medio tempore, di un terzo regime, “misto“, derivante in parte dall’applicazione ultrattiva di segmenti della normativa emergenziale ed in altra parte dall’anticipazione della vigenza di segmenti della novella.
Peraltro, per i giudici di legittimità ordinaria, se la lettura delle norme transitorie succedutesi proposta dall’orientamento che ritiene entrata in vigore la sola parte della novella dell’art. 601 cod. proc. pen. riguardante il termine dilatorio di giorni quaranta fosse corretta, dovrebbe – per le medesime ragioni sistematiche – derivarne anche l’entrata in vigore delle residue disposizioni novellate di cui al predetto articolo 601, disciplinanti la possibilità di disporre la trattazione orale di ufficio (in ordine alla quale la normativa emergenziale ultrattiva è silente), le forme e i termini degli avvisi e le modalità di accesso alla trattazione “cartolare” oppure a quella “partecipata“, al contrario tutte sicuramente differite perché senz’altro incompatibili con l’art. 23-bis, comma 4, delle disposizioni emergenziali, la cui operatività risulta pacificamente prorogata, così come è ugualmente incompatibile “per eccesso” con le parti della normativa emergenziale che hanno conservato vigenza fino al 30 giugno 2024, risulterebbe anche l’immediata entrata in vigore del nuovo e più ampio termine dilatorio di giorni quaranta visto che l suo ampliamento, dichiaratamente funzionale all’applicazione delle nuove disposizioni in tema di accesso al contraddittorio “cartolare” ed a quello “partecipato” (peraltro incompatibili con le parti del rito emergenziale delle quali è stata da ultimo prevista l’ultrattività fino al 30 giugno 2024, e quindi sicuramente non ancora vigenti), risulterebbe eccentrico rispetto alle finalità perseguite dal legislatore, ossia il mantenimento in toto del collaudato regime emergenziale fino all’integrale entrata in vigore del regime risultante all’esito della novella.
Tra l’altro, per i giudici di piazza Cavour, la soluzione prescelta non si pone in contrasto con la formulazione letterale delle disposizioni transitorie succedutesi nel tempo, ed appare, anzi, in linea con le indicazioni emergenti dal complesso dei lavori preparatori innanzi riepilogato, che delle predette disposizioni transitorie chiarisce, puntualmente ed univocamente, la genesi e – nel caso della legge n. 199 del 2002 – le ragioni dell’evoluzione.
Le Sezioni unite, di conseguenza, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, giungevano alla conclusione secondo la quale la disciplina dell’art. 601, comma 3, ultimo periodo, cod. proc. pen., introdotta dall’art. 34, comma 1, lett. g), d. Igs. 10 ottobre 2022, n. 150, nella parte in cui individua in quaranta giorni il termine a comparire nei giudizi di appello, è applicabile ai soli atti di impugnazione proposti a far data dal 1 luglio 2024.
Difatti, siffatte Sezioni componevano il primo contrasto giurisprudenziale summenzionato nei seguenti termini: “la disciplina dell’art. 601, comma 3, cod. proc. pen., introdotta dall’art. 34, comma 1, lett. g), D.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, che individua in quaranta giorni il termine a comparire nei giudizi di appello, è applicabile ai soli atti di impugnazione proposti a far data dal 1 luglio 2024”.
Invece, per quanto riguarda la seconda questione, per il Supremo Consesso, la soluzione accolta in ordine alla prima questione la rendeva priva di rilievo, ai fini della decisione, che non veniva quindi esaminata.
6. Conclusioni
Fermo restando che l’art. 34, comma 1, lett. g), n. 3, D.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, tra le modifiche apportata all’art. 601, co. 3, cod. proc. pen., ha previsto anche che il termine a comparire nei giudizi di appello venisse elevato da venti a quaranta giorni, con la pronuncia qui in commento, è chiarito a partire da quali atti di impugnazione, temporalmente “parlando”, sia applicabile siffatto termine “più lungo”.
Difatti, come appena visto, a fronte di un pregresso contrasto ermeneutico su tale questioni, le Sezioni unite hanno chiarito, nella pronuncia qui in commento, che questo “nuovo” termine di quaranta giorni, anziché di quello di venti giorni (preveduto in precedenza), si riferisca ai soli atti di impugnazioni proposti a partire dal 1 luglio del 2024 (e, dunque, non prima).
Solo dunque per questi atti, è possibile prendere in considerazione il termine a comparire attualmente previsto dall’art. 601, co. 3, cod. proc. pen..
Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, poiché fa certezza su siffatta tematica procedurale sotto il versante giurisprudenziale, non può che essere positivo.
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