Le Sezioni Unite della Cassazione hanno definito i confini dell’autotutela tributaria, legittimandone l’esercizio in malam partem nel rispetto dei principi di legalità, capacità contributiva e affidamento del contribuente.
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Indice
1. Il fatto
La vicenda ha origine da un intervento dell’Agenzia delle Entrate che, dopo aver notificato un avviso di accertamento basato su presunte movimentazioni bancarie non giustificate, ha proceduto ad annullare tale atto in autotutela, emettendone uno successivo con un imponibile più elevato. La nuova pretesa tributaria, non accompagnata da elementi di fatto sopravvenuti, è stata contestata dal contribuente, che ha sostenuto la violazione dei principi di stabilità e tutela dell’affidamento. Dopo essere stata esaminata dalle commissioni tributarie, la controversia è approdata in Cassazione, dove le Sezioni Unite sono state chiamate a risolvere il nodo sulla legittimità dell’autotutela esercitata a sfavore del contribuente.
2. Gli orientamenti giurisprudenziali sull’autotutela tributaria
Il primo orientamento, prevalente, sostiene che l’autotutela tributaria debba essere considerata uno strumento ampio, capace di intervenire per garantire il rispetto della legalità fiscale. Secondo questa visione, l’Agenzia delle Entrate può annullare un atto originario anche per correggere errori sostanziali, senza necessità di nuovi elementi, purché l’intervento avvenga entro i termini di decadenza per l’accertamento e non vi sia un giudicato. Questa interpretazione trova fondamento nel principio costituzionale di capacità contributiva, sancito dall’art. 53 Cost., che impone un sistema fiscale equo e proporzionato alla situazione economica di ciascun contribuente.
Il secondo orientamento, minoritario, propone invece una lettura più restrittiva. Secondo questa posizione, l’autotutela dovrebbe limitarsi alla correzione di vizi formali o, al massimo, operare in favore del contribuente. Qualsiasi modifica peggiorativa sarebbe ammissibile solo attraverso un accertamento integrativo, regolato dall’art. 43 del d.P.R. 600/1973, che richiede la scoperta di nuovi elementi, in base al principio di unicità dell’accertamento e sulla tutela dell’affidamento del contribuente, che deve poter contare sulla stabilità degli atti amministrativi.
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Prova e onere probatorio nel nuovo processo tributario
Il presente volume ha l’obiettivo di rendere accessibile agli operatori del diritto tributario il regime di ricerca e formazione della prova e della suddivisione dell’onere probatorio nell’ambito del processo.L’opera è aggiornata alle ultime novità legislative in tema di contenzioso tributario e Statuto del contribuente, accertamento tributario e concordato preventivo biennale, fino alle recenti Risposte del MEF in occasione dei quesiti di Telefisco.Il testo è suddiviso in tre parti: la prima approfondisce le nozioni di procedimento, processo e prova prima della riforma del processo tributario; nella seconda, oltre ad affrontare l’impatto sul giudizio tributario dei nuovi istituti introdotti dalla legge di riforma, si analizza quali siano i mezzi di prova ammessi, quali quelli esclusi e come circoli la prova tra i processi penale, civile e tributario, anche alla luce dei decreti attuativi della Riforma fiscale (Legge delega 111/2023).La terza parte approfondisce i primi arresti giurisprudenziali, sia di merito, che di legittimità, con uno sguardo alla recente Sentenza dell’11 gennaio 2024 della CGUE in tema di onere della prova e di primato del diritto europeo.Flavio CarlinoAvvocato, Dottore Commercialista, Revisore Legale e Giornalista Pubblicista. Founder dello Studio legale-tributario Carlino dal 1991, ha un’esperienza ultratrentennale nel campo della consulenza nel settore tributario. Nel 2022 ha fondato l’Associazione Italiana Avvocati Commercialisti (A.I.A.C.), di cui è attualmente Presidente, ed ha creato una rete di professionisti con 20 sedi su tutto il territorio nazionale. CTU e perito presso il Tribunale di Lecce, è difensore tributario di enti pubblici e privati.
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3. La soluzione adottata dalle Sezioni Unite
Le Sezioni Unite hanno optato per l’orientamento prevalente, chiarendo che l’autotutela tributaria può essere utilizzata non solo per correggere errori formali, ma anche per rimediare a errori sostanziali, persino quando ciò comporti un aggravio per il contribuente. Tuttavia, l’esercizio di questo potere è rigorosamente vincolato al rispetto di limiti precisi. In particolare, i giudici hanno stabilito che l’Agenzia delle Entrate può annullare un atto favorevole al contribuente e sostituirlo con uno più oneroso, anche senza l’apporto di nuovi elementi di fatto, a condizione che l’intervento sia effettuato entro i termini di decadenza previsti per l’accertamento e che non vi siano decisioni giurisdizionali definitive che ne impediscano la modifica. L’assunto si fonda sul principio costituzionale di capacità contributiva, che impone un sistema fiscale equo e proporzionato alla reale capacità economica del contribuente.
Un aspetto importante della sentenza riguarda la netta distinzione tra l’autotutela sostitutiva e l’accertamento integrativo. Le Sezioni Unite hanno precisato che l’autotutela sostitutiva consente di correggere vizi presenti già nell’atto originario, senza che sia necessario introdurre nuovi fatti. Diversamente, l’accertamento integrativo richiede l’emersione di elementi nuovi, non conosciuti al momento della prima emissione, che giustifichino un’ulteriore pretesa fiscale. Con questa distinzione, la Corte ha voluto evitare che l’autotutela venga utilizzata in modo arbitrario o per eludere i requisiti più stringenti previsti per l’accertamento integrativo.
La sentenza non trascura la tutela del contribuente, richiamando l’importanza del principio di affidamento. Pur ribadendo la priorità dell’interesse pubblico alla corretta riscossione dei tributi, i giudici hanno sottolineato che ogni intervento dell’Amministrazione deve essere accompagnato da una motivazione puntuale, che renda trasparente il passaggio dal primo atto al nuovo provvedimento.
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4. Il principio di diritto
«In caso di autotutela tributaria sostitutiva in malam partem, con adozione di un nuovo atto per una maggiore pretesa in sostituzione di quello annullato, il legittimo affidamento del contribuente non è integrato dalla mera esistenza del precedente atto viziato ovvero dall’errata valutazione delle circostanze poste a suo fondamento, ostandovi il generale dovere di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva in forza degli artt. 2 e 53 Cost.; può, per contro, assumere rilievo, ai fini della configurabilità del legittimo affidamento, l’esistenza di specifiche indicazioni erronee o di condotte intrinsecamente contraddittorie da parte dell’agenzia fiscale anteriormente all’adozione dell’atto illegittimo qualora le somme pretese siano state compiutamente versate e ricorrano ragioni di certezza e stabilità».
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