Estinzione reato per condotte riparatorie: il consenso della persona offesa

In materia di estinzione del reato per condotte riparatorie, è necessario il consenso della persona offesa? Commento a sentenza.

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(Riferimento normativo: Cod. pen., art. 162-ter)

Corte di Cassazione -sez. V pen.- sentenza n. 41899 del 25-09-2024

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Indice

1. La questione: estinzione del reato


Il Tribunale di Verona, in composizione monocratica, dichiarava estinto un processo per esito positivo delle condotte riparatorie nei confronti di una persona imputata del delitto di cui all’art. 81 cpv.,610 cod. pen. e della contravvenzione di cui all’art. 81 cpv., 660 cod. pen..
Ciò posto, avverso questa decisione ricorreva per Cassazione il Procuratore generale presso la Corte di Appello di Venezia, deducendo inosservanza della legge penale ai sensi dell’art. 606 lett. b) cod. proc. pen. e, in particolare, dell’art. 162 ter cod. pen., richiamato a fondamento dell’intervenuta declaratoria di estinzione dei reati per effetto di condotta riparatoria, sia perché il presunto ristoro del danno era intervenuto dopo la dichiarazione di apertura del giudizio di primo grado, sia perché il pubblico ministero e la difesa di parte civile si erano opposti alla decisione, così da generare l’operatività del disposto dell’art. 469 cod. proc. pen., preclusivo della immediata pronuncia della liberatoria. Per un valido supporto per professionisti consigliamo: Codice penale e di procedura penale e norme complementari -Edizione 2024. Aggiornato alla Riforma Nordio e al decreto Svuota Carceri

FORMATO CARTACEO

Codice penale e di procedura penale e norme complementari

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2. La soluzione adottata dalla Cassazione


Il Supremo Consesso, nel ritenere il ricorso suesposto fondato, reputava però non condivisibile la considerazione, sostenuta dal ricorrente, secondo la quale l’esercizio della potestà del giudice di dichiarare l’estinzione del reato per condotta riparatoria intervenuta prima del dibattimento è subordinato alla sequela della procedura prevista dall’art. 469 cod. proc. pen., che riguarda gli esiti di proscioglimento predibattimentale, tra i quali compare la declaratoria di intervenuta estinzione del reato, condizionati, a pena di nullità di ordine generale, dalla consultazione e, soprattutto, dalla non opposizione del pubblico ministero e dell’imputato (come affermato da sez. 2, n. 39252 del 22/06/2021).
In particolare, tra le argomentazioni che inducevano i giudici di piazza Cavour ad addivenire a siffatta valutazione giuridica, militava a loro avviso il dato letterale perché l’art. 162 ter comma 1 cod. pen. impone al giudice di sentire “le parti e la persona offesa” prima di pronunciare sentenza dichiarativa dell’estinzione del reato per effetto di condotta riparatoria, ma – a differenza di quanto espressamente previsto dall’art. 469 cod. proc. pen. – non ha fatto dipendere la legittimità della decisione dal mancato dissenso delle parti, tenuto conto altresì del fatto che l’esegesi preferita – che, nell’ambito della procedura riparatoria, assegna al contributo delle parti valenza eminentemente orientativa, ma non vincolante – si allinea, del resto, all’indirizzo ermeneutico della giurisprudenza di legittimità che si è occupata dell’applicabilità dell’analogo, sia pur non sovrapponibile, istituto di cui all’art. 35 del Decr. Lgs. n. 274 del 2000, in tema di estinzione dei reati di competenza del giudice di pace in conseguenza dell’intervenuta riparazione del danno cagionato dall’illecito, propendendosi per l’interpretazione ad litteram, affermandosi che l’estinzione del reato è soggetta alla valutazione di congruità del giudice, ma la norma citata, nel disciplinare che siano state previamente sentite le parti, non prevede che sia stato acquisito il consenso (del pubblico ministero, dell’imputato e/o) della persona offesa; ne deriva che è legittima la declaratoria di estinzione del reato per intervenuta riparazione del danno qualora, pur nel dichiarato dissenso della persona offesa per l’inadeguatezza della somma di denaro posta a sua disposizione dall’imputato quale risarcimento, il giudice esprima una motivata valutazione di congruità della stessa con riferimento alla soddisfazione tanto delle esigenze compensative quanto di quelle retributive e preventive (cfr. sez. U, n. 33864 del 23/04/2015).

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3. Conclusioni


La decisione qui in esame desta un certo interesse essendo ivi chiarito se, in materia di estinzione del reato per condotte riparatorie, sia necessario il consenso della persona offesa.
Si fornisce difatti in tale pronuncia una risposta negativa a siffatto quesito, soprattutto alla luce del tenore testuale della disposizione legislativa che contempla tale istituto, vale a dire l’art. 162-ter cod. pen.[1], essendo ivi disposto al primo comma unicamente che il “giudice dichiara estinto il reato, sentite le parti e la persona offesa”, mentre non si richiede un espresso consenso e, dunque, un mancato dissenso, esplicito o implicito che sia, affinché la causa di estinzione di reato preveduta da siffatto precetto normativo possa essere riconosciuta.
È dunque sconsigliabile, perlomeno alla luce di quanto statuito in codesta sentenza, contestare il riconoscimento di siffatta causa estintiva, sia laddove non vi sia il consenso della persona offesa, sia quando non sia espresso un dissenso da parte di costei.
Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, poiché prova a fare chiarezza su siffatta tematica giuridica sotto il versante giurisprudenziale, non può che essere positivo.

Note


[1] Ai sensi del quale: “Nei casi di procedibilità a querela soggetta a remissione, il giudice dichiara estinto il reato, sentite le parti e la persona offesa, quando l’imputato ha riparato interamente, entro il termine massimo della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e ha eliminato, ove possibile, le conseguenze dannose o pericolose del reato. Il risarcimento del danno può essere riconosciuto anche in seguito ad offerta reale ai sensi degli articoli 1208 e seguenti del codice civile, formulata dall’imputato e non accettata dalla persona offesa, ove il giudice riconosca la congruità della somma offerta a tale titolo.
Quando dimostra di non aver potuto adempiere, per fatto a lui non addebitabile, entro il termine di cui al primo comma, l’imputato può chiedere al giudice la fissazione di un ulteriore termine, non superiore a sei mesi, per provvedere al pagamento, anche in forma rateale, di quanto dovuto a titolo di risarcimento; in tal caso il giudice, se accoglie la richiesta, ordina la sospensione del processo e fissa la successiva udienza alla scadenza del termine stabilito e comunque non oltre novanta giorni dalla predetta scadenza, imponendo specifiche prescrizioni. Durante la sospensione del processo, il corso della prescrizione resta sospeso. Si applica l’articolo 240, secondo comma. Il giudice dichiara l’estinzione del reato, di cui al primo comma, all’esito positivo delle condotte riparatorie”.

Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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