La valutazione sulla responsabilità dei sanitari deve essere effettuata ponendosi in una prospettiva ex ante (cioè nel momento in cui essi hanno agito). Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica
Indice
1. I fatti: valutazione responsabilità dei sanitari
I genitori di un ragazzo deceduto convenivano in giudizio l’ospedale locale addebitandogli la morte del proprio congiunto.
In particolare, gli attori sostenevano che il proprio figlio, poco dopo essere entrato a scuola, veniva colpito da un attacco di tosse con fuoriuscita di molto sangue dalla bocca e pertanto veniva ricoverato immediatamente presso il pronto soccorso della struttura sanitaria convenuta. Dopo i primi accertamenti disposti dal pronto soccorso, il ragazzo veniva ricoverato per sospetta emottisi e sottoposto ad ulteriori esami all’apparato respiratorio. Tre giorni dopo il ricovero, il ragazzo veniva dimesso con la diagnosi di flogosi delle alte vie aree e prescrizione di terapia antibiotica per 4 giorni.
Purtroppo, però, dopo 5 cinque dalle dimissioni, mentre si trovava nel cortile di casa, il ragazzo accusava nuovamente malessere e perdeva nuovamente sangue dalla bocca. All’arrivo delle ambulanze il ragazzo risultava privo di coscienza e nonostante la aspirazione del materiale ematico e l’intubamento, con manovre di rianimazione cardiopolmonare, dopo circa 30 minuti i sanitari erano costretti a constatare il decesso.
In considerazione di ciò, gli attori sostenevano che vi era stato un inadempimento della struttura sanitaria per non aver approfondito la patologia del figlio mediante l’esecuzione di una TAC a seguito della prima emorragia e che tale accertamento diagnostico avrebbe scongiurato la seconda emorragia poi rivelatasi fatale. Secondo gli attori, infatti, la TAC avrebbe permesso di scoprire la presenza di una malformazione arterovenosa polmonare del proprio figlio e quindi di disporre l’esecuzione di un intervento di escissione chirurgica, che avrebbe impedito la seconda emorragia e quindi la morte del figlio.
La struttura sanitaria convenuta chiedeva invece il rigetto della domanda attorea, ritenendo che alcuna inadempimento fosse imputabile ai sanitari che avevano avuto in cura il ragazzo. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica
Manuale pratico operativo della responsabilità medica
La quarta edizione del volume esamina la materia della responsabilità medica alla luce dei recenti apporti regolamentari rappresentati, in particolare, dalla Tabella Unica Nazionale per il risarcimento del danno non patrimoniale in conseguenza di macrolesioni e dal decreto attuativo dell’art. 10 della Legge Gelli – Bianco, che determina i requisiti minimi delle polizze assicurative per strutture sanitarie e medici. Il tutto avuto riguardo all’apporto che, nel corso di questi ultimi anni, la giurisprudenza ha offerto nella quotidianità delle questioni trattate nelle aule di giustizia. L’opera vuole offrire uno strumento indispensabile per orientarsi tra le numerose tematiche giuridiche che il sottosistema della malpractice medica pone in ragione sia della specificità di molti casi pratici, che della necessità di applicare, volta per volta, un complesso normativo di non facile interpretazione. Nei singoli capitoli che compongono il volume si affrontano i temi dell’autodeterminazione del paziente, del nesso di causalità, della perdita di chances, dei danni risarcibili, della prova e degli aspetti processuali, della mediazione e del tentativo obbligatorio di conciliazione, fino ai profili penali e alla responsabilità dello specializzando. A chiusura dell’Opera, un interessante capitolo è dedicato al danno erariale nel comparto sanitario. Giuseppe Cassano, Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School of Economics di Roma e Milano, ha insegnato Istituzioni di Diritto Privato presso l’Università Luiss di Roma. Avvocato cassazionista, studioso dei diritti della persona, del diritto di famiglia, della responsabilità civile e del diritto di Internet, ha pubblicato numerosissimi contributi in tema, fra volumi, trattati, voci enciclopediche, note e saggi.
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2. Le valutazioni del Tribunale
Per quanto riguarda i principi applicabili al caso di specie, il giudice ha ricordato tra il paziente e la struttura sanitaria viene stipulato un contratto atipico di spedalità e che pertanto l’azione promossa dal paziente danneggiato nei confronti della struttura sanitaria ha natura contrattuale. Conseguentemente, dal punto di vista dell’onere probatorio, il paziente deve provare il danno che ha subito nonché il nesso di causalità tra la condotta colposa del sanitario e il predetto danno, oltre ad allegare un inadempimento qualificato del danneggiante, individuando la condotta colposa del medico che è astrattamente idonea cagionare il danno lamentato. Una volta che il paziente ha assolto detto onere, grava in capo al convenuto la prova dell’insussistenza dell’inadempimento allegato oppure dell’esistenza di una causa a lui non imputabile, imprevista ed imprevedibile.
Nel caso di specie, gli attori hanno allegato l’inadempimento qualificato dei sanitari, che hanno ritenuto astrattamente idoneo a determinare la morte del proprio congiunto: in particolare, l’omessa esecuzione della TAC che avrebbe permesso di scoprire la presenza della malformazione e quindi l’esecuzione dell’intervento chirurgico che avrebbe impedito la seconda emorragia.
Al fine di valutare, quindi, l’insussistenza dell’inadempimento indicato dagli attori, così come sostenuto dalla struttura sanitaria, il giudice ha ritenuto di dover porsi in una prospettiva ex ante e quindi di accertare se, in base ai dati a disposizione dei medici nel momento in cui hanno agito, gli stessi avrebbero potuto e dovuto agire diversamente in base alle regole di diligenza, prudenza e perizia.
Applicando tale prospettiva, il giudice ha ritenuto che la struttura sanitaria ha provato la insussistenza di un inadempimento a proprio carico.
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3. La decisione del Tribunale
Nel caso di specie, il giudice ha ritenuto che i sanitari abbiano tenuto l’approccio che poteva essere loro richiesto, in base ai protocolli esistenti all’epoca dei fatti, di fronte all’arrivo del ragazzo in pronto soccorso a seguito della prima emorragia.
Infatti, i medici, dopo la raccolta anamnestica e l’esame obiettivo del paziente, anche se non vi erano chiari elementi clinici di allarme, avevano predisposto velocemente l’esecuzione di esami ematochimici e la radiografia al torace nonché delle consulenze specialistiche di un otorinolaringoiatra e di uno pneumologo. La radiografia non rilevava alterazioni patologiche, mentre la consulenza otorinolaringoiatrica indicava quale probabile origine dell’emorragia le basse vie respiratorie e la consulenza pneumologica ravvisava la possibile sussistenza di un quadro flogistico polmonare, confermando così la genesi dell’emottisi da un’infezione polmonare.
Pertanto, le informazioni all’epoca disponibili ai sanitari (compresi lo stato di salute del paziente e la sua storia pregressa) descrivevano un quadro di emottisi moderata a sospetta origine infettiva conseguente imponevano ai sanitari il monitoraggio del paziente con l’impostazione di una terapia antibiotica. A ciò, il giudice ha aggiunto che durante la degenza le condizioni cliniche del ragazzo miglioravano progressivamente e anche i risultati degli esami ematochimici confermavano il miglioramento delle sue condizioni cliniche.
In considerazione di quanto sopra, il giudice ha ritenuto che, ponendosi in una prospettiva ex ante ed in base alle linee guida e alle buone pratiche in vigore all’epoca (per evitare di sottoporre i pazienti ad esami invasivi e superflui nonché potenzialmente dannosi per la loro salute), non vi sono stati errori o inosservanze di doverose regole di condotta nell’operato del personale sanitario durante il periodo di ricovero del paziente all’interno dell’ospedale (né da parte dei medici che lo hanno soccorso dopo la seconda emorragia). Il giudice ha ritenuto che i sanitari abbiano operato correttamente nella misura in cui, dopo i tre giorni in ospedale, hanno concluso l’indagine diagnostica, non approfondendola ulteriormente con la TAC, in quanto non sussistevano le condizioni per un approccio diagnostico più invasivo. L’opposto comportamento di eseguire una TAC sul paziente non sarebbe stato esigibile dai sanitari, in quanto dalle informazioni che gli stessi avevano in quel momento non era possibile ipotizzare l’esistenza di una malformazione artovenosa polmonare. Anzi, secondo il giudice, i sanitari avrebbero violato le leges artis se, nonostante l’assenza di indicazioni in tal senso da parte delle linee guida all’epoca vigenti, avessero deciso arbitrariamente di sottoporre il paziente ad accertamenti diagnostici non raccomandati.
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