La Corte di Cassazione, con ordinanza interlocutoria della Sezione Tributaria, ha sollevato una questione in materia fiscale, legata alla determinazione della soglia di partecipazione qualificata nei fondi comuni di investimento immobiliare ai fini dell’applicazione dell’imposta sostitutiva. La controversia riguarda la somma delle partecipazioni detenute dai familiari e l’interpretazione del vincolo parentale o di convivenza alla luce dell’articolo 32 del DL n. 78/2010.
Indice
1. Quadro normativo di riferimento sul vincolo parentale
La vicenda prende le mosse dal regime introdotto con il D.L. n. 78/2010, convertito nella legge n. 122/2010, con cui è stata prevista un’imposta sostitutiva straordinaria del 5% sul valore delle partecipazioni qualificate nei fondi comuni di investimento immobiliare detenute al 31 dicembre 2010. La norma, di carattere transitorio, stabiliva che per verificare se un investitore avesse superato la soglia del 5% di partecipazione – oltre la quale scatta l’obbligo di versamento – fosse necessario includere anche le quote detenute dai familiari del soggetto, come definiti dall’articolo 5, comma 5, del TUIR.
Secondo il TUIR, rientrano nella definizione di familiari il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado, ma la norma non specifica alcun requisito aggiuntivo, come la convivenza o l’unicità del nucleo familiare, creando così spazio a dubbi interpretativi.
2. La vicenda giuridica sottesa
La controversia ha origine da un contenzioso tra contribuenti e Agenzia delle Entrate, in cui l’Amministrazione ha negato il rimborso di un’imposta sostitutiva versata sulla base della sommatoria delle partecipazioni detenute da due familiari. L’Agenzia, attenendosi all’articolo 32, ha imputato al nucleo familiare un’unica partecipazione qualificata eccedente la soglia del 5%. I contribuenti, invece, hanno contestato l’applicazione della norma, evidenziando l’assenza di convivenza e sostenendo l’autonomia delle rispettive quote detenute individualmente.
La Commissione Tributaria Provinciale aveva dato ragione ai contribuenti, escludendo l’aggregazione delle partecipazioni proprio per la mancanza di un nucleo familiare unitario. La sentenza è stata poi confermata dalla Commissione Tributaria Regionale, che ha ribadito come il vincolo parentale non sia sufficiente, di per sé, a giustificare la sommatoria in assenza di ulteriori elementi, come la residenza comune.
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3. I motivi di ricorso in Cassazione
Di fronte alla decisione sfavorevole della CTR, l’Agenzia delle Entrate ha impugnato la sentenza dinanzi alla Suprema Corte, contestando due aspetti. Da un lato, l’Amministrazione ha lamentato una violazione di legge, sostenendo che l’art. 32 del DL 78/2010, interpretato in combinato disposto con l’art. 5 del TUIR, non prevede alcuna limitazione basata sulla convivenza. Il solo vincolo di parentela o affinità sarebbe sufficiente a giustificare l’imputazione congiunta delle partecipazioni ai fini della soglia del 5%.
Dall’altro, l’Agenzia ha contestato l’argomentazione relativa alla retroattività della norma fiscale, sollevata dai giudici di merito. La Commissione Tributaria Regionale, infatti, aveva ravvisato una violazione del principio di irretroattività, ritenendo che l’imposta fosse stata applicata “a sorpresa” per una data antecedente all’entrata in vigore della legge.
4. Questione interpretativa sollevata dalla Corte
Esaminando i motivi di ricorso, la Corte di Cassazione ha individuato un contrasto giurisprudenziale sulla portata della norma e sulla sua applicazione concreta. La principale questione interpretativa riguarda la nozione di “familiari” ai fini fiscali e la natura della presunzione che giustifica l’imputazione delle quote detenute da più soggetti.
Secondo un orientamento emerso in precedenza, la sommatoria delle partecipazioni familiari sarebbe giustificata solo in presenza di una finalità elusiva, che andrebbe però verificata caso per caso. Questo approccio, tuttavia, introduce un elemento di complessità: se la presunzione di elusività è relativa, spetta ai contribuenti l’onere di dimostrare l’autonomia delle rispettive quote. Di contro, il testo della norma sembrerebbe prevedere un’applicazione automatica, senza alcuna necessità di accertamento specifico da parte dell’Amministrazione.
La Corte ha inoltre evidenziato come il requisito della convivenza, introdotto dai giudici di merito, non trovi un esplicito fondamento normativo. Tuttavia, la sua esclusione potrebbe sollevare profili di irragionevolezza, in contrasto con i principi di equità e capacità contributiva sanciti dall’articolo 53 Cost.
5. Remissione alle Sezioni Unite
Alla luce del conflitto interpretativo emerso, la Cassazione ha deciso di rimettere la questione alle Sezioni Unite, chiamate a chiarire:
– Se il concetto di “familiari”, come previsto dal TUIR e richiamato dall’art. 32 del DL 78/2010, richieda necessariamente la convivenza tra i soggetti coinvolti.
– Se la presunzione di elusività alla base della sommatoria delle quote detenute dai familiari sia relativa o se, al contrario, debba applicarsi automaticamente.
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