Infezione per trasfusione: decorrenza termine di decadenza

Infezione da epatite C per emotrasfusione: la decorrenza del termine di decadenza triennale per chiedere il vitalizio.

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Infezione da epatite C per emotrasfusione: la decorrenza del termine di decadenza triennale per chiedere il vitalizio. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica

Tribunale di Bari -sez. L- sentenza n. 3537 del 4-10-2024

SENTENZA_TRIBUNALE_DI_BARI_N._3537_2024_-_N._R.G._00004764_2022_DEL_04_10_2024_PUBBLICATA_IL_04_10_2024-2.pdf 382 KB

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Indice

1. I fatti: infezione da trasfusione


Una signora adiva il tribunale di Bari sostenendo che nel settembre del 1977 aveva subito una trasfusione di sangue presso un ospedale locale a seguito di un ricovero per parto e che nel 1993 si era sottoposta ad accertamenti medici, stante il perdurante stato astenico e di malessere generalizzato, dai quali era emersa la contrazione dell’epatite C (che era stata poi confermata nel febbraio 2020 dal reparto di malattie infettive dell’ospedale).
Parte attrice riteneva che la predetta malattia era riconducibile alla trasfusione che aveva effettuato presso l’ospedale e che pertanto nel maggio 2020 aveva promosso una domanda amministrativa volta a richiedere il relativo indennizzo previsto dalla legge, senza però ricevere alcun riscontro.  
Conseguentemente, la paziente chiedeva la condanna del Ministero della salute a concederle i benefici previsti dalla legge del 1992 e quindi al pagamento a suo favore dell’assegno vitalizio previsto.
Il Ministero si costituiva in giudizio eccependo la tardività della domanda, in quanto l’istanza per ottenere i benefici previsti dalla citata normativa era stata presentata oltre il termine decadenziale di tre anni, posto che tale termine decorreva dal 1993 (anno in cui la signora aveva avuto il primo riscontro di positività all’HCV).
Nel merito, il convenuto eccepiva che non era stato provato il nesso di causalità tra la patologia contratta dall’attrice e la trasfusione effettuata nel 1977, stante il notevole lasso di tempo trascorso tra il presunto evento lesivo e la diagnosi della malattia; inoltre, secondo il convenuto non era possibile escludere degli alternativi fattori causali ovvero altre forme di contagio (quali il contatto diretto con persona già infetta o tramite l’uso di aghi infetti). Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica

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2. Le valutazioni del Tribunale


Preliminarmente, il giudice ha analizzato la normativa di settore che prevede il riconoscimento dell’indennizzo a favore dei soggetti che hanno subito un contagio a causa di emostrasfusioni e ha ricordato come il termine di 3 anni per proporre la relativa domanda decorre dal momento in cui l’avente diritto risulti aver avuto conoscenza del danno. Tale termine di decadenza, inoltre, si applica anche per le patologie che sono state contratte prima dell’entrata in vigore della legge del 1997, ma il termine si computa a partire dall’entrata in vigore della legge medesima.
Se questa è la disciplina prevista dalla richiamata normativa, tuttavia la giurisprudenza ha chiarito che in tema di indennizzo in favore di soggetti danneggiati da epatite post-trasfusionale, la decorrenza del termine triennale di decadenza per la proposizione della domanda va stabilita ricostruendo il momento in cui deve ritenersi maturata in capo all’interessato la conoscibilità del nesso causale tra la trasfusione e la patologia, sulla base di indici oggettivi e con alto grado di probabilità, alla luce delle nozioni comuni dell’uomo medio.
Secondo il giudice, infatti, la legge che prevede l’indennizzo per il soggetto contagiato non ricollega detto indennizzo alla conoscenza della malattia in sé e per sé, quanto piuttosto alla conoscenza del nesso di causalità tra la malattia e la trasfusione nonché alla conoscenza della natura irreversibile di detta malattia.
Pertanto, il fatto che la malattia si sia cronicizzata non è di per sé il requisito esclusivo per accedere all’indennizzo, ma deve sussistere anche la consapevolezza per il danneggiato che esiste un danno irreversibile.

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3. La decisione del Tribunale


Nel caso di specie, il giudice ha ritenuto che la domanda amministrativa inviata dalla attrice danneggiata nel maggio 2020 e volta a richiedere l’indennizzo previsto dalla legge non può essere considerata tardiva.
Secondo il giudice, infatti, l’attrice ha avuto conoscenza della derivazione causale della patologia cronica da HCV dalla trasfusione ematica che aveva effettuato nel 1977, soltanto in data 27.2.2020 dalla certificazione rilasciata dall’ASL Barese ove si faceva espresso riferimento a detta patologia quale esito di una trasfusione. A conferma di ciò, secondo il giudice risulta decisivo il fatto che, nel luglio 2000, il Responsabile del reparto di Medicina Trasfusionale del Policlinico di Bari, esitando la richiesta formulata dalla paziente il mese precedente, abbia trasmesso una scheda informativa dei dati relativi alla trasfusione degli emoderivati, precisando che “i controlli virologici e di laboratorio eseguiti sulla sacca di sangue somministrato alla paziente” erano risultati negativi (esito che si può spiegare con il fatto che, all’epoca di redazione della stessa scheda informativa e della trasfusione di sangue, ossia nel settembre del 1977, la sacca di sangue non poteva essere testata per il virus dell’epatite C, poiché i test risultarono disponibili solo a partire dagli anni ’90).
A causa di tale informazione, secondo il giudice, la danneggiata aveva escluso che vi fosse un nesso causale tra l’infezione e la trasfusione.
Inoltre, a conferma del fatto che la paziente ha avuto conoscenza del predetto nesso di causalità soltanto nel febbraio 2020 (e quindi della tempestività dell’azione proposta) secondo il giudice, vi è anche il risultato della integrazione di perizia disposta dal giudice, all’esito della quale il CTU ha accertato che in data 24.02.2020 si è verificata una alterazione degli indicatori di citonecrosi epatica e per tale ragione ha attribuito all’attrice l’attuale quadro clinico (cioè di colecistite cronica con disfunzione epatica persistente) con decorrenza da tale data.
In conclusione, il giudice ha ritenuto di rigettare l’eccezione di decadenza che era stata sollevata dal ministero della salute, ritenendo appunto che il termine triennale di decorrenza per l’esercizio della richiesta indennitaria decorresse soltanto dal febbraio 2020 (allorquando la danneggiata aveva avuto consapevolezza che l’infezione da HCV era diventata cronica e che la stessa era derivata dalla trasfusione che aveva effettuato nel 1977).
Nel merito della vicenda, poi, il CTU ha ritenuto sussistente il nesso di causalità tra la predetta trasfusione e l’infezione subita dalla paziente, in quanto gli stessi CTU sono arrivati a detta conclusione sulla scorta del criterio del più probabile che non.
Conseguentemente, il Tribunale di Bari ha accertato il diritto della ricorrente a vedersi corrispondere i benefici di cui alla legge del 1992 e ha condannato il ministero della salute a corrispondere in favore della prima l’assegno vitalizio previsto dalla predetta normativa.

Avv. Muia’ Pier Paolo

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