È risarcibile anche la perdita del 3% di possibilità di sopravvivenza del paziente. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica
Indice
1. I fatti: la perdita di chance di sopravvivenza
I figli di una anziana signora adivano il Tribunale calabrese lamentando che intorno alle dieci di sera la loro madre 91enne, già affetta da cardiopatia, aveva accusato un dolore retrostenale e pertanto erano stati chiamati i sanitari del 118, i quali però, giunti in casa della signora e informati della sua patologia, avevano ritenuto che non fosse necessario il suo trasferimento in ospedale. Tuttavia, a causa del persistere del dolore, i familiari della signora avevano chiamato nuovamente il servizio 118 due ore e trenta minuti dopo e questa volta i sanitari avevano deciso di portarla in ospedale, dove le era stata diagnosticata “stemi in sedi anteriore” e dove era poi morta circa 7 ore dopo.
Gli attori sostenevano che il mancato trasferimento in ospedale durante il primo intervento del 118 ha impedito ai sanitari di somministrare alla paziente le cure indispensabili a limitare il danno cardiaco acuto a causa del quale la paziente è poi morta.
Conseguentemente, gli attori chiedevano il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti iure proprio, per la malattia da questi subita a carico della morte della madre nonché per perdita del rapporto parentale, e acquisiti iure hereditatis, per il danno biologico e le gravi sofferenze fisiche percepite dalla madre dal ricovero e fino alla sua morte.
La struttura sanitaria si costituiva in giudizio sostenendo che non vi era alcuna responsabilità a proprio carico, anche perché qualsiasi eventuale condotta fosse stata tenuta dai medici del 118 non avrebbe potuto evitare la morte della paziente, in quanto l’infarto miocardico acuto è statisticamente gravato da una significativa elevata mortalità. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica
Manuale pratico operativo della responsabilità medica
La quarta edizione del volume esamina la materia della responsabilità medica alla luce dei recenti apporti regolamentari rappresentati, in particolare, dalla Tabella Unica Nazionale per il risarcimento del danno non patrimoniale in conseguenza di macrolesioni e dal decreto attuativo dell’art. 10 della Legge Gelli – Bianco, che determina i requisiti minimi delle polizze assicurative per strutture sanitarie e medici. Il tutto avuto riguardo all’apporto che, nel corso di questi ultimi anni, la giurisprudenza ha offerto nella quotidianità delle questioni trattate nelle aule di giustizia. L’opera vuole offrire uno strumento indispensabile per orientarsi tra le numerose tematiche giuridiche che il sottosistema della malpractice medica pone in ragione sia della specificità di molti casi pratici, che della necessità di applicare, volta per volta, un complesso normativo di non facile interpretazione. Nei singoli capitoli che compongono il volume si affrontano i temi dell’autodeterminazione del paziente, del nesso di causalità, della perdita di chances, dei danni risarcibili, della prova e degli aspetti processuali, della mediazione e del tentativo obbligatorio di conciliazione, fino ai profili penali e alla responsabilità dello specializzando. A chiusura dell’Opera, un interessante capitolo è dedicato al danno erariale nel comparto sanitario. Giuseppe Cassano, Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School of Economics di Roma e Milano, ha insegnato Istituzioni di Diritto Privato presso l’Università Luiss di Roma. Avvocato cassazionista, studioso dei diritti della persona, del diritto di famiglia, della responsabilità civile e del diritto di Internet, ha pubblicato numerosissimi contributi in tema, fra volumi, trattati, voci enciclopediche, note e saggi.
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2. Le valutazioni del Tribunale
Il Tribunale calabrese ha ricordato che la pretesa risarcitoria degli attori, iure hereditario, si inquadra nella responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, in quanto tra la paziente della cui eredità si tratta e l’ospedale si instaura un contratto di spedalità. Pertanto, l’attore danneggiato deve fornire la prova del contratto, dell’aggravamento della situazione patologica o della insorgenza di una nuova patologia, del relativo nesso di causalità tra condotta e danno; mentre resta a carico del danneggiante la prova che la prestazione professionale è stata eseguita in modo diligente o che il danno è stato determinato da un evento imprevisto e imprevedibile (oltre che inevitabile).
Invece, la pretesa risarcitoria iure proprio degli attori, si inquadra nella responsabilità extracontrattuale della struttura sanitaria, in quanto non c’è alcun contratto tra quest’ultima e gli attori (congiunti della paziente deceduta). Pertanto, è onere della parte attrice dimostrare anche la colpa della struttura sanitaria (cioè la negligente e/o imperita condotta professionale) e il nesso di causalità tra detta condotta e il danno subito dalla predetta parte attrice.
Ciò detto, il giudice ha esaminato l’istituto della chance.
Essa consiste in un’entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente e economicamente suscettibile di autonoma valutazione rispetto agli altri beni giuridici. Non si tratta invece di una mera aspettativa.
Dal punto di vista ontologico, si sostanzia nella perdita della possibilità di conseguire il risultato utile.
Pertanto, allorquando l’attore riesce a provare la perdita di un risultato utile, si configura un danno concreto e attuale che deve essere risarcito.
La chance è quindi una possibilità che si verifichi il risultato utile, perciò il nesso causale tra la condotta colposa del responsabile e la perdita di tale possibilità deve essere accertato prescindendo dalla maggiore o minore idoneità della chanche a realizzare il risultato sperato.
Tuttavia, per poter essere risarcita la relativa perdita, la chance (o la possibilità di conseguire il risultato favorevole) deve presentarsi come seria ed apprezzabile (anche se naturalmente incerta nella sua verificazione).
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3. La decisione del Tribunale
Nel caso di specie, i CTU hanno accertato che vi è stata una condotta colposa di carattere omissivo da parte dei sanitari della convenuta: il mancato accesso in ospedale durante il primo intervento ha determinato un ritardo diagnostico e una riduzione delle possibilità di sopravvivenza dalla paziente. In particolare, secondo i periti, nello scenario più favorevole, le chance di sopravvivenza della paziente sarebbero state in una misura oscillante intorno al 3%.
Infatti, se la paziente fosse stata portata in ospedale durante il primo intervento del 118, sarebbe stata sottoposta a visita cardiologica e elettrocardiogramma due ore e quindici minuti prima rispetto all’orario in cui sono stati effettuati e ciò avrebbe comportato la diagnosi di stemi con anticipo. Invece, il ritardo nella diagnosi ha determinato una diminuzione delle chances di sopravvivenza.
Conseguentemente, il giudice ha ritenuto configurata la perdita di chance nel caso di specie, anche se le possibilità di sopravvivenza che erano state ritenute come massime dai CTU erano pari soltanto al 3%.
Accertata la condotta colposa dei sanitari, il giudice è poi passato all’esame dei danni invocati dagli attori.
Per quanto concerne i danni iure proprio, il giudice ha ritenuto insussistenti i danni biologici lamentati dagli attori, i quali non hanno neanche allegato quali sarebbero state la patologia dei medesimi ricollegabili al decesso della madre. Invece, il giudice ha ritenuto provato il danno per perdita di chance di prosecuzione del rapporto parentale con la madre. Infatti, il decesso della paziente ha inciso sul diritto all’intangibilità della sfera degli affetti dei figli e sulla reciproca solidarietà familiare.
Conseguentemente, il giudice ha proceduto alla liquidazione del predetto danno, applicando le tabelle del tribunale di Milano del 2024 e quantificandolo – in ragione dei vari elementi presi in considerazione da dette tabelle – in circa euro 86.000 per ogni congiunto. Quindi, ha ridotto detto importo al 3%, in ragione del fatto che le possibilità di conseguire il risultato favorevole (cioè la sopravvivenza della paziente e quindi la prosecuzione del rapporto di parentela) nel caso di specie erano pari al 3%.
Infine, per quanto concerne i danni iure hereditatis il giudice ha ritenuto che non sono configurabili nel caso di specie il danno terminale e quello catastrofale della paziente, in quanto la stessa era già affetta da una grave patologia e quindi la sua condizione di invalidità prima del decesso era addebitabile a tale patologia, mentre non vi è stata la prova che la paziente abbia avuto consapevolezza dell’imminente concretizzarsi della fine della propria vita.
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