È inadempiente il chirurgo estetico che non consegue il risultato che il paziente si attende dall’intervento. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica
Indice
1. I fatti: l’inadempienza del chirurgo estetico
Una donna proponeva opposizione avverso un decreto ingiuntivo ottenuto dai suoi confronti da una struttura sanitaria per il mancato pagamento di un intervento di chirurgia estetica, lamentando l’errore professionale del chirurgo e chiedendo in via riconvenzionale la risoluzione dei contratti intercorsi con restituzione di quanto pagato, oltre al risarcimento dei danni subiti.
In particolare, la paziente sosteneva di essersi rivolta alla struttura sanitaria convenuta e al chirurgo che ne era socio unico e legale rappresentante per vedere migliorato il proprio aspetto estetico dovuto al fatto di avere un seno più grande dell’altro e una leggera asimmetria tra i due seni. A seguito di una visita di controllo, il medico eseguiva un intervento chirurgico inserendo due protesi mammarie di uguali dimensioni, che però non davano il risultato sperato e pertanto consigliava alla paziente un secondo intervento con l’inserimento di due protesi di diverse dimensioni.
A detta dell’attrice neanche il secondo intervento raggiungeva i risultati sperati e pertanto la paziente si rifiutava di pagare il corrispettivo di detto ultimo intervento (mentre il primo era stato pagato) ed inoltre lamentava delle problematiche psicologiche connesse allo stato ansioso per l’inestetismo dei seni.
La struttura sanitaria si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto della domanda riconvenzionale, sostenendo che la paziente si era sottoposta ad intervento di mastoplastica additiva al seno per migliorare il proprio aspetto estetico e la propria immagine pubblica e che tale obiettivo era stato raggiunto per come la stessa paziente si era dichiarata soddisfatta tramite messaggi WhatsApp inviati alla collaboratrice del medico e per come emergeva dalle fotografie pubblicate sul suo profilo Facebook. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica
Manuale pratico operativo della responsabilità medica
La quarta edizione del volume esamina la materia della responsabilità medica alla luce dei recenti apporti regolamentari rappresentati, in particolare, dalla Tabella Unica Nazionale per il risarcimento del danno non patrimoniale in conseguenza di macrolesioni e dal decreto attuativo dell’art. 10 della Legge Gelli – Bianco, che determina i requisiti minimi delle polizze assicurative per strutture sanitarie e medici. Il tutto avuto riguardo all’apporto che, nel corso di questi ultimi anni, la giurisprudenza ha offerto nella quotidianità delle questioni trattate nelle aule di giustizia. L’opera vuole offrire uno strumento indispensabile per orientarsi tra le numerose tematiche giuridiche che il sottosistema della malpractice medica pone in ragione sia della specificità di molti casi pratici, che della necessità di applicare, volta per volta, un complesso normativo di non facile interpretazione. Nei singoli capitoli che compongono il volume si affrontano i temi dell’autodeterminazione del paziente, del nesso di causalità, della perdita di chances, dei danni risarcibili, della prova e degli aspetti processuali, della mediazione e del tentativo obbligatorio di conciliazione, fino ai profili penali e alla responsabilità dello specializzando. A chiusura dell’Opera, un interessante capitolo è dedicato al danno erariale nel comparto sanitario. Giuseppe Cassano, Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School of Economics di Roma e Milano, ha insegnato Istituzioni di Diritto Privato presso l’Università Luiss di Roma. Avvocato cassazionista, studioso dei diritti della persona, del diritto di famiglia, della responsabilità civile e del diritto di Internet, ha pubblicato numerosissimi contributi in tema, fra volumi, trattati, voci enciclopediche, note e saggi.
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2. Le valutazioni del Tribunale
Il giudice ha evidenziato come la responsabilità della struttura sanitaria e del chirurgo hanno entrambi natura contrattuale. Infatti, nei confronti della struttura sanitaria, l’accettazione del paziente ai fini del ricovero o di una visita ambulatoriale, comporta la conclusione di un contratto. Invece, nei confronti del medico, privato o dipendente della struttura sanitaria, la natura contrattuale dell’obbligazione deriva dal c.d. contatto sociale.
Conseguentemente, la struttura sanitaria è responsabile in via solidale con il singolo medico per i danni che sono stati cagionati a terzi e qualora la struttura sanitaria volesse andare esente da responsabilità dovrebbe dimostrare di aver predisposto in maniera eccellente e tempestiva tutti i servizi che le sono stati richiesti e che si è avvalsa di personale idoneo e competente.
Da un punto di vista probatorio, quindi, qualora sia dedotta una responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, dovuta all’inesatto adempimento della prestazione sanitaria, il danneggiato deve fornire la prova del contratto e dell’aggravamento della patologia (o l’insorgenza di una nuova patologia) e del relativo nesso di causalità con la condotta del sanitario; mentre la struttura dovrà provare che la prestazione professionale è stata eseguita in modo diligente e che il danno è dipeso da un evento imprevisto e imprevedibile.
Nel campo della chirurgia estetica, secondo il giudice, rientra nel contenuto proprio dell’obbligazione del sanitario il risultato estetico prospettato con l’intervento e quindi sperato dal paziente. Pertanto, nel caso in cui il risultato conseguito con l’intervento sia significativamente difforme da quanto richiesto, in quanto non è idoneo a rimuovere l’inestetismo ed anzi determina un quadro estetico peggiore di quello di partenza, è configurabile un inadempimento contrattuale del sanitario.
In altri termini, la finalità dell’intervento di chirurgia estetica è quella di migliorare l’aspetto fisico del paziente e di aumentare la positività della sua vita di relazione. Conseguentemente, il fatto che non venga raggiunto il risultato che si aspetta il paziente da un intervento chirurgico equivale a un inadempimento contrattuale del chirurgo.
Nel campo della chirurgia estetica, dunque, il danneggiato dovrà provare l’esistenza del contratto e l’aggravamento della patologia, intesa come ad esempio la sussistenza di esiti estetici negativi, nonché il nesso di causalità tra detti esiti e l’intervento eseguito dal chirurgo.
Inoltre, il paziente dovrà dimostrare che la condotta del chirurgo estetico non è stata diligente dal punto di vista procedurale e che quindi l’intervento non è stato eseguito con la diligenza richiesta.
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3. La decisione del Tribunale
Nel caso di specie, il giudice ha ritenuto che l’attrice abbia dimostrato l’esistenza di un quadro estetico peggiorativo dei suoi seni e che detto peggioramento è dipeso da una imperita esecuzione dell’intervento operatorio da parte del chirurgo. Invece, la struttura sanitaria convenuta non ha offerto alcuna ricostruzione alternativa che potesse interrompere il nesso di causalità.
Infatti, la paziente aveva richiesto un intervento per aumentare il volume del proprio seno, in quanto insoddisfatta del proprio aspetto. Nonostante un quadro generale del primo intervento positivo e alla sua esecuzione in maniera corretta, i periti nominati d’ufficio hanno accertato una responsabilità del sanitario nella misura in cui vi è stato un errore nella esecuzione della tecnica chirurgica a sinistra con errato posizionamento dell’incisione e inadeguato allestimento della tasca di alloggiamento della protesi nel secondo intervento.
In considerazione di ciò, il giudice ha ritenuto che vi sia stata una condotta colposa da parte del chirurgo, in quanto l’intervento non richiedeva la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, che avrebbero richiesto il dolo o la colpa grave per configurare una responsabilità del sanitario, mentre è stata accertata la mancanza di diligenza e di perizia nella esecuzione del secondo intervento.
Conseguentemente, il giudice ha rigettato la richiesta di rimborso del prezzo pagato per il primo intervento in quanto correttamente eseguito, mentre ha ritenuto corretto il mancato pagamento del secondo intervento ed ha altresì condannato la convenuta al risarcimento dei danni biologici subiti dalla paziente.
A tal proposito, il giudice ha riconosciuto sia un danno biologico per invalidità temporanea, sia un danno da invalidità permanente pari all’8 – 9 %, nonché un aumento del quantum per la sofferenza correlata al danno dinamico – relazionale. Invece, il giudice non ha riconosciuto il danno per l’intervento che la paziente potrà effettuare in futuro per emendare il danno estetico dovuto all’intervento di cui è causa, in quanto, oltre all’assenza di elementi da cui desumere con certezza che detto intervento riparatore sarà realizzato, detto intervento ridurrebbe o addirittura azzererebbe il danno biologico permanente liquidato dall’odierno giudicante e quindi sostanzierebbe una duplicazione del danno.
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