Deve essere rigettata la domanda risarcitoria del paziente che non indica in che modo i sanitari avrebbero violato l’obbligo di diligenza. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica
Indice
1. I fatti: la domanda di risarcimento del paziente
In occasione della sua seconda gravidanza, una signora si era recato presso il locale nosocomio con diagnosi di distacco di placenta e metrorragia ed i medici l’avevano sottoposta dopo due giorni ad un intervento di parto con taglio cesareo. A seguito delle dimissioni, la paziente aveva accusato spasmi e malessere diffuso nonché un vistoso arrossamento ed un parziale scollamento dei lembi di tessuto oggetto dell’intervento chirurgico. Pertanto, la stessa si era recata di nuovo presso l’Ospedale dove veniva ricoverata per metrorragia e sottoposta ad un intervento di raschiamento dell’utero volto all’estrazione di materiale simil coriale.
In ragione di quanto sopra, la signora aveva adito il Tribunale siciliano contestando alla predetta struttura sanitaria e al medico che aveva eseguito il primo intervento di aver riportato una cicatrice che la deturpava e che tale cicatrice era imputabile alla condotta colposa del predetto sanitario che non aveva eseguito a regola d’arte il primo intervento di parto con taglio cesareo, costringendola a ricorrere al secondo intervento chirurgico con esiti cicatriziali deturpanti.
L’attrice chiedeva quindi la condanna della struttura sanitaria al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali (precisamente del danno estetico, di quello morale e di quello esistenziale) asseritamente subiti e quantificati n 25.000 euro.
La struttura sanitaria si costituiva in giudizio eccependo la nullità della citazione in quanto generica con riferimento all’evento dannoso, alla condotta negligente dei sanitari e alla quantificazione dei danni richiesti. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica
Manuale pratico operativo della responsabilità medica
La quarta edizione del volume esamina la materia della responsabilità medica alla luce dei recenti apporti regolamentari rappresentati, in particolare, dalla Tabella Unica Nazionale per il risarcimento del danno non patrimoniale in conseguenza di macrolesioni e dal decreto attuativo dell’art. 10 della Legge Gelli – Bianco, che determina i requisiti minimi delle polizze assicurative per strutture sanitarie e medici. Il tutto avuto riguardo all’apporto che, nel corso di questi ultimi anni, la giurisprudenza ha offerto nella quotidianità delle questioni trattate nelle aule di giustizia. L’opera vuole offrire uno strumento indispensabile per orientarsi tra le numerose tematiche giuridiche che il sottosistema della malpractice medica pone in ragione sia della specificità di molti casi pratici, che della necessità di applicare, volta per volta, un complesso normativo di non facile interpretazione. Nei singoli capitoli che compongono il volume si affrontano i temi dell’autodeterminazione del paziente, del nesso di causalità, della perdita di chances, dei danni risarcibili, della prova e degli aspetti processuali, della mediazione e del tentativo obbligatorio di conciliazione, fino ai profili penali e alla responsabilità dello specializzando. A chiusura dell’Opera, un interessante capitolo è dedicato al danno erariale nel comparto sanitario. Giuseppe Cassano, Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School of Economics di Roma e Milano, ha insegnato Istituzioni di Diritto Privato presso l’Università Luiss di Roma. Avvocato cassazionista, studioso dei diritti della persona, del diritto di famiglia, della responsabilità civile e del diritto di Internet, ha pubblicato numerosissimi contributi in tema, fra volumi, trattati, voci enciclopediche, note e saggi.
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2. Le valutazioni del Tribunale
Il Tribunale siciliano ha evidenziato come, nella materia della responsabilità medica, sulla struttura sanitaria grava una responsabilità di natura contrattuale, in quanto l’accettazione di un paziente da parte della struttura medesima, ai fini di un ricovero o di un intervento, comporta la conclusione di un contratto atipico a prestazioni corrispettive con effetti protettivi nei confronti del terzo. Tale contratto atipico, che viene definito di “spedalità”, si perfeziona con l’accettazione del paziente all’interno della struttura sanitaria e comporta il sorgere di obblighi a carico della struttura ulteriori ed accessori rispetto all’obbligazione principale di eseguire la prestazione medica richiesta dal paziente.
Per quanto riguarda invece la responsabilità del medico, il tribunale ha precisato che la stessa era qualificabile in precedenza come contrattuale, in ragione del contatto sociale qualificato tra il sanitario e il paziente, ma che dopo la Legge Balduzzi e soprattutto dopo la Legge Gelli-Bianco, tale responsabilità è stata qualificata come extracontrattuale (salvo il caso in cui il medico abbia agito in adempimento di un rapporto obbligatorio assunto con il paziente: ipotesi in cui anche la responsabilità del medico ha carattere contrattuale).
In ragione di ciò, dal punto di vista del riparto degli oneri probatori, il Tribunale ha evidenziato che il danneggiato deve provare il titolo della obbligazione (cioè il contratto di spedalità con la struttura sanitaria che ha convenuto in giudizio) e deve allegare l’inadempimento della struttura medesima, cioè la mancata esecuzione corretta della prestazione dovuta a negligenza o imprudenza o imperizia, e provare il nesso di causalità fra detto inadempimento e i danni lamentati. Detta prova deve essere fornita dimostrando che la condotta della struttura sanitaria o del professionista di cui la stessa si è avvalsa per eseguire la prestazione è stata la causa del danno lamentato dal paziente secondo il criterio del “più probabile che non”.
Invece, la struttura sanitaria dovrà provare il proprio esatto adempimento oppure che l’inesatto adempimento è stato determinato da un evento imprevedibile ed inevitabile.
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3. La decisione del Tribunale
Nel caso di specie, secondo il Tribunale, la paziente attrice ha soltanto provato l’esistenza del contratto di spedalità, mentre non ha neanche allegato correttamente gli inadempimenti imputabili al medico e alla struttura sanitaria, né ha provato il relativo nesso di causalità (così come i danni lamentati).
Infatti, il giudice ha ritenuto di escludere che il vistoso arrossamento e il parziale scollamento dei lembi del tessuto oggetto dell’intervento chirurgico, lamentati dalla paziente, siano riconducibili al secondo intervento (quello di raschiamento), in quanto lo stesso non fu eseguito tramite taglio chirurgico, bensì per via vaginale / uterina; così come ha ritenuto di escludere che siano riconducibili al parto eseguito circa 5 mesi prima con taglio cesareo, in quanto dalla cartella clinica risulta che al momento delle dimissioni la ferita laparotomica della paziente era asciutta.
In ogni caso, il giudice ha rilevato che, anche a voler ammettere che il danno lamentato fosse conseguenza del primo intervento, la paziente attrice non ha comunque allegato alcuna azione o omissione in cui sarebbero incorsi i sanitari nell’esecuzione dell’intervento medesimo. Infatti, l’attrice ha soltanto richiamato generici obblighi di diligenza e ha lamentato la mancata esecuzione del parto cesareo a regola d’arte, ma non ha indicato in che modo i sanitari non abbiano ottemperato ai predetti obblighi di diligenza professionale.
In secondo luogo, il giudice ha ritenuto che la paziente ha soltanto dedotto il danno subito, ma lo stesso è rimasto privo di riscontri clinici.
A tal proposito, il giudice ha precisato che la prova del predetto danno non può essere conseguita attraverso la CTU che era stata richiesta dalla attrice. Ciò in quanto to, la consulenza tecnica d’ufficio ha la funzione di offrire al giudice l’ausilio delle specifiche conoscenze tecnico-scientifiche necessarie ai fini della decisione e, come tale, non può essere utilizzata per compiere indagini esplorative dirette all’accertamento di fatti la cui dimostrazione rientri nell’onere probatorio delle parti.
In considerazione di quanto sopra, il giudice ha ritenuto di rigettare la domanda attorea stante l’assenza di tutti i presupposti della responsabilità medica invocata dalla paziente.
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