Meta abbandona il fact-checking: libertà di espressione o passo indietro per l’informazione?

Meta annuncia la fine dei programmi di fact-checking di terze parti su Facebook, Instagram e Threads, sostituendoli con delle “Community Notes”.

Meta ha annunciato la cessazione dei programmi di fact-checking di terze parti su Facebook, Instagram e Threads, sostituendoli con un sistema di “Community Notes” simile a quello utilizzato da X (il fu Twitter). Questo cambiamento dovrebbe mirare, secondo le intenzioni aziendali, a promuovere una maggiore libertà di espressione sulle piattaforme, riducendo le restrizioni su argomenti di discussione mainstream e concentrandosi su violazioni legali e di grave entità.
Il CEO di Meta, Mark Zuckerberg, ha dichiarato che l’azienda si concentrerà sulla riduzione degli errori, semplificando le politiche e ripristinando la libertà di espressione sulle piattaforme. Ha inoltre annunciato il trasferimento del team di moderazione dei contenuti dalla California al Texas, nel tentativo di affrontare le preoccupazioni riguardanti possibili pregiudizi politici.
Questa decisione ha suscitato reazioni contrastanti. Linda Yaccarino, CEO di X, ha accolto positivamente la mossa, affermando che le “Community Notes” possono ispirare un comportamento online migliore e ridurre la diffusione di informazioni false. Tuttavia, molti player esprimono preoccupazione per l’eliminazione dei fact-checker, temendo che possa facilitare la manipolazione delle informazioni per scopi politici.
I partner di fact-checking di Meta hanno riferito di essere stati colti di sorpresa dalla decisione e sono ora incerti sul loro futuro finanziario e sull’impatto di questo cambiamento. Alcuni hanno espresso disappunto per le affermazioni di Zuckerberg riguardo a presunti pregiudizi politici dei fact-checker.
L’annuncio di Meta di interrompere i programmi di fact-checking di terze parti su Facebook, Instagram e Threads, per affidarsi a un sistema di “Community Notes”, solleva interrogativi profondi sulla gestione della libertà di espressione e sulla responsabilità delle piattaforme digitali. Questo tema, apparentemente circoscritto a una scelta aziendale, interseca invece due pilastri della normativa europea: il Digital Services Act (DSA) e il Digital Markets Act (DMA). Si tratta di una questione complessa che abbraccia la regolamentazione della disinformazione, i rischi per i più giovani e il ruolo stesso delle piattaforme social.
Per l’approfondimento, si consiglia il volume Il Cyberbullismo e i reati dell’era digitale, con cui si inquadra il contesto normativo nazionale ed europeo.

Indice

1. Libertà di espressione vs regolamentazione europea: il quadro normativo


La decisione di Meta si inserisce in un contesto normativo europeo estremamente articolato. Il Digital Services Act (DSA) e il Digital Markets Act (DMA) sono due regolamenti cardine dell’Unione Europea che disciplinano le piattaforme digitali, ma con scopi e ambiti di applicazione differenti.

  • Digital Services Act (DSA): Il DSA stabilisce obblighi per garantire la trasparenza e la sicurezza delle piattaforme online. Questo regolamento mira a contrastare la diffusione di contenuti illegali, la disinformazione e la manipolazione algoritmica, imponendo alle piattaforme obblighi di rendicontazione e meccanismi di moderazione dei contenuti. Le piattaforme molto grandi (come Meta) sono tenute a fornire valutazioni del rischio, rapporti trasparenti sul funzionamento degli algoritmi e strumenti per l’utente per segnalare contenuti dannosi.
  • Digital Markets Act (DMA): Il DMA, invece, è focalizzato sulla regolazione del potere economico delle piattaforme dominanti, i cosiddetti gatekeeper. Questi devono rispettare regole volte a prevenire comportamenti anticoncorrenziali, come l’auto-preferenza dei propri servizi. Sebbene il DMA non affronti direttamente la moderazione dei contenuti, il suo impatto sulla struttura del mercato digitale influenza indirettamente anche la gestione dell’informazione. La scelta di Meta di abbandonare il fact-checking tradizionale sembra in contrasto con lo spirito del DSA, che richiede alle piattaforme un ruolo attivo nella prevenzione dei rischi sistemici legati alla diffusione di contenuti dannosi o fuorvianti.

Per l’approfondimento, si consiglia il volume Il Cyberbullismo e i reati dell’era digitale, con cui si inquadra il contesto normativo nazionale ed europeo.

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2. Fake news e disinformazione: un problema strutturale


La disinformazione è uno dei fenomeni più legati alla navigazione online con un maggior grado di diffusione e di perniciosità. Secondo uno studio dell’Eurobarometro, quasi il 40% dei cittadini europei incontra quotidianamente notizie false online. Questo dato evidenzia come le piattaforme social abbiano amplificato un problema esistente, trasformandolo in una vera e propria emergenza.

3. Perché le fake news si diffondono così facilmente (abbandono del fact-checking)


Le dinamiche algoritmiche giocano un ruolo chiave. I social media premiano i contenuti che generano interazioni, e le fake news, per loro natura, tendono a essere più accattivanti o provocatorie rispetto alle notizie verificate. In assenza di un efficace controllo, la viralità delle informazioni false mina la credibilità delle istituzioni, alimenta conflitti sociali e influenza persino le scelte elettorali.
L’abbandono del fact-checking da parte di Meta potrebbe aggravare questa situazione, poiché lascia il controllo della verifica delle informazioni alla “comunità”, un’entità spesso frammentata, poco qualificata e incline a divisioni ideologiche.

4. Giovani e disinformazione: una miscela pericolosa


La mancanza di capacità critica, combinata con un’esposizione massiccia ai social media, rende i più giovani particolarmente vulnerabili alla disinformazione. Secondo uno studio di EU Kids Online, il 60% degli adolescenti europei non è in grado di distinguere una notizia vera da una falsa. Questa incapacità non solo li espone al rischio di credere alle fake news, ma alimenta fenomeni come il cyberbullismo, il body shaming e il revenge porn.
Meta, abbandonando il fact-checking, potrebbe contribuire indirettamente a una diffusione meno controllata di contenuti dannosi che colpiscono in modo sproporzionato i giovani. Senza un adeguato intervento, il rischio è di compromettere ulteriormente la sicurezza digitale delle nuove generazioni.

5. Il potere delle piattaforme social: un gigante senza freni?


Il comportamento di Meta pone un interrogativo più ampio: quanto potere dovrebbero avere le piattaforme digitali? Oggi i social media non sono solo luoghi di intrattenimento, ma veri e propri hub di informazione e interazione sociale. Questa centralità conferisce loro un’influenza senza precedenti, che rischia di sfuggire a ogni controllo democratico.
Mark Zuckerberg ha giustificato la scelta di eliminare il fact-checking come un passo verso una maggiore libertà di espressione. Ma è davvero possibile parlare di libertà in un ecosistema in cui pochi colossi controllano l’accesso alle informazioni, gli algoritmi che le selezionano e il contesto in cui vengono diffuse?

6. Proposte per un ecosistema digitale più sano


È necessario un cambio di paradigma per riequilibrare il rapporto tra piattaforme, utenti e istituzioni. Alcune soluzioni possibili potrebbero includere:

  • Maggior trasparenza algoritmica: Le piattaforme dovrebbero essere obbligate a rendere pubbliche le logiche dei loro algoritmi, in modo da consentire un controllo effettivo sull’amplificazione dei contenuti.
  • Educazione digitale obbligatoria: Le scuole dovrebbero introdurre programmi strutturati per sviluppare il pensiero critico e insegnare ai giovani a riconoscere le fake news.
  • Un’autorità indipendente per il controllo delle piattaforme: Creare un organismo europeo con poteri sanzionatori per verificare l’effettiva applicazione del DSA e del DMA.
  • Sostegno a progetti di fact-checking: I governi dovrebbero finanziare iniziative indipendenti di verifica delle informazioni, per compensare il vuoto lasciato dalle piattaforme.
  • Responsabilizzazione delle piattaforme: Inserire obblighi legali più stringenti per le piattaforme, inclusa la responsabilità diretta per i contenuti dannosi.

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7. Riflessione critica sul futuro dell’informazione digitale


La scelta di Meta di abbandonare il fact-checking rappresenta un evento spartiacque per il mondo digitale. Da un lato, viene sbandierata come una vittoria della libertà di espressione, dall’altro solleva interrogativi sul ruolo delle piattaforme social nella gestione delle informazioni. Tuttavia, ridurre questo dibattito a una dicotomia tra libertà e controllo è un errore. La realtà è molto più complessa, e richiede un’analisi più approfondita.

8. La libertà di espressione: un concetto mal interpretato


La libertà di espressione è un diritto fondamentale, che tuttavia incontra alcuni limiti connaturati ad altri diritti fondamentali, in un costante (e sfinente) esercizio di bilanciamento. Nessun sistema democratico consente, ad esempio, la diffusione di contenuti che incitano alla violenza, al razzismo o al terrorismo. Allo stesso modo, la disinformazione e le fake news rappresentano un rischio concreto per il funzionamento delle democrazie, specialmente quando influenzano elezioni, minano la fiducia nelle istituzioni e creano divisioni sociali.
L’idea di affidare la moderazione dei contenuti a sistemi comunitari come le “Community Notes” rischia di banalizzare un problema che richiede competenze specifiche e criteri il più possibile oggettivi. L’affidamento esclusivo alla “saggezza collettiva” potrebbe infatti amplificare ulteriormente le polarizzazioni e le distorsioni già presenti sui social.

9. Le piattaforme social: arbitri imparziali o attori economici?


Le piattaforme come Meta si presentano come spazi neutrali di condivisione, ma la loro neutralità è spesso una finzione. Gli algoritmi che regolano la diffusione dei contenuti non sono progettati per garantire equità o veridicità, ma per massimizzare il tempo di permanenza degli utenti sulle piattaforme, generando profitti attraverso la pubblicità.
In questo contesto, la libertà di espressione diventa un pretesto per evitare responsabilità. Meta, come altre grandi aziende tecnologiche, non è solo un intermediario, ma un attore che determina attivamente ciò che vediamo, leggiamo e crediamo. Senza meccanismi di controllo adeguati, il rischio è che le piattaforme continuino a mettere il profitto davanti al bene comune.

10. La necessità di una governance globale delle piattaforme


Il problema della disinformazione e del potere delle piattaforme non può essere affrontato solo a livello nazionale o regionale. Sebbene l’Unione Europea abbia fatto passi avanti con il Digital Services Act e il Digital Markets Act, le piattaforme operano a livello globale e sfuggono spesso alle regolamentazioni locali. Serve un approccio coordinato a livello internazionale per:

  • Stabilire standard globali di trasparenza e responsabilità.
  • Creare organismi sovranazionali con poteri sanzionatori.
  • Promuovere la collaborazione tra governi, società civile e aziende tecnologiche per affrontare le sfide comuni.

11. Il ruolo della società civile: non solo spettatori


Non possiamo delegare completamente la responsabilità alle piattaforme o alle istituzioni. La società civile ha un ruolo fondamentale nel richiedere trasparenza e accountability. Questo significa sostenere attivamente iniziative di fact-checking indipendenti, promuovere l’educazione digitale e richiedere una maggiore responsabilità sociale da parte delle aziende tecnologiche.

12. Uno sguardo al futuro: soluzioni praticabili


Se vogliamo un ecosistema digitale che sia equo, sicuro e informativo, dobbiamo adottare un approccio multilivello. Alcuni passi concreti includono:

  • Ridefinire il concetto di libertà di espressione: Le piattaforme devono essere tenute a bilanciare la libertà di espressione con la protezione da contenuti dannosi e falsi. La libertà senza responsabilità è un’illusione.
  • Promuovere una regolamentazione più stringente: Il DSA rappresenta un primo passo, ma servono norme più incisive che obblighino le piattaforme a investire risorse reali nella moderazione e nel fact-checking.
  • Educare al pensiero critico: L’educazione digitale deve diventare una priorità in tutte le scuole, non solo per insegnare a distinguere il vero dal falso, ma per sviluppare una cultura della consapevolezza nell’utilizzo dei media.
  • Incentivare l’innovazione etica: Le aziende tecnologiche devono essere spinte, anche attraverso incentivi economici, a sviluppare algoritmi che privilegino contenuti di qualità rispetto a quelli virali ma fuorvianti.

13. Una responsabilità collettiva


La gestione dell’informazione online è una delle sfide digitali più complesse del nostro tempo. Non esistono soluzioni facili o uniche, ma un punto è chiaro: tutti, dalle istituzioni alle aziende, fino ai singoli cittadini, hanno un ruolo da giocare.
L’abbandono del fact-checking da parte di Meta ci ricorda che non possiamo dare per scontata la qualità dell’informazione che consumiamo. È necessario un impegno collettivo per costruire un ecosistema digitale che non solo tuteli la libertà di espressione, ma garantisca anche la verità e la sicurezza. Senza questo impegno, il futuro delle democrazie digitali sarà sempre più incerto.

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Avv. Luisa Di Giacomo

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