Il ricorso straordinario al Capo dello Stato ex artt. 8 ss. del d.P.R. 1199/1971 è un rimedio generale e formalmente di natura amministrativa, reduce del potere un tempo attribuito al Sovrano di esercitare, in ultima istanza, un ruolo di giustizia sui provvedimenti della Pubblica Amministrazione.
Pur essendo caratterizzato da un perimetro di applicazione notevolmente più ristretto rispetto ai classici rimedi giurisdizionali avverso i provvedimenti amministrativi, la sua natura di “rimedio singolare e anomalo”[1] che per certi versi lo avvicina all’attività giurisdizionale, anche in considerazione del termine perentorio previsto dal primo comma dell’art. 9 d.P.R. 1199/1971, pari a 120 giorni, contribuisce a rendere il ricorso straordinario un’opzione tutt’altro che trascurabile.
Indice
1. Il ricorso straordinario e il termine salvifico di centoventi giorni
L’art. 9, co. 1, d.P.R. 1199/1971, prevede un termine di centoventi giorni per la presentazione del ricorso, da computarsi dalla data della notificazione o della comunicazione dell’atto impugnato, oppure da quando l’interessato ne abbia avuto piena conoscenza. Ciò potrebbe portare a vedere il ricorso straordinario al Capo dello Stato come un’ancora di salvezza per chi si fosse lasciato sfuggire, per errore, il termine di sessanta giorni per impugnare di fronte al T.A.R. un provvedimento dell’Amministrazione. A ben vedere, stante anche la presenza di un parere del Consiglio di Stato che vincola la decisione del Ministro competente, la tutela concessa dal ricorso straordinario sembra essere del tutto simile a quella propria del giudice amministrativo, consentendo, in alcuni casi, di rimediare all’inutile decorso del termine di sessanta giorni. In altre parole, il fatto che sia il Consiglio di Stato, giudice amministrativo, a decidere il ricorso, rendendo il decreto presidenziale esclusivamente dichiarativo di un giudizio, “se non trasforma il decreto presidenziale in un atto giurisdizionale (in ragione, essenzialmente, della natura dell’organo emittente e della forma dell’atto), lo assimila a questo nei contenuti, e tale assimilazione si riflette sull’individuazione degli strumenti di tutela, sotto il profilo della effettività”[2].
Pertanto, la capacità del ricorso straordinario al Capo dello stato di offrire una tutela apparentemente analoga a quella giurisdizionale, accompagnata dal seducente termine decadenziale di centoventi giorni, grazie al ruolo determinante del Consiglio di Stato, pone inevitabilmente il problema della sua tendenziale giurisdizionalizzazione, alimentando il perdurante dibattito dottrinale e giurisprudenziale circa la sua reale natura e sulla coerenza di ciò con il principio di separazione dei poteri.
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2. La giurisdizionalizzazione del ricorso straordinario al Capo dello Stato
Per molto tempo si è discusso sulla natura del ricorso straordinario, per alcuni versi fortemente tendente alla giurisdizionalizzazione. Tuttavia, sia il Consiglio di Stato che la Corte di Cassazione, prima dell’emanazione del Codice del Processo Amministrativo del 2010, per il tramite delle loro sentenze, hanno costantemente ribadito la natura di rimedio amministrativo del ricorso straordinario, escludendo, tra l’altro, la possibilità di ricorrere al giudizio di ottemperanza per l’esecuzione delle decisioni di accoglimento adottate in tale sede.
Ciononostante, nell’ambito del ricorso straordinario, il Consiglio di Stato – lo stesso organo che, in altra veste, esercita la funzione giurisdizionale in appello sugli atti delle amministrazioni – è chiamato a esprimere un parere vincolante. Questo parere, sebbene formalmente destinato a orientare la decisione finale sul ricorso, di fatto assume un ruolo determinante. A rafforzo di ciò, con l’entrata in vigore della legge n. 69/2009, è stata eliminata la facoltà per il Ministro competente, previa sottoposizione della questione al Consiglio dei Ministri, di discostarsi dal parere del Consiglio di Stato, consolidandone il carattere vincolante.
Stante le modifiche del 2009, una conferma definitiva del carattere atipico e fortemente tendente alla giurisdizionalizzazione del rimedio del ricorso straordinario si è avuto nel 2010 con l’entrata in vigore del Codice del Processo Amministrativo, il quale, all’art. 112, ha aperto la via del ricorso per ottemperanza delle decisioni dei ricorsi straordinari al Capo dello Stato. Ciò risulterebbe quindi possibile dalla lettura ermeneutica dell’art. 112, co. 2, lett. d), c.p.a., il quale ammette la proposizione dell’azione di ottemperanza per portare ad esecuzione, oltre che alle sentenze passate in giudicato, anche “gli altri provvedimenti ad esse equiparati per i quali non sia previsto il rimedio dell’ottemperanza, al fine di ottenere l’adempimento dell’obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi alla decisione”.
Dal punto di vista della legittimità costituzionale, questa metamorfosi della natura del ricorso straordinario al Capo dello Stato sembrerebbe, a prima vista, collidere con l’art. 102 della Costituzione, il quale vieta l’istituzione di nuovi giudici speciali. Tuttavia, proprio in quanto il ricorso straordinario viene definito in aderenza al parere vincolante del Consiglio di Stato, il quale fa capo all’ambito giurisdizionale proprio del giudice amministrativo, è possibile superare la questione di costituzionalità in relazione al divieto di istituzione di giudici speciali. In tal modo, infatti, non vi è alcuno spostamento del complesso giurisdizionale competente alla decisione, il quale resta circoscritto alla giurisdizione del giudice amministrativo, sebbene adottando un rito differente.
Con la sentenza n. 11 del 7 maggio 2024, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato torna a pronunciarsi sulla natura del ricorso straordinario al Capo dello Stato; questa volta, muovendosi dal significato del termine “giurisdizione” e passando per i precisi riferimenti del diritto positivo, giunge, infine, a definire il ricorso straordinario come “rimedio «giustiziale», alternativo a quello giurisdizionale, di cui condivide solo alcuni tratti strutturali e funzionali”. Continua definendo la decisione del ricorso come atto “della” Amministrazione, ma non “di” amministrazione e giustifica l’intervento normativo della legge n. 69/2009 come utile a rendere l’istituto coerente alla sua struttura contenziosa, in quanto, la facoltà del Ministro competente di discostarsi dal parere del Consiglio di Stato “per quanto ipotetica, metteva in dubbio il requisito della terzietà del decidente”.
3. Attualità e limiti strutturali del ricorso straordinario al Capo dello Stato
Il ricorso straordinario, pur beneficiando di un termine più ampio per la presentazione e di una procedura significativamente più snella rispetto al ricorso ordinario davanti al T.A.R., non è privo di criticità; al contrario, presenta rilevanti limitazioni rispetto alla tutela concessa dal giudice amministrativo, compromettendo così la piena effettività del rimedio.
In primo luogo, non si spiega perché il ricorso straordinario sia alternativo ai soli giudizi promossi con l’azione di annullamento per vizi di legittimità, non potendo, pertanto, configurarsi come alternativa rispetto alle altre azioni previste dal Codice nell’ambito della giurisdizione amministrativa di legittimità. Questo, alla luce dell’ampliamento e dell’estensione della tutela giurisdizionale amministrativa, ne riduce drasticamente l’applicabilità al presente, con una reviviscenza di un’epoca in cui l’unico rimedio avverso l’azione amministrativa era rappresentato dalla domanda di annullamento. A rendere ancor più il ricorso straordinario uno strumento poco attraente contribuisce l’esclusione della consulenza tecnica d’ufficio dai mezzi di prova, nonché la totale assenza dell’udienza nella fase di trattazione della causa e in quella cautelare. Il Consiglio di Stato, quindi, decide il ricorso senza che le parti e i loro rappresentanti possano intervenire.
Insomma, il ricorso straordinario, allo stato attuale, sembra essere destinato a rimanere confinato a quei pochi casi, di cui poc’anzi si è trattato, in cui rappresenta l’unica soluzione all’irricevibilità del ricorso davanti al giudice amministrativo per il trascorso del termine di sessanta giorni, trattandosi di un rimedio che necessita di una riforma che lo adegui, per recuperare la sua funzione effettiva, alle esigenze del moderno sistema di giustizia amministrativa.
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Note
[1] Corte Cost., 2 luglio 1966, n. 78;
[2] Cass., Sez. Un., 28 gennaio 2011, n. 2065;
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