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Nei tre modelli di economia di mercato, di Stato e mista o guidata, la Costituzione ha per traccia una forma di mercato mista avente per fine il raggiungimento di obiettivi sociali nello svolgimento delle attività economiche, questa dimensione sociale non si riduce ai soli obiettivi sociali perseguiti dallo Stato ma si allarga a dei veri e propri diritti riconosciuti ai singoli, tuttavia è da valutare che tutti i diritti hanno un costo che deve essere rapportato agli “equilibri di bilancio” dello Stato non essendo pertanto necessariamente progressivi, d’altronde un eccesso di tassazione crea una decrescita e si risolve alla lunga in una diminuzione di diritti in termini qualitativi per incapienza di bilancio, solo la crescita economica può permettere l’espansione e il mantenimento qualitativo dei diritti indipendentemente da qualsiasi “retorica” affermazione giuridica, che si ridurrebbe comunque ad una visione settoriale prodroma ad una crisi sistematica, in questo fondamentale e collegato allo sviluppo economico è il problema dell’occupazione.
Il lavoro è fonte di una utilità indiretta costituita dalla acquisizione della capacità di spesa o meglio di consumo e di una disutilità diretta data dal vincolo posto al proprio tempo libero, la scelta ottimale sarà pertanto data dalla quantità di tempo lavorativo che rende massima la soddisfazione netta dei due parametri, tuttavia nella realtà il lavoro rientra in un mercato contrattuale in parte regolato rigidamente e in parte fondato su consuetudini e norme implicite, questo ha permesso di procedere ad una revisione del modello tradizionale della microeconomia neoclassica secondo modelli più veritieri dell’azione razionale degli agenti economici, dando luogo ad una nuova micro fondazione della macroeconomia da parte di una corrente maggioritaria (mainstram) degli economisti di ispirazione neoclassica.
Nel breve periodo si considera la tecnologia e le attrezzature produttive come date, la produzione può pertanto aumentare solo con l’impiego di dosi addizionali di lavoro, i principi fondamentali dell’approccio mainstram sono: la razionalità e comportamento massimizzante degli agenti, decrescita del prodotto marginale per ogni singolo fattore della produzione data la tecnologia e le quantità impiegate degli altri fattori.
Viene meno una visione “atomistica” del modello nato dalla presunzione dell’esistere di un mercato perfettamente concorrenziale, sull’incontro tra domanda e offerta intervengono altri fattori quali quelli giuridici, tecnologici e culturali, che impediscono una piena occupazione anche considerando il tasso di disoccupazione “naturale” o “frizionale”, i costi di turnover ed i costi di un eventuale conflitto collegati al sistema normativo creano il grado di percezione della sicurezza del posto di lavoro che favorisce gli insiders rispetto agli outsiders, su questo influiscono sia l’ammontare che la durata dei sussidi di disoccupazione quale “salario di riserva”, favorendo la continua ricerca di un posto migliore, come la carenza di mobilità e di informazione che contribuisce alla segmentazione del mercato, se eccessi di posizioni monopolistiche creano disoccupazione altrettanto può dirsi per i fattori fiscali e istituzionali che scoraggiano la richiesta di domanda di lavoro, ritorna il difficile rapporto tra equilibri di bilancio e sistemi sociali di sicurezza o welfare nel paradigma della rigidità/flessibilità.
Nel modello del salario d’efficienza vi è la valutazione della massimizzazione del rendimento della forza lavoro minimizzando al contempo l’incidenza del costo del lavoro per un’unità di prodotto (C.L.U.P.), sinteticamente è il rapporto fra salario reale e produttività del lavoro, la quale ultima dipenderebbe sia dalla tecnologia applicata che dalla qualità del lavoratore oltre che dalla intensità del suo impegno, tutte circostanze che porterebbero a salari più elevati e a relazioni contrattuali più favorevoli, disincentivando il turnover del personale più qualificato.
Quello che realmente determina la domanda di lavoro è la domanda effettiva a livello finale dei beni di consumo o di investimento, tanto che si è ritenuto nel breve periodo addirittura irrilevante il “livello eccessivi dei salari”, per aumentare la capacità di assorbimento si è quindi arrivati a creare l’autorealizzazione in termini di bisogni primari da esibire quali status sociali, d’altronde la caduta dei salari reali a seguito del disequilibrio tra domanda ed offerta può condurre ad una ulteriore spinta recessiva sulla domanda finale, fino ad innescare processi deflattivi che appesantirebbero ulteriormente i costi reali del lavoro.
Sia nel modello neoclassico che in quello keynesiano sono assenti i riferimenti a fattori strutturali, il primo isola il mercato del lavoro dagli altri mercati non collegando i sistemi tra loro, il secondo li fa interagire ma con un’ottica di breve periodo non valutando appieno il progresso tecnologico, le dinamiche finanziarie, nonché la domanda finale dei beni e le aspettative ad essa collegate, con l’eventuale necessità di valutare il modificarsi della composizione della popolazione che nel modificare la domanda e le possibilità produttive può condurre ad una possibile decrescita ciclica necessaria al riequilibrio strutturale, circostanza valutata con più attenzione nell’approccio “francese” della “Scuola della Regolazione” in cui la interazione fra analisi economica e storico-politica si contrappone all’economia “pura” del modello anglo-americano, una visione strutturalista che valuta con più attenzione il rapporto tra occupazione e gli altri elementi in primo luogo di mutamento tecnologico.
Dall’analisi dei dati storici di alcuni paesi maggiormente industrializzati sembra emergere la disoccupazione come legata a fattori di ciclicità economico-finanziaria, piuttosto che a schock tecnologici o di investimento, inoltre l’occupazione appare legata alla crescita della produttività, d’altronde se la nuova tecnologia si riduce alla sola innovazione per processo senza una vera innovazione di prodotto vi sarà una contrazione del lavoro come semplice riduzione di costi, nel caso opposto la creazione di nuovi mercati compenserà la riduzione di lavoro che avviene a seguito del nuovo processo tecnologico, senza considerare i guadagni derivanti dallo sfruttamento delle nuove tecnologie e che potranno essere fonte di nuovi investimenti e consumi come la creazione di nuove attività complementari.
Anche la concorrenza dei paesi in via di sviluppo nei prodotti ad alto contenuto di lavoro può essere contenuta relativamente al know-how se conservato nel paese di origine e qui ulteriormente sviluppato, accanto alle attività ad alto contenuto di specializzazione si pongono le ampie aree di servizi che, in particolare per le persone, rimangono sostanzialmente a carattere territoriale, la concorrenza può avvenire prevalentemente con carattere immigratorio, il problema è piuttosto l’eventuale basso valore attribuito, anche la tradizionale asimmetria nell’efficacia della politica monetaria in cui elevati tassi di interesse hanno effetti immediati nel raffreddare le attività ma è incerto l’effetto contrario, attraverso la politica monetaria e di bilancio imposta dal Trattato di Maastricht, si evidenzia i suoi effetti in termini occupazionali nella ricerca dell’equilibrio di bilancio, rischiando comunque di ottenere un effetto occupazionale di “working poor”, né si possono ignorare i limiti di sfruttamento ambientali e le conseguenti ricadute socio-sanitarie.
Bibliografia
- N. Luhmann, Organizzazione e decisione, Bruno Mondadori, 2005;
- N. Luhmann, Conoscenza come costruzione, Armando ed., 2007;
- N. Luhmann – R. De Giorgi, Teoria della società, Franco Angeli, 1992;
- N. Addario – A. Cevolini, Sociologia della modernità, Egea 2012;
- L. Offe, Lo Stato nel capitalismo maturo, Etas, 1977;
- J. Rifkin, La fine del lavoro. Il vecchio della forza lavoro globale e l’avvento dell’era post-mercato, Baldini e Castoldi, 1995.
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