Il decreto legge 23 ottobre 1996, n. 543, convertito in legge 20 dicembre 1996, n. 639, ha modificato in pi? punti la legge 14 gennaio 1994, n. 20, recante disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti. Di notevole importanza ? stata, indubbiamente, la novella concernente l?elemento psicologico della c. d. responsabilit? amministrativa o contabile (quest?ultima relativa agli agenti contabili, a coloro, cio?, che hanno il maneggio di denaro o di altri valori dello Stato). Al fine di evitare, infatti, che il soggetto sottoposto alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilit? pubblica si schermisse dietro atteggiamenti (scil. scelte amministrative) eccessivamente prudenziali, evitando, per tal via, di subire eventuali censure da parte della magistratura contabile, la citata legge del 1996 ha limitato la responsabilit? amministrativa ai soli casi di dolo (considerato come la cosciente volont? di determinare l?evento dannoso) o colpa grave (che si riscontra nell?ipotesi in cui ? posto in essere un comportamento disattento e negligente, tale da determinare una grave violazione dei doveri dell?ufficio, valutati ed apprezzati alla stregua della diligenza normalmente richiesta), mantenendo peraltro ferma l?insindacabilit? nel merito delle scelte discrezionali.
Al riguardo, ? bene evidenziare preliminarmente che la riferita novella legislativa ? passata indenne al vaglio della Corte costituzionale (sent. n. 371 del 1998), la quale, condividendo nella sostanza la ratio ispiratrice della norma, ha precisato che ?nella combinazione di elementi restitutori e di deterrenza, che connotano l’istituto? della responsabilit? amministrativa ?la disposizione [l?art. 1, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, siccome modificato dal decreto legge n. 543 del 1996, successivamente convertito, n. d. r.] risponde, perci?, alla finalit? di determinare quanto del rischio dell’attivit? debba restare a carico dell’apparato e quanto a carico del dipendente, nella ricerca di un punto di equilibrio tale da rendere, per dipendenti ed amministratori pubblici, la prospettiva della responsabilit? ragione di stimolo, e non di disincentivo?.
Ci? posto, merita, in primo luogo, soffermarsi sul richiamato limite cognitivo dell?Autorit? giuscontabile (art. 1, comma 1, legge n. 20/1994), in base al quale il sindacato del giudice contabile non pu? (e non deve) spingersi sino all?esame nel merito delle scelte discrezionali; non pu?, in altri termini, riferirsi all?apprezzamento circa la convenienza o l?opportunit? di dette scelte.
Al fine, infatti, di individuare la reale portata applicativa di detto argine alla cognizione del giudice contabile, il quale, se interpretato in modo sbagliato, rischierebbe di sterilizzare l?importantissima funzione tutoria della magistratura contabile, ? opportuno precisare subito che tali ?scelte discrezionali? non sono sottratte in toto al ?controllo? giurisdizionale, dal momento che le stesse possono essere vagliate sotto il profilo della rispondenza a quei criteri di razionalit? e congruit?, che, grazie alla legge n. 241/1990, sono stati elevati al rango di normazione primaria.
L?insindacabilit? nel merito delle scelte discrezionali non preclude, quindi, al giudice l?analisi della compatibilit? delle scelte amministrative con i fini pubblici, il controllo circa la conformit? alla legge dell?attivit? amministrativa e la verifica della ragionevolezza dei mezzi impiegati in rapporto agli obiettivi conseguiti.
Su tali basi, ? possibile affermare che una volta che la P. A. ha compiuto una scelta, al giudice contabile non pu? essere sottratta la possibilit? di vagliare l?operato dell?amministrazione al fine di accertarne la rispondenza a quei principi di ragionevolezza, congruit? e logicit? che devono permeare l?attivit? amministrativa, con la conseguenza che la mancata rispondenza a questi criteri d? luogo alla c. d.? responsabilit? amministrativa.
In termini generali, si pu?, dunque, affermare che la responsabilit? amministrativa ? configurabile in ogni ipotesi in cui si produca un danno di natura patrimoniale (o, comunque, economicamente valutabile) nei confronti di una pubblica amministrazione a seguito di un comportamento doloso o gravemente colposo posto in essere da un soggetto legato alla P. A. da un rapporto di impiego o di servizio, ovvero da un soggetto formalmente privato (come un amministratore di s.p.a. in mano pubblica) e ci? nondimeno sottoposto alla giurisdizione della Corte dei conti, nella misura in cui gestisce ed amministra denaro pubblico.
Per quanto concerne quest?ultimo aspetto (scil. il soggetto attivo dell?illecito amministrativo), ? utile rammentare, sempre in limine tractationis, che si ? registrato nel corso di questi ultimi anni un notevole allargamento dell?ambito soggettivo dell?illecito in esame. I pi? recenti orientamenti giurisprudenziali (v., per tutte, Cass., sez. un. civ., ord. n. 19667/2003), sulla scorta dell?evoluzione organizzativa della pubblica amministrazione che tende progressivamente ad assumere una fisionomia diversa da quella tradizionale e sempre pi? vicina ai moduli privatistici, hanno, infatti, acclarato una sostanziale dequotazione della tralatizia distinzione tra enti pubblici economici e non economici ai fini della delimitazione della competenza giurisdizionale contabile, con la conseguenza che il dato essenziale dal quale scaturisce tale giurisdizione ? l?evento in danno dell?amministrazione pubblica e non la veste giuridica (pubblica o privata) dell?ente interessato o il quadro di riferimento (di diritto pubblico o privato) nel quale si colloca la condotta produttiva del danno stesso. Dunque, la giurisprudenza ha recepito, in subiecta materia, la nozione non soggettiva ma oggettiva di attivit? amministrativa, ritenendo che essa si qualifichi tale in quanto caratterizzata dall?elemento funzionale del soddisfacimento diretto di bisogni di interesse generale.
Fatta questa premessa di ordine generale, occorre rilevare che le frontiere della responsabilit? amministrativa, negli ultimi tempi, si sono notevolmente ampliate. Ci si riferisce, in particolare, alla specifica figura del danno all?immagine ed al prestigio della P. A., inteso come danno ingiusto ad uno dei diritti fondamentali della persona giuridica pubblica che ? quantunque concernente la lesione di beni (identit? personale, buon nome, reputazione e credibilit?) di per s? inidonei a costituire oggetto di scambio e di quantificazione pecuniaria secondo le leggi di mercato ? consiste sempre nella lesione di un interesse direttamente protetto dall?ordinamento e in quanto tale economicamente apprezzabile.
Al riguardo, giova rammentare per prima cosa che la risarcibilit? del danno all?immagine della P. A. innanzi alla Corte dei conti rappresenta ormai un approdo univoco sia per la Magistratura contabile che per la stessa Corte di cassazione (ex pluribus, Corte dei conti, sez. giur. Umbria, n. 628 del 28.05.1998; id., sez. giur. Piemonte, n. 1041 del 7.06.1999; id., sez. riun., n. 16/99/QM del 28.05.1999; id., sez. giur. Lombardia, n. 1551 del 15.12.1999; id., sez. giur. Lombardia, n. 672 del 18.05.2000; id., sez. prima centr. app., n. 96 del 25.3.2002; Corte di cassazione, sez. un., n. 5668 del 25.06.1997; id., sez. un., n. 744 del 25.10.1999; id., sez. un., n. 98 del 4.04.1998). Ci? nondimeno, per dirimere alcune questioni di massima su punti fondamentali di ordine concettuale, tale categoria di danno erariale ? stata recentemente oggetto di un importantissimo arresto delle Sezioni Riunite in sede giurisdizionale della Corte dei conti (sent. n. 10/QM del 23 aprile 2003). In tale occasione, il supremo consesso di giustizia contabile ha avuto modo di osservare che, sebbene siffatta pretesa risarcitoria sia, nel nostro ordinamento, riconosciuta in primis alle persone fisiche, nulla esclude che, alla stregua delle disposizioni costituzionali (articoli 2 e 97), il medesimo diritto (al risarcimento) possa essere accordato anche alle persone giuridiche pubbliche.
Ed invero appare decisivo proprio il riferimento all?art. 97 della Costituzione, primo e secondo comma, dal momento che la norma costituzionale, al primo comma, fissa, per l?agire amministrativo, parametri di imparzialit? e buon andamento, mentre, al secondo comma, determina le sfere di competenza che devono essere rispettate, le attribuzioni che devono venir esercitate e le responsabilit? dei funzionari che devono essere attivate.
Per meglio comprendere lo stretto rapporto tra gli evocati principi costituzionali e la configurabilit? (id est risarcibilit?) del danno all?immagine della P. A., occorre muovere dalla considerazione che ?la violazione di questo diritto all?immagine, intesa come diritto al conseguimento, al mantenimento ed al riconoscimento della persona giuridica pubblica ? si risolve in un onere finanziario che si ripercuote sull?intera collettivit?, dando luogo ad una carente utilizzazione delle risorse pubbliche ed a costi aggiuntivi per correggere gli effetti distorsivi che sull?organizzazione della Pubblica Amministrazione si riflettono in termini di minor credibilit? e prestigio e? di diminuzione di potenzialit? operativa? (Corte dei conti, sez. riun., cit.). In termini pi? diretti (e recenti) ?il danno all?immagine della P.A. si sostanzia in una menomazione della funzionalit? dell?Amministrazione stessa che, in base agli articoli 97 e 98 della Costituzione, deve agire in modo efficace, efficiente, economico ed imparziale. In altre parole, il danno all?immagine ? un danno pubblico in quanto lesione del buon andamento della P. A., che perde, per la condotta illecita dei suoi dipendenti, credibilit? ed affidabilit? all?esterno ed ingenera la convinzione che i comportamenti patologici posti in essere dai propri appartenenti siano un connotato usuale dell?azione dell?Ente? (Corte dei Conti, sez. giur. Lombardia, n. 2228/PG del 31.1.2005)
Della citata sentenza delle Sezioni Riunite del 2003 si segnala anche la ricostruzione dogmatica ivi compiuta del danno all?immagine della P. A., considerato e qualificato come una delle plurime estrinsecazioni del proteiforme? danno esistenziale e individuato, perci?, ?nell?ambito dei danni non patrimoniali come danno evento, e non come danno conseguenza?. Ed invero, poich? l??oggetto del risarcimento non pu? che essere una perdita cagionata dalla lesione di una situazione giuridica soggettiva e la lesione del danno non pu? riferirsi se non a perdite?, a questo dato (scil. l?esistenza di una perdita) deve essere agganciata ?anche la tutela risarcitoria dei danni non patrimoniali, causati dalla lesione di diritti od interessi costituzionalmente protetti, quale il diritto all?immagine, con la peculiarit? che essa deve essere ammessa, per precetto costituzionale, indipendentemente dalla dimostrazione di perdite patrimoniali, oggetto del risarcimento essendo la diminuzione o la privazione di valori inerenti al bene protetto?.
Prima della legge n. 20/1994, in verit?, la giurisprudenza contabile affermava la natura patrimoniale e contrattuale della responsabilit? amministrativa, senza prendere in considerazione anche quegli ulteriori interessi, non direttamente connessi all?integrit? patrimoniale, ma ugualmente meritevoli di considerazione in una societ? che tenda all?efficienza delle proprie strutture pubbliche.
Ed ? proprio da questo assunto che muovono le Sezioni Riunite del 2003, pervenendo alla conclusione che? ?il danno all?immagine di una Pubblica Amministrazione ? non rientra nell?ambito di applicabilit? dell?art. 2059 c. c., ma ? una fattispecie del danno esistenziale?. La responsabilit? per danno all?immagine della P. A. si configura, cio?, come un presidio giustiziale posto a ?tutela della ? identit?, del ? nome, della ? reputazione e credibilit??, atteso che ?il diritto delle Amministrazioni Pubbliche ad organizzarsi ? [e ad] operare in modo efficace, efficiente, imparziale e trasparente nei confronti dei propri dipendenti e dei propri amministrati ? un diritto costituzionalmente garantito dall?art. 97 Cost. ? [siccome] rafforzato dalla tutela accordata dagli articoli 7 e 10 c. c. ? applicabili anche alle persone giuridiche?. Ne consegue che ?la risarcibilit? del danno esistenziale viene fondata sul disposto dell?art. 2043 c. c., sulla base del sillogismo secondo cui, premesso che lo svolgimento di attivit? non remunerative costituisce un interesse dell?individuo tutelato dall?ordinamento, ne consegue che la lesione della possibilit? di svolgere tali attivit? rappresenta un danno ingiusto ex art. 2043 c. c. e l?ingiustizia del danno ne determina necessariamente la risarcibilit??.
Lungo questa traiettoria ermeneutica, la giurisprudenza in esame ? traslando i predicati principi sul piano della teorica generale ? arriva pure a sostenere che lo stesso danno biologico non sia una categoria di danno autonoma, ma rientri esso stesso nel medesimo ambito del danno esistenziale, con la conseguente tripartizione del danno risarcibile: il? danno patrimoniale, inteso come deminutio patrimonii, il danno morale inteso come pretium doloris ed il danno esistenziale, a cui devono essere associate sia la figura del danno biologico, sia tutte le altre ipotesi risarcitorie afferenti a diritti costituzionalmente protetti.
Non pu? essere taciuto, per?, che la su esposta ricostruzione dogmatica del danno esistenziale, siccome formulata dalle Sezioni Riunite della Corte dei conti (che ancorano la risarcibilit? di tale danno al disposto dell?art. 2043 c. c.), risente indubitabilmente della interpretazione data in quel momento all?art. 2059 c. c. dalla giurisprudenza corrente, posto che sino a quel momento, secondo il diritto vivente risultante dall?interpretazione della Corte di cassazione, l?art. 2059 c. c. ? a norma del quale ?il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge? ? consentiva il risarcimento dei soli danni morali conseguenti a reato (arg. ex art. 185 c. p.).
Tuttavia, immediatamente dopo la pronuncia delle Sezioni Riunite? in commento, la Corte di cassazione ? nel quadro di un sistema bipolare del danno patrimoniale e di quello non patrimoniale ? ha superato la tradizionale restrittiva lettura dell?art. 2059 c. c., come diretto ad assicurare tutela soltanto al danno morale soggettivo. La Suprema Corte ha ritenuto che, a seguito della profonda evoluzione dell?ordinamento ed alla luce delle norme costituzionali nelle quali assumono posizione preminente i diritti della persona, ?il danno non patrimoniale deve essere inteso come categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi in cui sia leso un valore inerente ala persona? (Cass. civ., sez. terza, n. 8828 del 31.05.2003). Una lettura della norma costituzionalmente orientata impone, a mente della citata giurisprudenza di legittimit?, di ritenere inoperante il limite al quale l?art. 2059 del codice del 1942 assoggetta il risarcimento del danno non patrimoniale se la lesione ha riguardato valori della persona costituzionalmente garantiti.
La nuova lettura ?costituzionalmente orientata? dell?art. 2059 c. c. ? stata autorevolmente confermata anche dalla Corte costituzionale (Corte cost. n. 233 dell?11.07.2003), la quale, chiamata a pronunciarsi sulla legittimit? costituzionale della norma codicistica in discorso, ha respinto la questione richiamando l?interpretazione da ultimo fornita dalla Cassazione. I giudici di Palazzo della Consulta hanno acutamente osservato ?che pu? dirsi ormai superata la tradizionale affermazione secondo la quale il danno non patrimoniale riguardato dall?art. 2059 c. c. si identificherebbe con il cosiddetto danno morale soggettivo?, riconoscendo alla evocata giurisprudenza della Corte di cassazione (Cass. civ., sez. terza, nn. 8827 e 8828 del 31.05.2003) il pregio di aver ricondotto a razionalit? e coerenza il tormentato capitolo della tutela risarcitoria del danno alla persona, merc? ?un?interpretazione costituzionalmente orientata dell?art. 2059 c. c., tesa a ricomprendere nell?astratta previsione della norma ogni danno di natura non patrimoniale derivante da lesione di valori inerenti alla persona: e dunque sia il danno morale soggettivo, inteso come transeunte turbamento dello stato d?animo della vittima; sia il danno biologico in senso stretto, inteso come lesione dell?interesse, costituzionalmente garantito, all?integrit? psichica e fisica della persona, conseguente ad un accertamento medico (art. 32 Cost.); sia infine il danno (spesso definito in dottrina ed in giurisprudenza come esistenziale) derivante dalla lesione di (altri) interessi di rango costituzionale inerenti alla persona? (Corte cost. cit.).
Dato per acquisito il descritto revirement giurisprudenziale, non sembra comunque revocabile in dubbio, anche alle stregua delle rinnovate coordinate ermeneutiche, la sicura possibilit? di individuare un danno non patrimoniale in capo allo Stato o ad altri enti pubblici, dato che la norma dell?art. 2059 c. c., come interpretata dalla citata giurisprudenza, ?non si riferisce solo ai danni non patrimoniali patiti dalle persone fisiche, ma? anche a quelli patiti dalle persone giuridiche? (Corte dei conti, sez. giur. Veneto, n. 304 del 9 febbraio 2005).
Cos? enucleata la risarcibilit? del danno all?immagine della P. A., non pu? tuttavia non rilevarsi che la determinazione, in concreto, dell?ammontare dell?importo da porre a carico del responsabile presenta notevoli difficolt?. Al riguardo, ? opportuno rammentare, in primo luogo, che la legge n. 20/1994, all?art. 1, comma 1-bis, dispone che ?fermo restando il potere di riduzione, deve tenersi conto dei vantaggi comunque conseguiti dall?amministrazione o dalla comunit? amministrata in relazione al comportamento degli amministratori o dei dipendenti pubblici soggetti al giudizio di responsabilit??, fissando, in questo modo, l?obbligo per il giudice di valutare i vantaggi ?comunque? (avverbio che avrebbe una valenza espansiva, volta a considerare tutti i vantaggi ottenuti e non soltanto quelli derivanti dall?attivit? illecita) conseguiti dalla collettivit? a seguito di un comportamento che ha determinato il danno all?erario.
La legge, tuttavia, non indica quali siano i parametri di riferimento per il giudice al fine di valutare l?entit? dei vantaggi, per cui, in genere, ci si riferisce alla regola generale della compensatio lucri cum damno, la quale, nelle ipotesi di che trattasi, presuppone l?accertamento dell?effettivo vantaggio conseguito dal soggetto pubblico ovvero il riconoscimento che i risultati (illecitamente) raggiunti sono coerenti con i fini istituzionali dell?amministrazione. La compensatio lucri cum damno ? che ? un istituto di origine pretoria elaborato nell?interpretazione dell?art. 1223 del codice civile ? trova, per?, applicazione solo quando sia il danno che il vantaggio siano conseguenza immediata e diretta? dello stesso fatto. Di conseguenza, la corretta e legittima applicazione di siffatto principio (di determinazione del danno risarcibile) presuppone necessariamente ?che l?utilitas discendente dall?azione illecita sia effettiva, che il fatto generatore del danno sia lo stesso che ha prodotto il vantaggio e che l?utilitas acquisita rientri nell?ambito dei fini istituzionali dell?amministrazione o corrisponda agli interessi della comunit?? (Corte dei conti, sez. terza, sent. n. 590 del 10.11.2004).
Il principale problema legato alla complessa questione della quantificazione del danno all?immagine della P. A. riguarda, per?, l?individuazione di utili indici di riferimento per la determinazione del danno in discorso. In proposito, le Sezioni Riunite pi? volte richiamate hanno formulato un articolato ?decalogo? esemplificativo, recante i parametri sulla base dei quali fissare il quantum risarcibile. I parametri indicati sono ?il rilievo e la delicatezza dell?attivit? svolta dall?amministrazione pubblica, la posizione dell?autore dell?illecito, le negative ricadute socioeconomiche sui comportamenti dell?amministrazione o sui soggetti da essa amministrati come quelle derivanti dalla presenza di un sistema di concussione idoneo a scoraggiare l?attivit? imprenditoriale, la diffusione, la gravit? e la ripetitivit? dei fenomeni di malamministrazione, la significativa rilevante compromissione dell?efficienza dell?apparato, la necessit? di onerosi interventi correttivi, la negativa impressione suscitata dal fatto lesivo nell?opinione pubblica per effetto del clamor fori e/o della risonanza data dai mezzi di informazione di massa?. Ma possono contribuire a quantificare la lesione prodotta anche i fattori soggettivi, talch? ?la delicatezza e la rappresentativit? delle funzioni attribuite ad un amministratore o dipendente pubblico comporteranno che esse, se male esercitate, pi? gravemente si ripercuotano, con effetto negativo, sull?amministrazione, sulla sua immagine e sulla percezione che di essa ne hanno i suoi componenti ed i soggetti nel cui interesse essa opera? (Corte dei conti, sez. riun., sent. cit.).
Un altro importante nodo interpretativo sciolto in sede pretoria concerne la questione se ai fini della quantificazione del danno debba farsi riferimento anche delle spese eventualmente sostenute dalla P. A. per ripristinare il proprio prestigio inciso dal comportamento lesivo. Orbene, se si considera il danno all?immagine come perdita di prestigio o come alterazione dell?identit? della P. A., che viene considerata all?esterno come una struttura disorganizzata o, comunque, mal gestita, con l?ulteriore (e pi? grave) conseguenza di suscitare nei cittadini-utenti la convinzione che, grazie a illecite dazioni di denaro o altre prestazioni, si possano ottenere notevoli vantaggi, ? chiaro che ?il danno da risarcire si afferma sotto due profili: da un lato nella necessit? di ripristinare, con tutti i mezzi ritenuti pi? opportuni e consoni, l?immagine dello Stato e della P. A. che lo rappresenta; dall?altro, nella necessit? di smentire, recisamente e significativamente, nella pubblica opinione la pericolosa convinzione che accordi truffaldini consentano con successo di eludere, ridurre o, comunque, contenere i giusti doveri? del cittadino (Corte dei conti, sez. prima giur. centr. app., n. 100/A del 23.03.2005).
In termini, del resto, si erano gi? pronunciate le ridette Sezioni Riunite del 2003, che, in merito alla prospettata questione, affermano che ?si pu? fare riferimento, oltre che alle spese di ripristino gi? sostenute, posto che si dimostrino coerenti con lo scopo perseguito, anche, e sul medesimo presupposto, a quelle ancora da sostenere. In quest?ultimo caso, la valutazione equitativa del giudice ex art. 1226 c. c. potr? fondarsi su prove anche presuntive od indiziarie. Tra di esse potranno collocarsi le ?perdite assertivamente a carico dell?ente? posto che si riferiscano a conseguenze negative che, per dato di comune esperienza e conoscenza, siano riferibili al comportamento lesivo dell?immagine e dell?identit? della pubblica amministrazione offesa?.
Appare, quindi, evidente che il risarcimento del danno, anche sotto il profilo delle spese di comunicazione che la P. A. deve sostenere per la cura dell?immagine incisa, ? giustificato dalla (condivisibile) esigenza di ripristinare il prestigio leso, il quale (anche perch? indice di esercizio delle funzioni pubbliche effettivamente orientato all?interesse della comunit? amministrata e realmente rispondente ai canoni della legalit?, del buon andamento e dell?imparzialit?) ha un peso notevolissimo nell?ambito sociale e dell?ordinamento giuridico. Pu? ben dirsi, infatti, che anche ?la specificazione del generale dovere di tutti i cittadini di essere ?fedeli alla Repubblica e di osservare le leggi? ? teleologicamente orientata proprio alla tutela dell?immagine e del prestigio della P. A.? (Corte dei conti, sez. giur. Umbria, n. 1 del 17.01.2005).
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