Di Anna Costagliola
Con la sentenza del 2 febbraio 2012, n. 4526, la Cassazione penale, nel respingere il ricorso proposto da un soggetto accusato di maltrattamenti in famiglia avverso il provvedimento applicativo nei suoi confronti della misura cautelare del divieto di avvicinamento alla ex moglie e alle due figlie minorenni, ha enunciato il principio relativo alla piena utilizzabilità delle dichiarazioni testimoniali del minore acquisite in assenza di idonee garanzie di «ascolto protetto».
Con riguardo alla tematica in oggetto deve osservarsi come, invero, si è posta sempre maggiore l’esigenza di individuare e condividere adeguate forme di tutela relative all’ascolto dei minori coinvolti in procedimenti giudiziari, sia civili che penali. Ciò in considerazione della particolare sensibilità del minore, che impone specifici accorgimenti rispettosi di detta sensibilità e tali da garantire risposte attendibili ed esaurienti, rilevanti ai fini giudiziari. In questa prospettiva, nell’ambito del processo occorre tutelare la persona del minore in modo più specifico, procedendo al suo ascolto nell’osservanza di particolari modalità, quali, in sintesi:
a) spiegazione al minore di quel che accade all’interno del processo, fornendo informazioni circa l’attività che si accinge a compiere e sulla rilevanza del suo ruolo;
b) minima offensività dell’audizione, con rispetto dei tempi del minore, della sua situazione emotiva e delle sue esigenze;
c) impiego di particolari cautele, mediante la predisposizione di audizioni protette e l’intervento di esperti per l’assistenza psicologica necessaria in relazione al coinvolgimento del minore nel procedimento giudiziario;
d) previsione di un ambiente adeguato e protetto in cui dovrà essere resa la testimonianza.
E’ necessario, poi, che siano favorite le condizioni per un ascolto empatico, dove per «empatia» si intende una qualità dell’atteggiamento dell’intervistatore idonea a facilitare la comunicazione con il minore e a comprenderne il vissuto.
Ciò premesso, la Cassazione, a sostegno della utilizzabilità della testimonianza resa da minori senza le garanzie di un «ascolto protetto», ha precisato come tali garanzie non siano imposte da alcuna previsione codicistica o di altra fonte normativa, costituendo, così come indicate nella Carta di Noto, meri suggerimenti volti a garantire l’attendibilità del minore. Nel vigente sistema processuale, invece, la testimonianza di persona minorenne deve essere unicamente valutata dal giudice (art. 196 c.p.p.) sotto il duplice profilo della sua capacità di deporre (quale attitudine, rapportata all’età, a memorizzare gli avvenimenti e a riferirne) e della veridicità del racconto. Ciò implica che, una volta positivamente valutata sotto entrambi i profili, la testimonianza del minore che sia anche persona offesa dal reato può anche da sola integrare la prova dei fatti narrati, senza la necessità di ulteriori elementi rafforzativi del convincimento del giudice.
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