Questa è la configurazione giuridica che la Cassazione, con la sentenza n. 7966 del 29 febbraio 2012, ha voluto dare al comportamento di un uomo che aveva in più occasioni utilizzato il permesso invalidi del padre, attribuendosi lo status di accompagnatore al servizio, ed approfittando di corsie preferenziali, porte telematiche alla Ztl e parcheggi senza pagare.
L’imputato era stato prosciolto dalle accuse di sostituzione di persona e truffa continuata, ma la sentenza di non luogo a procedere era stata impugnata dal pubblico ministero.
Anche la Cassazione tuttavia non ha ravvisato gli estremi per i suddetti reati: per il primo, il delitto di sostituzione di persona, mancherebbe l’elemento dell’assunzione da parte di qualcuno dell’identità di altra persona, non essendo sufficiente ad integrarlo la semplice esposizione sul cruscotto dell’automobile di un permesso di sosta intestato a quest’ultima, mentre in relazione all’ipotizzato reato di truffa mancherebbe l’atto di disposizione patrimoniale che è causa dell’ingiusto profitto con altrui danno.
La fattispecie è stata allora inquadrata come illecito amministrativo.
Ad avviso degli ermellini infatti «il permesso invalidi rappresenta esclusivamente l’autorizzazione amministrativa per circolare in zone altrimenti interdette, rilasciata per quell’autovettura, in quanto al servizio della persona invalida; e la mera esposizione, sul parabrezza dell’autovettura autorizzata, del relativo contrassegno, è un comportamento del tutto neutro, che non implica di per sé una dichiarazione di attestazione della presenza del titolare del permesso a bordo dell’autovettura medesima, come presupposto dell’autoattribuzione della qualità di accompagnatore da parte del conducente».
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