Lucia Nacciarone
Con la sentenza n. 33615 del 3 settembre 2012 i giudici di legittimità hanno confermato la condanna a carico del medico, per non aver lo stesso vigilato accuratamente contro l’omissione di ogni necessaria pratica medica da parte dell’èquipe che aveva operato una donna, poi deceduta per complicanze.
Nella fattispecie all’uomo, in concorso con l’anestesista, era stato contestato il reato di omicidio colposo; la donna, invero, era deceduta a seguito di una grave insufficienza respiratoria da massiva aspirazione di materiale gastroenterico.
L’affermazione della responsabilità è stata ravvisata nella circostanza che non siano state adottate (come del resto è risultato dalla cartella clinica anestesiologica) le cautele terapeutiche necessarie né tantomeno valutato il rischio anestesiologico.
L’anestesista avrebbe dovuto prima procedere a contenere il rischio attraverso lo svuotamento gastrico e solo successivamente iniziare l’anestesia mediante il sondino naso-gastrico, cosa che non era avvenuta.
Ciò è stato ritenuto rilevante all’esito della valutazione delle risultanze cliniche e strumentali, nelle quali i periti medico-legali avevano evidenziato che la paziente, durante il ricovero presso la casa di cura, non fu sottoposta ad adeguato trattamento, e che non fu fatta una corretta diagnosi di sub-occlusione intestinale né furono adottati i procedimenti terapeutici più idonei per scongiurare il rischio di complicanze.
In particolare, come chiariscono i giudici, l’omessa diagnosi e la mancata adozione di adeguati e tempestivi interventi terapeutici hanno costituito la causa del successivo episodio da cui è derivata la grave insufficienza respiratoria che ha portato al decesso: giacché tutto ciò è riconducibile ad una omissione del responsabile della sala operatoria, anch’egli concorre nell’omicidio colposo.
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