Lucia Nacciarone
A deciderlo sono i giudici di legittimità con la sentenza n. 35502 del 26 agosto 2013, che ha deciso senza rinvio l’annullamento della precedente statuizione della Corte di merito, che invece applicava l’interdizione dall’esercizio dell’impresa per la durata di dieci anni all’imputato condannato per bancarotta fraudolenta.
L’imputato ha quindi impugnato il capo della sentenza relativo alla pena accessoria, assumendo la violazione dell’articolo 445 del codice di procedura penale, secondo cui quando la pena irrogata non supera i due anni di reclusione, soli o congiunti a pena detentiva, non sono applicabili le pene accessorie.
Il Supremo Collegio ha fornito un’interpretazione letterale della norma applicandola anche al caso di condanna per bancarotta fraudolenta, nonostante il diverso indirizzo della Procura generale della Cassazione che aveva invece sollecitato la conferma del verdetto di merito.
In virtù della decisione, l’uomo, scontati i due anni di pena detentiva, potrà tornare ad esercitare l’attività imprenditoriale.
Quanto all’applicazione della pena accessoria conseguente alla sentenza di condanna si legge in sentenza che, in caso di patteggiamento (l’ipotesi di specie) l’applicazione della pena in misura fissa, specie se essa risulti sproporzionata rispetto alla pena principale irrogata, è illegittima perché finirebbe per alterare l’equilibrio dell’assetto negoziale che le parti hanno liberamente concordato; inoltre, deve essere sempre tenuto del principio generale la pena accessoria deve essere fissata dal giudice in misura proporzionale, se non identica, a quella principale, che nel caso sottoposto all’attenzione della Corte era di due anni, con evidente sproporzione rispetto ai dieci di sanzione accessoria comminata in sede di merito.
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