Lilla Laperuta
La nullità del rapporto intercorso tra l’ente e il paziente, avente ad oggetto un’attività professionale “protetta”, rappresenta un vizio genetico del rapporto stesso dal quale il professionista rimane estraneo (in qualità di prestatore d’opera in favore dell’impresa). Di qui, pertanto, non può farsi discendere quale automatica conseguenza l’imputazione del reddito conseguito dalla società al medico-libero professionista. Lo ha asserito la Corte di cassazione, sentenza 4 settembre n. 20262, che ha così annullato l’avviso di accertamento impugnato da un odontoiatra.
In tal senso del tutto erronea è stata ritenuta dai giudici di legittimità l’argomentazione della Commissione Tributaria Regionale la quale dall’illegittimità dell’attività svolta dalla società in accomandita semplice, e dal riconoscimento del carattere strettamente personale della prestazione professionista-cliente ha fatto derivare “sic et simpliciter” la legittimità dell’imputazione dei redditi societari al medico perché questi “deve rispondere in modo fiscalmente autonomo” non potendo la società “sostituirsi al medico libero professionista nel percepire gli onorari dovuti dai pazienti e pagare contributi fiscali dovuti per il solo fatto che il medico, libero professionista, esercita in una sua struttura”.
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