Lucia Nacciarone
A deciderlo è il Supremo Consesso di legittimità con la sentenza n. 22848 dell’8 ottobre 2013, che ha così risolto un contrasto di giurisprudenza.
Per impugnare la sentenza che dichiara estinto il giudizio, il rito camerale si applica per tutto il giudizio di impugnazione, e il rimedio offerto dall’ordinamento è la citazione e non il ricorso, che deve essere depositato in cancelleria entro il termine di trenta giorni dalla notificazione della pronuncia. Nel caso in cui l’appello venga promosso con citazione, la sanatoria si configura solo in caso di notifica tempestiva alla controparte e tempestivo deposito.
Tutto ciò, chiariscono le Sezioni Unite, in omaggio al principio di conversione, per cui un atto sbagliato può essere sanato; nel caso specifico, la conversione dell’atto in quello giusto può avvenire soltanto se risulta dotato di tutti i requisiti indispensabili al raggiungimento dello scopo rappresentato dall’utile introduzione del procedimento secondo lo schema legale prescritto.
Quindi: nel caso di appello proposto in modo irrituale con citazione invece che con ricorso la conversione avviene solo in caso di deposito dell’atto in cancelleria, così come avviene per i procedimenti per ricorso, che richiedono il deposito presso la segreteria del giudice entro un termine perentorio pena l’inammissibilità.
Il tardivo deposito della citazione nei procedimenti da instaurarsi con ricorso determina invece il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado o la definitività dell’atto impugnato e, dunque, dà luogo all’insanabile inammissibilità del gravame o dell’opposizione.
Infatti, deve essere condivisa la decisione dei giudici di merito che attestava l’estinzione del giudizio.
Le spese di giudizio, concludono infine gli ermellini, sono compensate perché i dati normativi di riferimento (relativi all’identificazione della natura dell’atto introduttivo del procedimento di appello avverso sentenza ex art. 308 comma 2, c.p.c.) .sono ambigui.
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