Anna Costagliola
Non sussiste la responsabilità medica se non esiste la prova che il chirurgo, per quanto specialista in materia, abbia avuto la possibilità di conoscere e valutare l’attività svolta dal suo collega nel corso di un’operazione non riuscita. È quanto affermato dalla quarta sezione penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 43988 depositata lo scorso 28 ottobre, che ha annullato l’impugnata sentenza della Corte territoriale in merito ad un caso di responsabilità medica.
Nello specifico, si trattava di un medico chirurgo condannato in cooperazione con un collega per il reato di lesioni personali colpose ai danni di un paziente. La Corte di merito, pur riconoscendo la concorrente responsabilità dell’imputato, che nella fattispecie in oggetto aveva assunto una posizione di garanzia con la partecipazione all’intervento e al post-operatorio gestito da altro medico in qualità di primo operatore, riformava in parte la sentenza di primo grado confermando le disposizioni civili di quella ma dichiarando di non doversi procedere nei confronti dell’imputato per l’estinzione del reato per prescrizione. Nel confermare le disposizioni civili fissate dal primo giudice, la Corte si richiamava alla giurisprudenza di legittimità che in materia di attività medico-chirurgica di equipe richiede ad ogni sanitario di osservare gli obblighi sul medesimo gravanti ma anche di conoscere e valutare l’attività precedente e contestuale svolta da altri operatori, nonché di controllarne la correttezza. Nel caso di specie, l’imputato, in quanto specialista della materia, è stato perciò ritenuto dal giudice dell’appello in grado di valutare la correttezza delle tecniche operatorie adottate, gravando su di lui il conseguente obbligo di attivarsi per evitare conseguenze dannose al paziente.
Per la Corte di Cassazione adita dall’imputato il tema dell’attribuzione del fatto illecito ad uno specifico soggetto in casi come quello portato alla sua attenzione non può esaurirsi nella sola evocazione del principio che regola la ripartizione delle responsabilità nell’ambito dell’attività medica di equipe. Occorre, infatti, in tali casi, rapportare detto principio a quelli valevoli in materia di responsabilità penale, i quali richiedono di verificare, oltre al concreto comportamento (commissivo od omissivo) che, provvisto di valenza concausale, rappresenta il contributo reso dall’imputato al verificarsi dell’illecito, anche se quel contributo gli possa essere concretamente rimproverabile sul piano soggettivo, secondo i criteri elaborati da giurisprudenza e dottrina in tema di colpa.
Tanto premesso, per la Corte di legittimità, il fatto che il chirurgo sia specialista della materia e come tale in grado di valutare la correttezza delle tecniche operatorie adottate è soltanto una delle premesse dell’attribuzione dell’illecito, dovendo pur sempre essere accertato se egli abbia avuto la concreta possibilità di conoscere e valutare l’attività svolta da altro collega, di controllarne la correttezza, di agire ponendo rimedio o facendo in modo che si ponesse rimedio agli errori da quello commessi perché evidenti e quindi da lui rilevabili ed emendabili.
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