Lilla Laperuta
La Corte di Cassazione, sentenza 18 novembre 2013, n. 25797, ha cassato la decisione del Consiglio nazionale forense (CNF), nella quale si è ritenuto che la carica di presidente del consiglio di amministrazione è di per sé incompatibile con l’esercizio della professione di avvocato, omettendo, dì accertare se l’incolpato, nella sua qualità di presidente dell’organo amministrativo, fosse titolare di effettivi poteri di gestione.
L’organo consiliare forense, rileva il supremo collegio, è incorso, infatti, nella falsa applicazione della norma di cui all’art. 3 del r.d. 27 novembre 1933 n. 1578, discostandosi dall’interpretazione costantemente seguita dalle Sezioni Unite.
Invero, si osserva, l’art. 3 citato è stato abrogato per incompatibilità dall’art. 18 della legge 31 dicembre 2012 n. 247, che ha dettato una nuova disciplina dell’incompatibilità della professione di avvocato con l’attività d’impresa. La disposizione prevede ora, relativamente alla fattispecie interessata, che la professione di avvocato è incompatibile con la qualità di presidente di consiglio di amministrazione con poteri individuali di gestione di società capitalistiche.
La norma sopravvenuta non è applicabile alla fattispecie oggetto del giudizio, perché in materia di sanzioni disciplinari a carico degli avvocati, trattandosi di sanzioni amministrative, non vige, salvo diversa espressa previsione di legge, il canone penalistico dell’applicazione retroattiva della norma più favorevole, e al fatto si applica la sanzione vigente nel momento in cui il medesimo è stato commesso.
La nuova disposizione, tuttavia, recepisce sostanzialmente un principio di diritto già enunciato e applicato dalle Sezioni Unite in sede d’interpretazione dell’art. 3, secondo cui il legale il quale ricopra la qualità di presidente del consiglio di amministrazione o di amministratore delegato o unico di una società commerciale si trova in una situazione d’incompatibilità con l’esercizio della professione forense (esercizio del commercio in nome altrui), qualora risulti che tale carica comporti effettivi poteri di gestione o di rappresentanza, e a prescindere da ogni indagine sulla consistenza patrimoniale della società medesima e sulla sua conseguente esposizione a procedure concorsuali.
A tale principio pertanto dovrà uniformarsi il CNF in sede di riesame della causa.
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