Come ormai noto, lo scorso 27 maggio è stata finalmente varata – ed è diventata vigente dal 14 giugno – la Legge n. 69, avente ad oggetto “Disposizioni in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio”.
… nella terribile garrota spagnola ad ogni giro di vite il cerchio di ferro si stringeva sempre più alla gola del condannato fino a causarne la morte per strangolamento ….
Trattandosi di provvedimento legislativo che ha suscitato un certo clamore, ma anche parecchie domande di natura squisitamente giuridica, abbiamo deciso di chiedere un commento di tipo tecnico a Franzina Bilardo – coautore, insieme a Moreno Prosperi, del libro “Piano nazionale e piani decentrati anticorruzione” e dei successivi corsi di formazione a distanza – nonché specialista, da anni, di tutta la “materia anticorruzione”.
Cosa ne pensa della nuova Legge Anticorruzione, è soddisfatta?
Sono, ovviamente, felice per tutto ciò che possa “portare acqua al mulino” della legalità e della strategia anticorruzione, ma – ed è un ma tutt’altro che carico di censura spicciola – non posso non segnalare come purtroppo, ancora una volta, la poca chiarezza dei mezzi di informazione di massa, e soprattutto dei nostri politici, sembra avere avuto la meglio su una corretta ed esaustiva comprensione della materia.
Mi riferisco al fatto che sia gli uni che gli altri, in questi ultimi mesi, hanno continuato a diramare la notizia che “finalmente” stava per essere approvata la Legge Anticorruzione. Addirittura, molti parlamentari continuavano a lamentarsi del fatto che questa importante Legge Anticorruzione stava rischiando di non essere votata, e quindi l’Italia sarebbe rimasta in attesa di una risposta anticorruzione.
Bene: il piccolo (ma in realtà macroscopico) particolare è che, in realtà, la presunta Legge Anticorruzione di cui si parla – v. la Legge n. 69 varata lo scorso 27 maggio ed entrata in vigore ieri, 14 giugno – è solo uno, sia pure importante, dei numerosi tasselli di dettaglio della vera Riforma Anticorruzione, avviata ben tre anni orsono dalla Legge 190/2012 (la cd. Severino per intenderci).
Può chiarire meglio?
Certamente. La Legge Anticorruzione per antonomasia è la n. 190 del 6 novembre 2012. E’ appunto questa la legge fondamentale che ha iniziato una importante opera di ristrutturazione (mi correggo: di “disinfestazione anticorruzione”) dell’intero sistema delle amministrazioni pubbliche e delle società partecipate. Questa ristrutturazione è, tuttora, in corso di realizzazione essendo stato intrapreso un percorso di politica criminale basato su più livelli, tutti razionalmente convergenti verso l’obiettivo unitario di una ri-moralizzazione pubblica attraverso una filosofia – ed una correlativa azione attuativa – di prevenzione speciale di tutti i Delitti contro la Pubblica Amministrazione. Attenzione: non solo dei delitti di corruzione in senso stretto, ma anche dell’abuso d’ufficio, del peculato, della concussione, della corruzione tra privati, insomma di tutte quelle fattispecie di reato che David Sutherland, più di mezzo secolo fa, aveva felicemente ribattezzato white collar crime.
I livelli attraverso i quali si è mossa la Legge 190 hanno seguito due matrici fondamentali:
I. La prima matrice è stata l’avvio di una studiata opera di razionalizzazione e riorganizzazione amministrativa – il cui apripista è stato rappresentato dal Piano Nazionale Anticorruzione – attraverso la quale è stato imposto a tutte le pubbliche amministrazione, agli enti pubblici e alle società partecipate, di implementare i “piani della prevenzione della corruzione”; ossia, quei “sistemi di gestione del rischio da reato” che dovrebbero muoversi in linea con la logica aziendalista, e dunque basarsi sull’adozione di un certo tipo di criteri e di principi nella conduzione di una azione amministrativa legalmente orientata ed eticamente sana (v., tra gli strumenti in tal senso: una corretta mappatura dei reati concretamente consumabili all’interno di ogni singola divisione o area funzionale, la gestione del rischio-reato attraverso l’adozione di misure preventive ad hoc, la programmazione di una completa tracciabilità delle azioni, dei processi e dei procedimenti, la predisposizione di una rete di controlli analitici e sintetici, etc. etc.). E’ una strategia di politica criminale all’avanguardia, che ci è stata indicata anche dalla comunità internazionale e che dovrebbe portare al risultato di schivare i reati prima che gli stessi vengano commessi. E’ un po’ quello che si è fatto con i modelli di organizzazione, gestione e controllo, introdotti dal Decreto Legislativo 231/2001 per le società private, o con i sistemi di prevenzione per la sicurezza sui luoghi di lavoro richiesti dal D.Lgs. 81/2008.
II. La seconda matrice è stata rappresentata dall’emanazione di un ampio ventaglio di deleghe legislative,volte a promulgare atti normativi a carattere strumentale (o, come si dice, di “lavoro ai fianchi”) rispetto alla succitata politica di prevenzione speciale. Frutto di queste specifiche deleghe sono stati alcuni importantissimi provvedimenti legislativi: il D.Lgs. 235/2012 sulla incandidabilità; il D.Lgs. 33/2013 sulla trasparenza; il D.Lgs. 39/2013 sul sistema delle inconferibilità e incompatibilità; il D.P.R. 62/2013 sul Codice di Comportamento; il D.P.C.M. del 18 aprile 2013 sulle white list (v. quel meccanismo di preselezione delle aziende “pulite” affidato alla Prefetture).
Ma non basta. Questo complesso coacervo di norme, principi e modalità “anti – white collar crime”, è stato – nel tempo e senza soluzione di continuità – ulteriormente affinato e modificato: ad esempio, attraverso il D.L. 90/2014 convertito in Legge 114/2014, che ha soppresso l’Autorità di Vigilanza Contratti e Appalti, ha estromesso il Dipartimento della Funzione Pubblica dal settore anticorruzione ed ha affidato l’intera materia all’Autorità Nazionale Anticorruzione, ormai quotidianamente in prima linea nella sua lotta alla corruzione, da sola ed in combinata strategica con le Prefetture. Ricordiamo, a quest’ultimo proposito, che è stato fortemente propulsato e rinforzato proprio il rapporto con le Prefetture, soprattutto dopo la firma dell’importante Protocollo d’Intesa tra l’Autorità Nazionale Anticorruzione e il Ministero dell’Interno del 15 luglio 2014 e la stipula delle allegate Prime Linee Guida, cui sono seguite le Seconde Linee Guida nello scorso 27 gennaio.
Senza parlare, poi, della indefessa opera di definizione e ridefinizione della complessa normativa sugli appalti….
Ecco, queste sono solo alcune – le principali, le più evidenti, le più note – tra le linee direttrici di un Sistema Anticorruzione che, ribadisco, non è affatto nato ieri, ma nell’anno 2012.
Ma scusi, ma allora la Legge entrata in vigore ieri – la 69/2015 – cosa ha cambiato?
La Legge 69/2015 – che risale ad un Disegno di Legge presentato dal Sen. Grasso e da un gruppo di altri senatori il 15 marzo del 2013 (ossia nell’intercapedine temporale tra il Decreto Legislativo sulla trasparenza del 14 marzo 2013 e quello sulla inconferibilità/incompatibilità dell’8 aprile 2013) – ha certamente introdotto delle novità di assoluto rilievo ed un importante pacchetto di nuove modifiche al sistema anticorruzione:
A) Una stretta repressiva ed un irrigidimento sanzionatorio dei più gravi delitti contro la P.A. (v. il peculato e tutte le diverse fattispecie corruttive);
B) L’ estensione del raggio di operatività del reato di concussione (art. 317 c.p.), riportandolo alla sua versione originaria ante-Severino, che saggiamente prevedeva la punibilità non solo dei Pubblici Ufficiali ma anche degli Incaricati di Pubblico Servizio;
C) La modifica in pejus delle pene accessorie in caso di condanna per reati contro la P.A, e cioè: aumento della durata massima (cinque anni) dell’ “incapacità a contrattare con la pubblica amministrazione”; abbassamento a due anni della soglia di pena idonea a comportare l’estinzione di un rapporto di pubblico impiego; aumento della durata massima (tre anni) della pena accessoria della sospensione dal servizio;
D) L’introduzione di un meccanismo premiale per chi collabora con la Giustizia, attraverso una modifica per integrazione dell’art. 323-bis c.p. e l’inserimento di una circostanza attenuante speciale (che comporta una diminuzione di pena sino a due terzi) per chi – in un processo per un reato contro la P.A. – «si sia efficacemente adoperato per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l’individuazione degli altri responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite»;
E) L’introduzione di due specifici meccanismi di sbarramento processuale a carattere deterrente, e cioè: – il blocco condizionato del beneficio della sospensione condizionale della pena al pagamento di una somma equivalente al profitto del reato ovvero all’ammontare di quanto indebitamente percepito dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di un pubblico servizio; il blocco condizionato del “patteggiamento” (art. 444 c.p.p.) alla restituzione integrale del prezzo o del profitto del reato;
F) L’introduzione del nuovo istituto della “riparazione economica” (per certi versi analogo alla demolizione del manufatto abusivo nei reati edilizi), attraverso il quale (sempre in caso di condanna per un reato contro la P.A.) viene previsto l’obbligatorio ordine di pagamento di una somma pari all’ammontare di quanto indebitamente ricevuto a titolo di riparazione pecuniaria, in favore dell’amministrazione o dell’amministrazione della giustizia;
G) L’introduzione di meccanismi di informazione/comunicazione tra le Autorità Istituzionali che si occupano di anticorruzione e di appalti, v. in particolare: – di quella del P.M. all’Autorità Nazionale Anticorruzione, quando esercita l’azione penale per uno dei reati contro la P.A.; – di quella, semestrale, delle stazioni appaltanti all’Autorità Nazionale Anticorruzione, su tutte le notizie che riguardano gli appalti in corso; – di quella del Giudice Amministrativo all’Autorità Nazionale Anticorruzione laddove, in occasione di controversie relative a procedure di affidamento di pubblici lavori, di servizi e forniture (o di rinnovo tacito dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture) dovessero emergere, anche in esito a una sommaria valutazione, condotte o atti contrastanti con le regole della trasparenza.
Sono modifiche che, dal suo punto di vista, sono risolutive?
Quelle sugli sbarramenti processuali, sull’istituto della riparazione economica, sulla riduzione di pena per i “collaboratori” e sulla estensione del reato di concussione, sono misure decisamente intelligente e proficue. Mi convincono meno gli aumenti sanzionatori. Personalmente, non ho mai creduto che i reati corruttivi (peraltro già puniti con sanzioni piuttosto severe essendo figli di un codice penale emanato in epoca fascista, dunque a visione rigidamente statalista) possano combattersi con un anno di reclusione edittale in più …
I corrotti e i corruttori sono geneticamente portatori di arroganza e di sicumera, e quindi sono sempre certi di poterla fare franca, qualunque sia la pena prevista per legge.
E le modifiche sul falso in bilancio?
Le modifiche sul reato di falso in bilancio sono state a dir poco “provvidenziali”. Quella delle false comunicazione sociali punite con un buffetto sulla guancia era ormai diventata una vergogna inaudita. Si trattava di una piaga aperta dal 2002, da quando cioè l’assurda riforma societaria, di cui al Decreto Legislativo 11.4.2002 n. 61, aveva sostanzialmente depenalizzato tutti i reati societari (tra cui il falso in bilancio, punito in passato come “delitto” e con una sanzione sino a cinque anni), trasformandoli in mere contravvenzioni procedibili solo a querela di parte. Ciò, ad esempio, comportava che, anche nel caso in cui le malefatte societarie fossero state scoperte ad opera di terzi estranei qualificati (v. ispettori esterni, Banca d’Italia, Guardia di Finanza, Polizia Giudiziaria), il reato rimaneva comunque non procedibile ove il socio non avesse presentato una sua personale querela. Pertanto, se il socio rimaneva ignaro, o era stato eventualmente pagato per non presentare alcunché, il processo penale diventava improcedibile. Un vero aborto giuridico, che la Legge 69 ha fortunatamente espulso: oggi, il reato di false comunicazioni sociale è ridiventato delitto, procedibile d’ufficio, punito con una sanzione da uno a cinque anni se si tratta di società non quotate (art. 2621 c.c.) e da tre a otto anni se le società incriminate sono quotate (art. 2622, che peraltro ha equiparato a quest’ultime le società che «fanno appello al pubblico risparmio o che comunque lo gestiscono»). Sono state anche, per la verità, introdotte delle forme di falso in bilancio “attenuato” per fatti di lieve entità (punibili a querela di parte), e delle ipotesi di non punibilità per particolare tenuità del fatto. Si tratta, però, di integrazioni di giustizia sostanziale che personalmente condivido e che, peraltro, rappresentano solo un logico corollario al nuovo art. 131 bis del codice penale (esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto) inserito dal D.Lgs. 16 marzo 2015, n. 28.
Il problema semmai – e ritorniamo al discorso sulla campagna di informazione assolutamente inesatta e fuorviante – è che la materia del falso in bilancio non ha nulla a che vedere con l’anticorruzione. Anzi – ed a prescindere dalla collocazione di questi reati nel codice civile e non in quello penale – direi proprio che si tratta di mondi assolutamente lontani e separati: quello della corruzione, prevalentemente ricadente nell’alveo del “pubblico”; quello dei reati societari e delle false comunicazioni sociali, tipico delle società private.
Il rischio, insomma, è di mischiare “capre e cavoli”. Va benissimo che un provvedimento normativo colga l’occasione per legiferare, nella stessa occasione, su due settori distinti e diversi (ormai lo si fa normalmente e, anzi, sembra proprio che il Legislatore ci abbia preso gusto); va, tuttavia, meno bene che la gente, leggendo o ascoltando la televisione, sia portata – ed anzi accompagnata per mano – a confondere quelle stesse capre con quegli stessi cavoli, ritenendo che facciano parte della stessa famiglia giuridica.
E l’associazione a delinquere di stampo mafioso?
Esattamente il discorso delle capre e dei cavoli… Stavolta, parliamo di ravanelli…
Nella Legge 69 è stato inserito un aggravio di pena per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, ma ovviamente non c’entra assolutamente nulla con la “legge anticorruzione”.
E la modifica del Decreto Legislativo 231/2001?
La modifica dell’art. 25 ter del D.Lgs. 231/2001 è stata del tutto pertinente, doverosa e direttamente conseguenziale al mutamento del reato di falso in bilancio. Non si è fatto altro, stavolta, che adeguare il sistema sanzionatorio della 231 alla modifica dei reati presupposti di cui agli artt. 2621 e 2622 c.c., aggravandone le pene pecuniarie “per quote”.
Al di là della legge 69 entrata in vigore ieri, c’è qualche altro provvedimento normativo che desidererebbe fosse emanato?
Dire che ci sarebbe l’imbarazzo della scelta è riduttivo. Uno di quelli su cui abbiamo avuto modo di parlare parecchio con la mia metà professionale Moreno Prosperi è quello degli eco-reati. Per incidens, io e Moreno Prosperi, oltre alla materia dell’anticorruzione, studiamo e lavoriamo insieme ai Modelli di Organizzazione, Gestione e Controllo ex D.Lgs. 231/2001.
Ebbene, proprio l’altro giorno, mentre stavamo aggiornando un Modello 231 in base ai nuovi reati ambientali introdotti dalla Legge 68/2015, ci siamo chiesti come sia stato possibile che, a fronte di una legge importantissima, che finalmente, dopo anni ed anni di attesa, ha criminalizzato i reati ambientali – facendoli, soprattutto, diventare fattispecie aperte, dunque adattabili alle più fantasiose forme di inquinamento regalateci dai nostri onnipresenti “amici dell’ambiente” – il Legislatore abbia dimenticato di inserire, nei nuovi reati presupposti dell’art. 25 ter del D.Lgs. 231/2001, il reato di “omessa bonifica” di cui al neo art. 452 terdecies c.p..
Per essere chiari: se una multinazionale ha provocato un grave danno ambientale, per il quale è magari necessaria una costosa operazione di bonifica (legittimamente pretendibile dalla stessa multinazionale), in base a questa “incomprensibile” amnesia legislativa la società rimane assolutamente indenne rispetto alle gravi (ed oggettivamente deterrenti) sanzioni e misure interdittive dello stesso D.Lgs. 231/2001.
Si tratta di un buco talmente incomprensibile che io e Moreno Prosperi ci siamo guardati in faccia e ci siamo detti: ma siamo proprio sicuri che sia stata una dimenticanza …?????
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