Fumatori tollerati in ateneo, studente asmatico abbandona Giurisprudenza: niente risarcimento.
È quanto ha stabilito la Corte di Cassazione, sez. I Civile, con la sentenza n. 7967 depositata il 20 aprile 2016.
La vicenda
Il tribunale di Trieste rigettava la domanda con la quale uno studente aveva chiesto la condanna dell’Università degli Studi di Trieste alla restituzione delle somme da lui versate a titolo di tassa di iscrizione per tre anni accademici ed il risarcimento dei danni.
La domanda introdotta dall’attore era fondata sull’impossibilità di frequentare i locali universitari, essendo egli affetto da asma bronchiale cronica ed allergica, patologia che gli impediva di entrare in contatto con ambienti nei quali aveva spesso riscontrato una considerevole presenza di fumo, a causa della prassi degli studenti di fare diffusamente uso del tabacco, ignorando i divieti vigenti. Tale circostanza, inutilmente segnalata all’Ateneo, aveva costretto il ricorrente prima a rinunciare a frequentare le lezioni universitarie e, successivamente, ad interrompere il proprio corso di studi.
La sentenza di rigetto del tribunale, motivata in ragione del mancato raggiungimento della prova che, nel periodo indicato, all’interno dei locali il livello di inquinamento fosse realmente incompatibile con lo stato di salute dell’attore, veniva confermata dalla Corte d’Appello.
Quest’ultima, in particolare, rilevava non solo la mancanza di un idoneo riscontro probatorio in ordine alla effettiva consistenza e diffusione del lamentato fenomeno, ma anche l’assenza di dimostrazione del nesso di causalità tra l’inquinamento ambientale e l’asserita impossibilità di frequentare le lezioni e dì partecipare alle normali attività didattiche.
Avverso tale sentenza lo studente proponeva ricorso per cassazione.
La decisione
Gli Ermellini non hanno ritenuto meritevoli di tutela le pretese avanzate dall’ex studente nei confronti dell’Università.
Ciò perché, come già evidenziato in Appello, non è certificato il nesso tra «la condotta omissiva dell’ateneo» – ossia «il mancato svolgimento delle attività di controllo riguardo al rispetto del ‘divieto di fumo’» – e «l’impossibilità» di «frequentare i locali e partecipare alle attività didattiche e di studio».
In particolare, non è stato provato che «la pretesa inagibilità dei locali abbia interessato le aule di lezione, la biblioteca generale e quelle di Dipartimento e di Istituto», cioè «quei luoghi in cui si svolgono le attività didattiche, di ricerca e di studio che l’amministrazione universitaria è tenuta a garantire» agli studenti.
Neanche le «deposizioni testimoniali» utilizzate dal difensore hanno modificato la ricostruzione fattuale.
Invero, da esse si ricava solo che «in talune aree interne della Facoltà di Giurisprudenza vi era una frequente violazione dei divieti di fumo vigenti», ma non se ne può certo dedurre riferimenti chiari all’«effettivo spessore» e alla «concreta nocività» del problema «ambientale» lamentato dall’ex studente.
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