Il delitto di atti persecutori è reato abituale che differisce dai reati di molestie e di minacce, che pure ne possono rappresentare un elemento costitutivo, per la produzione di un elemento di “danno”, consistente nell’alterare le abitudini di vita o in un perdurante stato di ansia.
Lo ha affermato la Corte di Cassazione, sez. V Penale, con la sentenza n. 21407 depositata il 23 maggio 2016.
Il caso.
Il Tribunale di Catania confermava l’ordinanza applicativa della misura del divieto di avvicinamento alle persone offese, in relazione al reato di cui all’art. 612-bis c.p..
Dopo la separazione dei coniugi, alle persone offese venivano affidati due dei quattro figli minori della coppia e l’indagato, da mesi, li ingiuriava e denigrava anche attraverso il social network Facebook, seguendone gli spostamenti e limitando la loro vita di relazione.
Avverso la suddetta ordinanza, l’indagato ha proposto ricorso per cassazione lamentando, tra l’altro, che i messaggi intimidatori risulterebbero provati dalle schermate dei profili Facebook contenenti i messaggi e che gli stessi potrebbero integrare il reato di diffamazione ma non quello di stalking.
La decisione.
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile.
Infatti, il grave quadro indiziario nei confronti dell’imputato è evincibile, dalle plurime acquisizioni investigative e, segnatamente, anche dalle schermate di Facebook.
Invero, il delitto di atti persecutori è reato abituale che differisce dai reati di molestie e di minacce, che pure ne possono rappresentare un elemento costitutivo, per la produzione di un elemento di “danno”, consistente nell’alterare le abitudini di vita o in un perdurante stato di ansia.
La caratteristica fondamentale dell’incriminazione in oggetto è poi la reiterazione delle condotte che rappresenta il predicato dell’abitualità del reato, per la cui integrazione la giurisprudenza ha ritenuto sufficienti anche due sole condotte.
Quanto al profilo soggettivo, lo stalking è un reato abituale di evento assistito dal dolo generico, il cui contenuto richiede la volontà di porre in essere più condotte di minaccia e molestia, ma non postula la preordinazione di tali condotte, potendo queste ultime, invece, essere in tutto o in parte anche meramente casuali e realizzate qualora se ne presenti l’occasione.
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