Ci si vuole soffermare sulla recente sentenza del Tribunale Amministrativo per l?Abruzzo ? sezione di Pescara – che con sentenza in forma semplificata n.608/05 depositata in data 10.11.2005 ha accolto un ricorso proposto dalla societ? Ecologica Pescarese S.p.A. (gi? Consorzio intercomunale per lo smaltimento dei rifiuti con sede a Manoppello) avverso una deliberazione del Comune di Salle con la quale il Consiglio Comunale dell?Ente aveva deciso l?affidamento diretto del servizio di igiene ambientale in favore della societ? Ambiente S.p.A. (gi? Consorzio intercomunale per lo smaltimento dei rifiuti solidi dell?area pescarese con sede in Spoltore).
Come si evince dalle motivazioni della richiamata sentenza, l?intestato tribunale ha ritenuto che nella circostanza oggetto di ricorso l?affidamento c.d. ?in house? in favore della societ? in questione non fosse possibile in quanto il Comune di Salle affidante ?allo stato? non partecipa alla compagine sociale. Ragionando con il predetto Giudice amministrativo, sono peraltro da ritenere legittimi tutti gli affidamenti diretti eventualmente effettuati dai comuni soci, e ci? indipendentemente dalla quota di partecipazione del singolo comune al capitale sociale.
Tale ultima affermazione viene supportata dal richiamo, fattone dallo stesso estensore della sentenza in commento, della recente sentenza del T.A.R. Friuli Venezia Giulia del 15 luglio 2005 n.634. ?
La sentenza che si commenta, contiene interessanti considerazioni in ordine alla fattispecie della gestione dei servizi pubblici locali secondo il modello c.d. in house.
Si tratta di un modello trasversale (che interessa cio? sia appalti sia servizi pubblici) al quale, negli ultimi anni, si ? sovente riferita
Il legislatore statale ha recepito l?insegnamento del giudice comunitario tra l?altro attraverso l?art. 113, comma 5?, lett. c) del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, il quale annovera tra le forme di gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica anche quella del ?conferimento della titolarit? del servizio: ? c) a societ? a capitale interamente pubblico a condizione che l’ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla societ? un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la societ? realizzi la parte pi? importante della propria attivit? con l’ente o gli enti pubblici che la controllano? (2).
Intorno al modello organizzativo rappresentato dalla gestione in house di attivit? da parte dell?Amministrazione, si ? da tempo aperto un ampio dibattito. Cos? ad esempio si ? dubitato che tale modello organizzativo sia praticabile quando il rapporto intercorre tra l?Amministrazione e un organismo avente forma societaria (3); ovvero taluno ha ritenuto che si tratti di modello eccezionale, il quale ? proprio per questo carattere ? non potrebbe essere considerato di per s? alternativo rispetto al ricorso al mercato contemplato dal legislatore con riferimento alle altre forme di gestione dei servizi pubblici locali (per l?individuazione del gestore dell?attivit? o del socio privato nelle societ? a capitale misto: rispettivamente art. 113, comma 5?, lett. b nonch? lett. c del d.lgs. n. 267 del 2000) (4).
Per contribuire al dibattito si pu? osservare che il diritto comunitario suole prescindere dalla forma, per concentrare l?attenzione invece sulla sostanza delle cose: si vuole dire che per l?ordinamento comunitario ? essenziale il rispetto delle norme giuridiche, mentre esso lascia agli Stati membri e agli operatori l?individuazione delle modalit? attraverso le quali assicurare il rispetto della norma giuridica.
Cos? il diritto comunitario esige che venga rigorosamente rispettato il diritto degli appalti e delle concessioni ogni volta in cui un?Amministrazione ricorre al mercato per individuare il soggetto che deve rendere un servizio all?Amministrazione stessa ovvero alla cittadinanza di riferimento.
Viceversa, tale diritto (degli appalti e delle concessioni) non viene in questione ogni volta in cui l?Amministrazione provvede all?esecuzione dell?attivit? con mezzi propri e cio? tramite ?una struttura commerciale che di fatto ? un?emanazione dello stesso soggetto-amministrazione? (5). Infatti, l?Amministrazione ?ha la possibilit? di adempiere ai compiti di interesse pubblico ad essa incombenti mediante propri strumenti, amministrativi, tecnici e di altro tipo, senza essere obbligata a far ricorso ad entit? esterne non appartenenti ai propri servizi? (6). Si tratta appunto dell?istituto della produzione in house dell?attivit? da parte del settore pubblico e ?in tal caso, non si pu? parlare di contratto a titolo oneroso concluso con un?entit? giuridicamente distinta dall?amministrazione aggiudicatrice? (7); e cio? non si pu? parlare n? di appalto n? di concessione.
Orbene,
Questa pronuncia conferma come l?approccio che deve guidare l?interprete nell?analisi della legittimit? o meno dei rapporti messi in campo in applicazione del diritto comunitario ? unicamente quello della piena rispondenza della situazione concreta alle norme di riferimento, a prescindere dalle modalit? (forme) attraverso le quali viene data attuazione al precetto giuridico (9). Allora, a proposito del secondo dubbio interpretativo cui si ? fatto riferimento (quello sollevato con l?ordinanza del TAR Puglia), ? vero che la giurisprudenza della Corte di giustizia CE ha rilevato come l?istituto dell?in house providing rappresenta un?eccezione all?applicazione delle direttive in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici (10). Tuttavia, il giudice europeo non hai mai deciso alcuna questione basandosi su tale affermazione. L?eccezionalit? cui si riferisce
La sentenza del T.A.R. Friuli Venezia Giulia, richiamata dalla sentenza del T.A.R. Abruzzo ? Sezione di Pescara, f? corretta applicazione dei principi sopra ricordati: infatti, il giudice verifica la sussistenza dei requisiti propri dell?istituto in house, scendendo ad accertare se gli strumenti messi in campo nel caso concreto sono in effetti adeguati rispetto al precetto dell?ordinamento comunitario.
Come ? noto, perch? ricorra la fattispecie in house devono contemporaneamente sussistere i seguenti tre requisiti: i) il capitale interamente pubblico della societ?; ii) l?esercizio, da parte degli enti locali soci, di un controllo sulla societ? analogo a quello esercitato sui propri servizi; iii) la realizzazione, da parte della societ?, della quota pi? importante della propria attivit? con l?ente o gli enti pubblici che la controllano.
Dall?esposizione in fatto della sentenza in commento risulta che il primo e il terzo requisito non erano stati oggetto di contestazione da parte della ricorrente e pertanto in relazione ad essi il giudice non si dilunga; mentre la decisione svolge un approfondito esame circa la sussistenza del secondo requisito. Questo rende particolarmente interessante la decisione del TAR: infatti, sul piano teorico l?aspetto pi? problematico della fattispecie in house ? proprio l?individuazione degli strumenti attraverso cui gli enti pubblici soci possono garantirsi il controllo sulla societ? analogo a quello esercitato sui propri uffici (anche considerato che il diritto comunitario non ha mai proposto soluzioni al riguardo). Il caso di specie ? poi vieppi? significativo perch? affronta la questione della sussistenza del rapporto in house in ipotesi di societ? partecipata da una pluralit? di enti locali, con la conseguenza che il capitale risulta frazionato senza che alcuno di essi possieda la maggioranza assoluta delle azioni.
Il TAR osserva anzitutto come la ridotta partecipazione degli enti locali al capitale della societ? non ? di per s? decisiva al fine della realizzazione del requisito sopra ricordato al punto ii) e cio? del controllo degli enti locali sulla societ? analogo a quello esercitato sui propri servizi.
A questa conclusione il giudice perviene sulla base del puntuale esame di norme di diritto interno: l?art. 113, comma 4?, lett. a) nonch? 5?, lett. c) del d.lgs. n. 267 del 2000 stabilisce infatti che l?esercizio del controllo sulla societ?, analogo a quello esercitato sui propri uffici, deve venire esercitato dall?ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale. Dunque, il legislatore statale ammette che le societ? in house possono essere partecipate da pi? enti locali; sicch? il requisito di cui si tratta non ? ? per il diritto interno ? incompatibile, ma anzi del tutto coerente, con la presenza di pi? enti locali (con quote necessariamente frazionate) nel capitale della societ?.
Peraltro, occorre sottolineare che la conclusione ? esatta anche sotto il profilo del diritto comunitario: infatti, le sopra elencate norme di legge statale riproducono testualmente le ricordate affermazioni delle decisioni della Corte di giustizia.
Inoltre,
Proseguendo nelle sue argomentazioni, la sentenza in commento sottolinea invece che, a prescindere dalla quota di capitale posseduta da ciascun socio, per garantire che la fattispecie sia rispettosa del diritto comunitario (e cio? effettivamente rispondente al modello in house) ? indispensabile che gli enti locali si siano assicurati ?un controllo in comune? sulla societ?, analogo a quello esercitato sui propri servizi. Quello che conta ? cio? che la societ? sia davvero espressione della collaborazione intercomunale, vale a dire essa sia il soggetto strumentale organizzato dagli enti locali soci per lo svolgimento in maniera unitaria e coordinata di determinati servizi pubblici.
In breve, come ha osservato
Per concludere sul punto si precisa peraltro che la sussistenza del controllo comune da parte degli enti locali sulla societ? (organismo in house) dovr? essere verificato tenendo adeguatamente conto dell?aspetto sottolineato sia dal Consiglio di Stato (v. ad esempio le decisioni ricordate in chiusura del paragrafo 5.) sia dalla Corte di giustizia CE (v. il punto 50 della sentenza 11 gennaio
Dunque, in ipotesi di societ? con pi? enti locali soci, ? proprio il profilo della collaborazione intercomunale l?aspetto che vale a differenziare la societ? dagli ordinari operatori commerciali presenti sul mercato e perci? l?elemento qualificante della fattispecie in house.
Da qui la necessit? di una convenzione intercomunale che ? come si evidenzia nella sentenza in commento ? permetta e insieme regolamenti l?esercizio del controllo congiunto (comune) sulla societ?, analogo a quello esercitato dagli enti locali sui propri servizi.
Naturalmente, come conferma anche il TAR Friuli ? Venezia Giulia, assieme alla convenzione di diritto pubblico non potrebbero mancare apposite disposizioni nello statuto della societ?: infatti, la convenzione vincola i soci nei reciproci rapporti, mentre lo statuto obbliga altres? gli organi sociali. Sicch? anche le disposizioni dello statuto societario sono indispensabili per rimarcare il carattere strumentale della societ? rispetto ai soci enti locali.
In considerazione di tutto quanto sopra, la societ? in house pluricomunale appare una sorta di organizzazione comune creata dagli enti locali per lo svolgimento di fasi di attivit? (erogazione di servizi pubblici) rientranti nelle rispettive competenze.
A ben vedere si tratta – nella sostanza – di un soggetto che presenta caratteri per certi aspetti paragonabili ad una organizzazione consortile di coordinamento ai sensi dell?art. 2602 e seguenti del Codice civile: gli enti locali, invece di ricercare all?esterno (sul mercato) l?erogatore di prestazioni ovvero di provvedere essi stessi singolarmente a tale erogazione attraverso le proprie strutture tradizionali, costituiscono assieme un apparato specializzato dedicato, nel senso che espleta le fasi di attivit? indicate dagli enti locali medesimi (13).
Questa ricostruzione conferma che, come si ? anticipato, requisito ineliminabile di un rapporto in house ? altres? che la societ? svolga la parte pi? importante dell?attivit? con gli enti che la controllano: se la societ? ? l?apparato strumentale degli enti locali associati, allora la conseguenza ? che essa deve operare (e quindi vivere) pressoch? integralmente in base ad incarichi di questi ultimi. Naturalmente, non ? impedito agli enti locali intraprendere comuni attivit? imprenditoriali, avvalendosi della capacit? di diritto privato propria anche delle Amministrazioni pubbliche (14); non ? impedito cio? agli enti locali di costituire societ? destinate ad operare liberalmente sul mercato. Ma si tratterebbe di un?iniziativa di tipo ontologicamente diverso rispetto all?organizzazione in house, che ? lo si ribadisce ? ? per natura destinata ad esaurire la propria funzione al servizio degli enti soci (e delle collettivit? di riferimento).
In definitiva, quando gli enti soci indirizzano assieme la vita della societ?, assieme dettano le condizioni dell?attivit? della societ? stessa ed infine quando l?attivit? della societ? si svolge pressoch? integralmente con gli enti soci, allora ? ravvisabile nel caso concreto il rapporto in house la cui definizione astratta risulta formulata dall?ordinamento comunitario attraverso le decisioni della Corte.
Da ultimo, si sottolinea come proprio il fatto che, in caso di societ? pluricomunale, elemento caratterizzante del modello in house ? che la societ? medesima sia effettivamente espressione della collaborazione degli enti locali, conferma l?esattezza di un?ulteriore conclusione cui perviene la sentenza in commento. E cio? che rientra nella competenza del Consiglio dell?ente approvare tutti gli atti necessari all?affidamento del servizio pubblico.
Infatti, in base all?art. 42, comma 2? del d.lgs. n. 267 del 2000 rientra nelle funzioni del Consiglio deliberare circa ?organizzazione dei pubblici servizi, ? partecipazione dell’ente locale a societ? di capitali, affidamento di attivit? o servizi mediante convenzione? (lett. e) ed altres? in ordine a convenzioni tra i comuni? (lett. c).
Orbene, nel caso della creazione di societ? in house pluricomunale, l?organizzazione del servizio pubblico si estende necessariamente ad una pluralit? di aspetti: definizione delle attivit? da gestire tramite l?organismo comune; determinazione dei rapporti con gli altri enti locali; previsione delle modalit? del controllo congiunto sulla societ?; condizioni e modalit? di svolgimento del servizio pubblico da parte della societ?.
Si tratta di profili che devono venire definiti in maniera unitaria perch? tutti tra loro connessi e determinanti ai fini dell?organizzazione del servizio pubblico.
Non potrebbe dunque essere condivisa una soluzione interpretativa che volesse frammentare le competenze al riguardo tra diversi organi dell?ente locale (Consiglio, Giunta Dirigenti). Una simile soluzione sarebbe in contrasto, oltre che con le sopra richiamate disposizioni dell?art. 42, comma 2? del d.lgs. n. 267 del 2000, anche con i principi di economicit? ed efficacia dell?azione amministrativa. Ed inoltre con il principio di trasparenza: appare infatti doveroso che ogni aspetto delle condizioni dell?organizzazione dei servizi pubblici venga definito, all?esito di un dibattito quanto pi? democratico e pubblico, in seno all?unico organo dell?ente locale (il Consiglio) espressione diretta delle popolazioni cui tali servizi sono immediatamente destinati.
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NOTE:
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(1) V. sentenza 18 novembre 1999, in Causa C-107/98, anche in Riv. Ital. Dir. Pubbl. Comunitario, 2000, p. 1393; ordinanza 14 novembre
(2) In argomento per tutti G. CAIA, Autonomia territoriale e concorrenza nella nuova disciplina dei servizi pubblici locali, in http://www.giustizia-amministrativa.it.
(3) Cons. Stato, sez. V, ord. 22 aprile 2004, n. 2316, anche in Foro amm.- CdS, 2004, p. 1134.
(4) Cos? TAR Puglia, Bari, sez. III, 8 settembre 2004, n. 885, anche in Foro amm.-TAR, 2004, p. 2648.
(5) L?espressione ? di TAR Toscana, sez. II, 28 luglio 2004, n. 2833, anche in http://www.giustizia-amministrativa.it.
(6) Cos? Corte di giustizia CE, sentenza 11 gennaio
(7) Ancora Corte di giustizia CE, sentenza 11 gennaio
(8) In tema A. Clarizia, Appalti in house: il Consiglio di Stato tenta di forzare
(9) In questo senso v. anche TAR Campania, Napoli, sez. I, 30 marzo 2005, n. 2784, anche in Foro amm.-TAR, p. 794.
(10) V. ancora la sentenza 8 maggio
(11) Ad esempio Cons. Stato, sez. V, 6 maggio 2002, n. 2418, anche in Foro amm.-CdS, 2002, p. 1231; id., 30 aprile 2002, n.
(12) Cos? ai p.ti 70 e 71 delle conclusioni presentate il 1? marzo 2005 dall?Avvocato Generale presso la Corte di giustizia, Juliane Kokott (in http://www.europa.eu.int.), nell?ambito della questione pregiudiziale sollevata dal Consiglio di Stato, sez. V, con la ricordata ordinanza 22 aprile 2004, n.
(13) In dottrina, G.F. Campobasso, Diritto commerciale. 1. Diritto dell?impresa, Torino, 2004, p. 270, osserva che ?funzione tipica di un consorzio (con attivit? esterna) ? quella di produrre beni o servizi necessari alle imprese consorziate ed almeno tendezialmente destinati ad essere assorbiti dalle stesse?. Nel caso delle societ? in house, i beni o servizi da esse prodotti vengono ?assorbiti? dagli enti locali e dalle collettivit? di cui essi sono esponenziali.
(14) V. ora l?art. 1, comma 1 bis della legge 7 agosto 1990, n. 241 come introdotto dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15: ?La pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente?.
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