Regole di ingaggio delle missioni militari all?estero e profili problematici in ordine all?applicabilit? delle cause di non punibilit? del codice penale comune e militare.
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La partecipazione delle nostre FF.AA. alle operazioni di mantenimento della pace e della sicurezza in territori stranieri, a seguito del mutato contesto globale strategico militare, pone rilevanti interrogativi in ordine alla legislazione applicabile in scenari sostanzialmente bellici. In particolare, quale profilo suscettibile di approfondimento, per le sue evidente ricadute pratiche, si pone quello della portata delle c.d. ?regole d?ingaggio? in relazione alla loro natura giuridica ed all?eventuale portata derogatrice del sistema penale comune e militare.
Preliminarmente infatti, si possono sostenere due tesi, egualmente ragionevoli e condivisibili in ordine all?efficacia ed al valore di queste ?anomale? fonti normative come le ?regole d?ingaggio? anche dette in forma abbreviata R.O.E..
Secondo una prima tesi quest?ultime rivestirebbero il grado di una fonte normativa pari a quella ordinaria, e quindi di quella che prevede le cause di? non punibilit? previste dal codice penale comune e militare: in tal caso potrebbe allora ravvisarsi un?eventuale portata derogatrice di queste norme in quanto in grado di scriminare condotte diversamente punibili secondo la legislazione dei codici comuni e militari. La tesi trova conforto nel fatto che tali regole vengono approvate attraverso un doppio passaggio parlamentare che le vede sottoposte all?approvazione delle due camere dopo la delibera governativa.
Una seconda tesi, sostenuta da recente dottrina1, pi? attenta al principio di legalit?, evidenzia invece come le stesse abbiano una natura giuridica amministrativa e quindi di atti con valore subordinato alla legge ordinaria, alla quale anzi sono condizionati in ordine alla portata applicativa ed ai limiti. Se allora si propende per tale tesi, le R.O.E. si inscrivono a pieno titolo da un punto di vista dogmatico nella categoria degli ordini emanati da un? Autorit? gerarchicamente sovraordinata nell?ordinamento militare quale appunto il Ministero della Difesa.
Occorre peraltro evidenziare il quadro normativo in cui si inscrivono le ?regole d?ingaggio? avendo la Commissione Difesa della Camera dei Deputati, con la risoluzione n.7-1007 del 16.01,2001 sancito la necessit? di quattro passaggi procedurali per l?emanazione delle ?regole d?ingaggio?: 1) una deliberazione governativa con conseguente informativa alle Camere 2) l?approvazione da parte delle due Camere della deliberazione governativa 3) seguito governativo alla delibera parlamentare tramite presentazione di un disegno di legge o emanazione di un decreto legge contenente la copertura finanziaria della missione 4 ) adozione delle disposizioni attuative da parte dell?amministrazione militare.
Pertanto, ? il Ministero della Difesa, nell?ambito delle proprie attribuzioni ad eseguire, in via amministrativa, le deliberazioni dell? Esecutivo sottoposte al vaglio? del Consiglio Supremo di Difesa ed approvate dall?Assemblea parlamentare.
Conseguentemente, essendo il ministero della Difesa il massimo organo preposto all?Amministrazione militare, appare pi? che ragionevole ipotizzare la natura amministrativa di tali R.O.E. nei termini di ordini gerarchici.
Quindi se queste sono le conclusioni in ordine alla natura giuridica delle regole d?ingaggio, quale inevitabile conseguenza giuridica ne deriva la necessaria conformit? alla legge ordinaria di queste ?regole?, dovendo ex art. 4 l.382/78 ?gli ordini essere conformi alla normativa in vigore, attinenti alla disciplina, riguardare il servizio e non eccedere i compiti d?istituto?.
Il riferimento ai compiti d?istituto, consente di introdurre un?altra tematica strettamente inerente all?oggetto della nostra trattazione, ovverosia la previsione normativa prevista dall?art. 1 co.1 l.14 novembre n.331/00, che ha previsto tra i nuovi compiti delle FF.AA. quello ?di operare al fine della realizzazione della pace e della sicurezza, in conformit? alle regole del diritto internazionale ed alle determinazioni delle organizzazioni internazionali di cui l?Italia fa parte?.
Tale nuovo articolato normativo, secondo una parte della dottrina2, avrebbe sostanzialmente mutato il concetto tradizionale di evento bellico, ritenendosi ormai superato il regime della messa al bando della guerra, legittimandosi indi il ricorso dello ius ad bellum ed il superamento del postulato dogmatico dell?assoluta prevalenza del valore della pace e della limitazione della partecipazione italiana alle sole guerre difensive.
In questo nuovo contesto strategico, secondo questa tesi si spiegherebbe allora la lettura di un?interpretazione elastica delle ?regole d?ingaggio? che consentirebbero un?applicazione maggiormente ?elastica? in ordine ai contenuti ed ai limiti applicativi delle cause di non punibilit? previste dal codice comune e da quello militare. In tal senso, allora potrebbe ipotizzarsi un impiego di armamenti a scopo preventivo, unilaterale ed offensivo, potendosi non rispettare, ad esempio, il disposto dell?art. 41 c.p.m.p. che postula la necessit? di respingere una violenza o di vincere una resistenza.
Tuttavia un? interpretazione cos? ?innovativa? non appare giustificata, oltre che dalla natura giuridica delle R.O.E. anche dalla loro ?ratio?, potendo un?applicazione ?elastica? di queste regole dar luogo a delle ipotesi di conflitto di doveri penalmente rilevante. Si pensi, in particolare, all?evenienza di un esecutore di un ordine conforme a regole d?ingaggio di tipo ?elastico? che rischierebbe di vedersi imputato un fatto di reato in concorso con il superiore gerarchico posto che l?art. 4 l.11 1978 n.382 contempla un dovere di disobbedienza in capo al militare ove l?ordine si ponga contro le Istituzioni dello Stato (ovvero contro i precetti fondamentali della carta costituzionale di cui all?art.11 e 52).
L?applicazione del codice penale militare di guerra, prevista in virt? del d.l.165 2003, ai militari impegnati nella missione in Iraq, in realt? potrebbe giustificare l?operativit? di una deroga, per il tramite delle R.O.E., alle scriminanti previste dalla codificazione comune e militare, in ragione del contesto bellico in cui opererebbero le nostre FF.AA.. Tuttavia, come ? stato osservato dalla dottrina pi? attenta ai valori della nostra Carta Fondamentale3, ? il precetto costituzionale che impone un uso della forza militare in termini ?difensivi? ove le operazioni militari comunque si inscrivano nell?alveo di applicabilit? di cui all?art. 11 e 52 Cost. (cooperazione sotto l?egida di organizzazioni internazionali per il mantenimento della pace e della sicurezza), consentendo solo l?emergenza bellica l?abbattimento dei consueti limiti all?uso della forza. L?interpretazione test? fornita, in ordine alla riconoscibilit? di una portata ?elastica? delle R.O.E. in operazioni come quelle in Iraq ? probabilmente viziata all?origine dalla considerazione che la legge ha previsto per quest?ultima, l?applicazione del codice penale di guerra: in ci? peraltro ? insito l?errore posto che il legislatore, nella sua discrezionalit?, pu? stabilire l?applicazione del codice penale militare di guerra anche in situazioni che non possono essere propriamente essere definite di contesto bellico secondo i tradizionali canoni. Anzi in tal senso, dalla lettura degli atti parlamentari si evince che, proprio la preoccupazione per la tutela dei militari italiani in Iraq, ha spinto il legislatore ad optare per l?applicazione della normativa penale di guerra in luogo di quella di pace. Ma nulla di pi?.
Se allora si ? risolta in questi termini la configurazione giuridica di contesti simil-bellici, come quelli dell?operazione militare in Iraq, non sembra potersi trovare ostacolo alcuno all?applicabilit? delle scriminanti previste dal codice penale militare di pace in presenza dell?operativit? del codice penale di guerra.
Invero, taluno4, ipotizzando la tesi di una temporanea sospensione della legge penale di pace in presenza dell?applicazione del codice penale militare di guerra esclude che cause di non punibilit?, come quelle previste dagli artt. 41 e 44 c.p.m.p. possano trovare applicazione.
Altra tesi, certamente pi? attenta al principio di complementariet? che informa i rapporti tra codice penale militare di pace e di guerra ai sensi dell?art.19 c.p.m.p., esclude che le scriminanti previste dalla legislazione di pace non trovino applicazione in contesti bellici posto che, anzi, la loro inopinata soppressione potrebbe comportare una riduzione delle cause di non punibilit? concernenti il personale militare, con una limitazione dei casi di ?legittimo uso della forza?. In tal senso, anzi, la dottrina penale-militare pi? attenta 5 ha escluso che in tale ipotesi possa riespandersi l?operativit? dell?esimente di diritto penale comune (art. 53 c.p.) considerato la preclusione derivante dalla mancanza della qualit? di pubblico ufficiale in capo agli appartenenti alle FF.AA., senza considerare tra l?altro, anche l?applicazione degli artt. 41 e 44 del c.p.m.p. anche alla commissione di reati comuni realizzati dal militare6.
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La problematica dell?applicabilit? della causa esimente dello stato di necessit? ai militari impegnati in operazioni di mantenimento della pace e di sicurezza.
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Correlata alle problematiche sin qui esaminate, ovverosia dei rapporti tra ordinamento militare e cause di non punibilit? previste dalla legislazione penale comune e militare, si pone la questione dell?applicabilit?, e quindi dell?invocabilit? dell?esimente di cui all?art. 54 c.p. dello stato di necessit?, in operazioni dei nostri militari in scenari di peace ?keeping.
Tradizionalmente si ? soliti dire, sulla scorta dei particolari doveri attinenti allo status di militare, che il comma 2 dell?art. 54 c.p. esclude la possibilit? di farne applicazione ove chi lo invochi abbia ?il particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo?. Anzi, proprio nel regolamento di disciplina militare all?art. 9 si prospetta l?eventualit? del rischio necessario della vita del militare ove ci? sia correlato all?assolvimento dei compiti istituzionali delle forze armate.
Allo stesso modo, anche la relazione della commissione ministeriale al progetto definitivo del codice penale militare di pace del 19387 , in virt? del principio di complementariet? tra il codice penale militare e quello comune, riconosceva la pacifica applicabilit? del secondo comma dell?art. 54 c.p..
Peraltro, il mutamento degli scenari internazionali, ed il passaggio test? menzionato, da uno strumento militare in compiti ?difensivi? di mera salvaguardia della Patria e delle Istituzioni ad una proiezione su scala mondiale a tutela del mantenimento della pace e della sicurezza di Paesi stranieri, ha posto in capo agli interpreti rilevanti problemi ermeneutici proprio in ordine al dovere giuridico di esporsi sino al supremo sacrificio.
In sostanza, a seguito dell?entrata in vigore dell?art. 1 l.331/00, che ha ?ridisegnato? i nuovi compiti delle FF.AA. (tutela del mantenimento della pace e della sicurezza in conformit? alle determinazioni delle Organizzazioni internazionali) la dottrina pi? attenta8 si ? interrogata sulla giuridica possibilit? di una qualche deroga al tradizionale assunto secondo cui il militare nell?espletamento delle proprie funzioni istituzionali deve necessariamente esporsi a pericolo sino all?eventuale supremo sacrificio; questa tesi in particolare, intenderebbe sottolineare come il dovere di esporsi a pericolo sussisterebbe solo nelle ipotesi in cui il militare agisca in situazioni in cui siano messi a rischio i valori fondanti del nostro ordinamento (le Istituzioni Repubblicane,appunto), mentre in altre situazioni (quelle di peace-keeping) sarebbe possibile enucleare degli spazi in cui verrebbe meno il dovere giuridico di esporsi a pericolo, con conseguente riespansione della scriminante di cui all?art. 54 c.p.
Tale soluzione interpretativa, sempre ad avviso di questa tesi, sarebbe possibile nella misura in cui si individuino e concretizzino preventivamente i c.d. ?rischi consentiti?, enucleando pertanto un?area di rischio incoercibile in quanto non strettamente inerente agli incarichi da espletarsi ; evidentemente, quest?operazione ermeneutica non potrebbe che svolgersi attraverso l?attenta disamina delle direttive governative e delle disposizioni ministeriali che predeterminino i compiti delle FF.AA. destinate a siffatte operazione fuori-area. Il supporto dogmatico di tale argomentazione, si basa invero su quanto sostenuto da autorevolissima dottrina9, che ha osservato che il soggetto che ha il particolare dovere di esporsi al pericolo, ? chiamato soltanto ad affrontare quei rischi che siano derivazione immediata della posizione di ?protezione? che gli affida l?ordinamento, non potendosi riconoscere in capo ad esso una qualifica di ?garante??? onnicomprensiva.
La tesi ? invero suggestiva, aprendo degli spazi ?interpretativi? volti a riconoscere una sia pure limitata applicazione della scriminante di cui all?art. 54 c.p. in relazione a pericoli non consentiti dalle R.O.E. e predeterminati quindi dalle direttive emanate dall?Autorit?. Ci si consenta peraltro, a margine di queste conclusioni, delle riflessioni in ordine a quelle che ci sembrano alcune ?forzature? di questa tesi. In particolare, non ? facilmente condivisibile il postulato, invero implicito nella tesi qui riportata, che la l.331/00 nell?individuare ?i nuovi compiti delle FF.AA?, abbia in sostanza individuato delle funzioni militari ?non coperte? dalla Carta Costituzionale. E? invero illogico ritenere che la partecipazione ad operazioni di realizzazione della pace e della sicurezza, che avvengano (si badi bene) in conformit? alle regole del diritto internazionale ed alle determinazioni delle Organizzazioni internazionali di cui l?Italia fa parte, non rientrino nell?alveo di situazioni interferenti con i valori fondamentali del nostro Ordinamento: la partecipazione ad organizzazioni internazionali, quali ad esempio l?Onu o la Nato, ha da sempre profondamente inciso sulla ?costituzione materiale? dell?Italia, comportando anche delle significative limitazioni alla Sovranit? statale, avvenendo ci? tuttavia sempre nell?ambito del dettato costituzionale dell?art. 11.
Si noti inoltre, che i nuovi compiti attribuiti dalla l.331/00 alle FF.AA non si limitano solamente al mantenimento della pace e della sicurezza, quanto piuttosto, in accordo paritario con gli altri stati membri, alla realizzazione della pace e della sicurezza che certamente postula la necessit? di regole d?ingaggio maggiormente ?elastiche? per far fronte alle emergenze del terrorismo internazionale.
Se da un punto di vista sostanziale, pertanto non pare possibile escludersi l?esistenza di un dovere supremo di sacrificio della vita per il militare anche in caso di operazioni di ?polizia internazionale?, anche da un punto di vista meramente formale la tesi non pare aver valido fondamento, posto che comunque i nuovi compiti delle FF.AA. sono stati introdotti dal legislatore con un atto avente forza e valore di legge al pari di quello che con l?abrogato art. 1 l.382/78 aveva previsto quali compiti specifici delle FF.AA. quello della salvaguardia della Patria, delle libere Istituzioni e del concorso al bene della collettivit? nazionale in caso di calamit? pubbliche. Come si pu? pertanto, anche giuridicamente, rimodulare la portata dei nuovi compiti delle FF.AA. e ritenerli di rango ?minore? rispetto a quelli tradizionalmente riconosciuti?
1 LUIGI D?ANGELO : ? Missioni militari all?estero , regole d?ingaggio e cause di non punibilit? codificate nella legislazione penale comune e militare? in Dir. pen. e processo n. 9/05
2 G. DE VERGOTTINI : ? Guerra e attuazione della Costituzione, Relazione presentata al convegno ?Guerra e Costituzione? Universit? Roma 3, aprile 2002
3 L.D? ANGELO : Ordinamento militare, esimente dello stato di necessit? e dovere di rischiare la vita, Dir. pen. e proc. n.1/05
4 VENDITTI : il diritto penale militare nel sistema italiano, I Milano, 1995, 1 ss.
5 BRUNELLI : Diritto penale militare pp.84-85
6 BRUNELLI : Op. cit.pp.84 ss.
7 Lavori preparatori per la riforma dei codici e delle leggi penali militari, II, 2, Roma 1938,52;
8 LUIGI D?ANGELO: op.cit.
9 MARIO ROMANO: Commentario sistematico del codice penale I, Milano 1995, 540
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