La motivazione dei giudici amministrativi
Il Consiglio di Stato è stato chiamato a pronunciarsi sulla dibattuta questione del Crocifisso nelle scuole. Nella motivazione si osserva in via preliminare che l’ostensione del Crocifisso non può ritenersi illegittima per l’asserito contrasto con l’aconfessionalità dello Stato, dovendosi piuttosto definire il principio della laicità alla stregua dell’ordinamento costituzionale. Richiamando la giurisprudenza della Corte costituzionale, i Giudici della VI sez. riconoscono che la laicità è principio generale che si ricava dal comb. disp. degli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 Cost. Prosegue poi la Corte amministrativa, nel precisare che laicità nel nostro ordinamento “Indica in forma abbreviata profili significativi di quanto disposto dalle anzidette norme, i cui contenuti individuano le condizioni di uso secondo le quali esso va inteso ed opera”.
In altri termini il concetto extragiuridico di laicità è da intendersi recepito nell’ordinamento costituzionale, nei limiti in cui esso risulta giuridicamente “ridefinito” dalla reciproca interazione delle norme richiamate.
E’ ampio il contenuto delle disposizioni della Costituzione relative alla sfera religiosa, come ribadirà in seguito la Corte amministrativa. Esse tutelano l’aspetto religioso come diritto fondamentale della persona in sé (art. 2 – disposizione intesa comunemente come clausola aperta[1]) considerata uguale agli altri cittadini a prescindere dal proprio credo, nel senso che la fede religiosa è uno degli aspetti della persona tutelato contro la discriminazione (art. 3)[2]. La Costituzione garantisce a tutti la libertà di esprimere l’aspetto religioso della personalità individuale e sociale (artt. 2 – 19)[3]. La tutela si estende alle istituzioni con finalità religiose che non possono essere discriminate per il loro fine religioso o di culto (art. 20)[4]. La tutela e i rapporti tra Stato e Chiesa Cattolica e le altre confessioni religiose sono poi rispettivamente regolati dagli artt. 7 e 8 Cost[5].
La sentenza in commento argomenta che la soluzione del quesito posto ai giudici presuppone in via preliminare chiarire il confine tra ideologia e diritto sul tema “caldo” della laicità:
“Le condizioni di uso vanno certo determinate con riferimento alla tradizione culturale, ai costumi di vita, di ciascun popolo, in quanto però tale tradizione e tali costumi si siano riversati nei loro ordinamenti giuridici. E questi mutano da nazione a nazione”.
Schematizzando:
a) il concetto di laicità dello Stato in rapporto al fenomeno religioso e le stesse espressioni religione o culto richiamano nozioni relative alla cultura, tradizione, costume di un popolo; si tratta di un dato che va pertanto, contestualizzato e storicizzato;
b) l’ampiezza e i limiti del riconoscimento del dato sociologico, antropologico, ecc. sono dati dalla loro giuridicità ossia dalla ricezione in ordinamenti giuridici[6];
c) per il nostro ordinamento, il contenuto e i limiti di tale riconoscimento sono dati dalla ricezione degli elementi extragiuridici nelle norme costituzionali sopra richiamate.
La Corte amministrativa prosegue con una breve rassegna comparativa di diritto internazionale volta ad esemplificare i concetti sopra espressi, evidenziando la relatività e diversità rispetto ai vari ordinamenti del concetto di laicità. Ed opera una triplice distinzione tra:
► Laicità di tipo contrappositivo: il fenomeno religioso è considerato in antitesi allo Stato che pertanto, tende a limitarlo e costringerlo nelle maglie del diritto. Si fa l’esempio dell’ordinamento Francese, e si indica ad esempio la recente legge che limita l’ostentazione dei simboli religiosi.
Non vi è chi non vi ravvisi un residuo delle concezioni illuministiche in base alle quali il fenomeno religioso era ritenuto in contrasto con la Ragione e considerato un ostacolo alla scienza e al progresso[7].
► Laicità di tipo consociativo – come l’ordinamento degli U.S.A. in cui, nonostante l’affermata separazione tra ordinamento statale e confessioni religiose, si manifesta una parziale commistione o integrazione tra le due sfere (esemplificata dal Collegio, nel riferimento a Dio contenuto nella moneta americana).
► Laicità di tipo autonomistico caratterizzata, nel nostro ordinamento, dalla reciproca indipendenzadella sfera temporale da quella spirituale ed espressa nell’assetto sopra sintetizzato.
La Corte amministrativa esplicita il significato dell’autonomia ed indipendenza della sfera civile e religiosa, col rimarcare che esse si connotano di un atteggiamento “di favore nei confronti del fenomeno religioso” e delle confessioni che lo propugnano. Esso si esprime, tra l’altro nella regolamentazione dei rapporti mediante il meccanismo del Concordato per la Chiesa Cattolica, e di intese preventive recepite in leggi per le altre Confessioni (art. 7 e 8 co.3 Cost).
Quanto osservato dalla Corte è sufficiente ad escludere dunque, decisamente, sia l’irrilevanza religiosa, sia l’atteggiamento ostativo, nella laicità giuridicamente rilevante per l’ordinamento italiano.
In particolare, il significato del Simbolo “Crocifisso”.
Passando ad esaminare la questione ad essa sottoposta, se l’imposizione del Crocifisso nelle aule di una scuola pubblica sia lesiva dei contenuti delle norme fondamentali del nostro ordinamento costituzionale, che danno forma e sostanza al principio di "laicità" che connota oggi lo Stato, il Collegio premette ancora una definizione dei termini del discorso, relativa al significato, nell’ordinamento, del Simbolo in oggetto, a prescindere dal suo valore strettamente religioso per coloro che professano la fede cattolica:
“E’ evidente che in Italia, il crocifisso è atto ad esprimere, appunto in chiave simbolica ma in modo adeguato, l’origine religiosa dei valori di tolleranza, di rispetto reciproco, di valorizzazione della persona, di affermazione dei suoi diritti, di riguardo alla sua libertà, di autonomia della coscienza morale nei confronti dell’autorità, di solidarietà umana, di rifiuto di ogni discriminazione, che connotano la civiltà italiana.
Questi valori, che hanno impregnato di sé tradizioni, modo di vivere, cultura del popolo italiano, soggiacciono ed emergono dalle norme fondamentali della nostra Carta costituzionale, accolte tra i "Principi fondamentali" e la Parte I della stessa, e, specificamente, da quelle richiamate dalla Corte costituzionale, delineanti la laicità propria dello Stato italiano.
Vi è di più – sembra osservare la Corte amministrativa. Il simbolo, a prescindere dalla sua origine religiosa, comunica valori di pregio anche in un contesto ambientale educativo come quello di un istituto scolastico statale, e la validità della loro espressione in quel luogo e attraverso quel simbolo, costituisce scelta discrezionale del legislatore che, conformemente ai principi costituzionali, ritiene rilevanti tali valori.
Tutto ciò fonda e legittima la generalizzata obbligatorietà del simbolo, non già quale prevaricazione religiosa, retaggio di uno stato confessionale,ma quale obbligatorietà del rispetto, nonché riconoscimento del rilievo culturale della trasmissione di valori solidamente radicati, prima ancora che giuridicamente riconosciuti:
“Il richiamo, attraverso il crocifisso, dell’origine religiosa di tali valori e della loro piena e radicale consonanza con gli insegnamenti cristiani, serve dunque a porre in evidenza la loro trascendente fondazione, senza mettere in discussione, anzi ribadendo, l’autonomia (non la contrapposizione, sottesa a una interpretazione ideologica della laicità che non trova riscontro alcuno nella nostra Carta fondamentale) dell’ordine temporale rispetto all’ordine spirituale, e senza sminuire la loro specifica "laicità", confacente al contesto culturale fatto proprio e manifestato dall’ordinamento fondamentale dello Stato italiano. Essi, pertanto, andranno vissuti nella società civile in modo autonomo (di fatto non contraddittorio) rispetto alla società religiosa, sicché possono essere "laicamente" sanciti per tutti, indipendentemente dall’appartenenza alla religione che li ha ispirati e propugnati”.
Osservazioni conclusive. Libertà come dialogo, tolleranza reciproca e promozione positiva di valori.
La Costituzione Italiana viene adeguatamente prospettata dalla pronuncia in commento, suffragata dalla giurisprudenza della Consulta, Progetto fondante che non si limita ad elencare le liberta fondamentali in un acritica successione di disposizioni, bensì come l’assetto delle libertà dei soggetti pubblici e privati ossia le modalità del loro interagire, affinché sia garantito sul piano sociale il limite reciproco dei valori di eguale rilevanza, per la pacifica coesistenza. E sul piano formale, per garantire l’armonizzazione del sistema.
La Costituzione esprime i valori comuni e portanti che unificano un Popolo su una data espressione territoriale, a fini di sviluppo del Progetto “Repubblica democratica”, ossia di espansione sempre maggiore delle libertà individuali e collettive. Il che tuttavia, presuppone per converso, doveri e responsabilità, rispetto e tolleranza reciproca.
Il discorso sul simbolo Crocifisso – assume una portata ampia e complessa di cui con ogni probabilità giudici sono stati consapevoli allorché hanno ricavato, sia pure in sintesi, i valori laici sottesi al Crocifisso.
Di tali implicazioni ne indico tre:
► il riferimento alla Storia d’Italia. In ciò – vale la pena di ricordare – una delle ragioni che furono alla base del deciso rifiuto del Presidente Ciampi, alla prospettiva di rimuovere dal Quirinale l’artistico Crocifisso. A ben vedere, quel Crocifisso richiama proprio la storia recente, ma anche futura tra il Quirinale e non solo la Santa Sede (con riferimento al Concordato), ma richiama – parallelamente – per la pari dignità insita nel sistema Costituzionale (così come interpretato dal C.d.S e dalla Consulta), il valore sociale, prima ancora che giuridico, delle “intese” volte a costituire il contenuto sostanziale delle leggi di rilevanza costituzionale che disciplinano i rapporti con le confessioni religiose riconosciute dall’ordinamento. Una laicità dunque, sul piano della Costituzione vivente.
Ne deriva che la tutela riconosciuta dallo Stato alle confessioni religiose esprime non solo la fredda e formale “tolleranza” misurata per così dire a “centimetri” di spazio assegnato, ma il valore ben più pregnante della positiva collaborazione fatta di conoscenza, dialogo e accoglienza reciproca tra le fedi e con le istituzioni statali, al fine della realizzazione del bene comune, nel campo economico, politico e sociale.
► La seconda implicazione riguarda la stretta connessione tra Crocifisso e arte. Il Crocifisso è in Italia il più Autorevole dei simboli religiosi, ma non l’unico. Si pensi ad antiche icone, bassorilievi, ecc. che allocati negli istituti che – eventualmente mediante convenzioni con enti religiosi – utilizzassero locali di antichi conventi o chiese non più adibite a culto per l’edilizia scolastica pubblica. La loro ipotetica rimozione peraltro, comporterebbe tecnicamente il rischio di deterioramento, qualora si trattasse di opere realizzate su supporti congiunti alla parte muraria. E ancora i mosaici, statue, bassorilievi o affreschi a carattere religioso esistenti non in privati musei, ma in giardini e altri luoghi pubblici. Per tacere delle storiche edicole della Vergine e dei Santi che troviamo ai lati delle strade e nelle piazze pubbliche, dalla Capitale alle stradine di remote contrade del Paese.
La laicità – intesa nel senso contrappositivo sopra indicato -nonnesuggerirebbe con la sua assurda logica, la rimozione e sostituzione con asettiche pitturazioni bianche, ovvero con cartelloni pubblicitari in nome di una laica religione del consumismo?
E’ il caso di osservare che l’arte è la prima testimone della dimensione sociale e non esclusivamente intimistica della fede religiosa, per rendersi conto dell’incongruenza di prospettare una tolleranza e un rispetto tra culture religiose basate sulla “soppressione” nell’ambito della vita pubblica dei reciproci segni o simboli religiosi.
► Si accenna infine soltanto, al discorso dei contenuti dell’insegnamento “laico”nelle scuole. Si pensi ad es. alla prassi centenaria, di allestire, nel periodo natalizio, il presepe nelle scuole pubbliche italiane. Sarebbe davvero assurdo se un docente d’Italiano o di Storia dell’arte – per un malinteso laicismo oppositivo – tacesse del significato del presepe (magari sostituendovi un “laico” abete…). O per fare un ultimo riferimento a Figure -“simbolo” della fede cattolica universalmente stimati, si pensi al paradosso di un insegnante che ritenesse “non legittimo” trasmettere ai discenti i contenuti educativi di pace, amore per i poveri, per il creato, espressi da S. Francesco d’Assisi, che la Chiesa Cattolica proclamò Patrono d’Italia…
Il dato di fatto su cui l’illustre Collegio sembra aver invitato la società civile ad una serena riflessione è che pur nel rispetto di una società multiculturale, i valori religiosi espressi dal Crocifisso sono per così dire amalgamati in un mulsum ormai inscindibile, nel sostrato antropologico, storico, lessicale, artistico, letterario del Paese. Insomma in ciò che chiamiamo sinteticamente “cultura italiana” e “nostre radici”. Di tutto ciò, già i Padri della Repubblica, che parteciparono alla Costituente, erano saggiamente consapevoli.
Avv. Teresa Filosa – Avvocato del Foro di Torre Annunziata (NA)
[1] Sull’art. 2 come clausola aperta cfr. Martines, Diritto Costituzionale, Giuffré 2005, p. 594
[2] Sulla laicità come eguaglianza delle confessioni religiose rispetto allo Stato ex art. 3 Cost., cfr. la sentenza della Corte Cost. n. 440 del 1995, che dichiara l’illegittimità parziale del reato di bestemmia, art. 724 1 co., del codice penale, limitatamente alle parole “o i Simboli o le Persone venerati nella Religione dello Stato” e così ne apre la portata anche alla tutela di Divinità venerate dai culti acattolici; nonché la sentenza che dichiara l’illegittimità costituzionale del vilipendio alla religione dello Stato art. 402 c.p. Si segnala infine, con riferimento agli artt. 3 e 8 Cost., la sent. della Corte Cost. n. 195/93 sulla ammissibilità delle confessioni prive d’intesa con lo Stato ai contributi regionali per l’edilizia di culto (L. Reg. Abruzzo n. 29/88).
[3] Sulla tutela delle confessioni religiose non cattoliche in riferimento all’art. 17 Cost. : sent. n. 45/57; con riferimento agli artt. 8 e 19 Corte Cost. n. 59 del 1958.
[4] Con riferimento agli artt. 7, 8 e 20 Cost. si segnala la sent. Corte Cost. n. 86 del 1985.
[5] Sui limiti della giurisdizione ecclesiastica in rif. agli artt. 7 e 102 Cost., cfr. le sentenze Corte Cost. n. 30/71 e 1/ 77. Sui rapporti tra Concordato e legge ordinaria, in tema di insegnamento della Religione Cattolica: Corte Cost. n. 390/99.
[6] Il che rende in seguito, più complessa l’operazione ermeneutica per la loro determinazione e applicazione pratica ai vari istituti che li recepiscono: non vale più, soltanto il riferimento alla realtà sociale, poiché i concetti extragiuridici sono incorporati e limitati dal sistema normativo dato, che ne definisce tra l’altro, come nel caso di religione e culto anche le modalità operative.
[7] Andrebbero approfondite nel caso specifico le ragioni storiche, sociali e politiche che hanno condotto in Francia alla disciplina restrittiva dei simboli religiosi a cui fa riferimento la Corte amministrativa.
P.S. Un’ultima notazione a proposito dei contenuti dell’insegnamento “laico”.
Ho tralasciato volutamente il riferimento a Dante, poiché nessuno potrebbe negare che la sua Opera è imprescindibile nello studio dell’evoluzione della Lingua italiana dal latino al volgare.
(Peraltro, il riferimento a Dante, come pure agli affreschi di Giotto è già contenuto nell’articolo del Prof. Avv. Raffaele Coppola, Ordinario di Dir. Eclesiastico all’Università di Bari, scritto a commento delle precedenti sentenze – vedi: “Il Simbolo del Crocifisso e la laicità dello Stato” in http://www.studiocelentano.it/editorial/131201.asp).
Gli studi danteschi sono fiorenti altresì in Europa e nelle università degli USA. Perciò sarebbe impensabile un nuovo… “esilio” culturale del sommo Poeta in Patria…
Vorrei piuttosto rilevare un dato eloquente, da cui trarre autorevole conferma di quanto si sosteneva, circa l’intima connessione, tra religione cristiana, letteratura e cultura italica in generale. Lo ricavo dalle reminiscenze del mio Poeta preferito, Giuseppe Ungaretti. Egli giunge alla fede attraverso l’esperienza del dolore. Poeta tra le due guerre, proprio nel dolore incontra Cristo, Colui che ha condiviso il dolore umano. Con animo riconoscente, il Nostro eleva a Cristo un inno, nel quale peraltro, denuncia che, a causa proprio dell’abbandono dei valori cristiani, la stoltezza umana ha prodotto gli orrori che il Poeta e i suoi contemporanei hanno tristemente sperimentato: Vedo ora nella notte triste, imparo,/So che l’inferno s’apre sulla terra / Su misura di quanto/L’uomo si sottrae, folle,/Alla purezza della Tua passione.
Ma il dato significativo che vorrei evidenziare è contenuto nell’epilogo:
Cristo, pensoso palpito
Astro incarnato nell’umane tenebre
fratello che t’immoli
perennemente per riedificare
umanamente l’uomo,
Santo Santo che soffri,
Maestro e fratello e Dio che ci sai deboli,
Santo, Santo che soffri
per liberare dalla morte i morti
e sorreggere noi infelici vivi;
d’un pianto solo mio non piango più.
Ecco, Ti chiamo, Santo,
Santo, Santo che soffri.
(Mio Fiume anche tu – Da “Il Dolore-Roma Occupata”)
Ebbene, con gli ultimi versi qui citati, connotati dalla marcata assonanza col Sanctus, Ungaretti sarebbe colpevole – secondo i teorici del laicismo oppositivo censurati nella sentenza in commento – di introdurre arbitrariamente, la Liturgia cattolica nella Letteratura!…
T. Filosa
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