Il Codice del consumo (d.lgs. 205 del 6 settembre 2005) è stato accolto con critica e diffidenza che giudico, per la maggior parte immeritate. Non ho contribuito, almeno direttamente, al lavoro che ha condotto all’opera di riassetto e dunque questa difesa è ben diversa da quella, accalorata, che in questi mesi hanno messo in atto i “padri” del provvedimento, gli studiosi della Commissione ministeriale e la stessa Direzione generale “Mercato e consumatori” del Ministero delle Attività produttive.
Tuttavia, devo dire, ho avuto modo di interferire su alcuni contenuti come esperto giuridico delle Associazioni di consumatori alle quali, nel corso di oltre tre anni di travagliato lavoro, il Codice è stato sottoposto in bozze successive, via via più attente ai rilievi degli operatori del settori.
Ma non è neppure in ragione di questo contributo che svolgo le difese del Codice del consumo, quanto per la consapevolezza delle difficoltà di un obiettivo così ambizioso, quale è certamente il riordino della legislazione consumerista, fin qui letteralmente disseminata nell’ordinamento tra leggi e leggine più o meno note agli interpreti.
Con l’entrata in vigore del Codice del consumo l’ordinamento giuridico italiano saluta la realizzazione di un impianto di tutela dei diritti dei consumatori finalmente organico e strutturato.
Quanto necessario fosse tale intervento è ben chiaro al pratico del diritto che vi parla, consapevole delle innumerevoli asperità di un terreno nel quale, complice proprio la citata disorganizzazione dei provvedimenti legislativi intervenuti negli ultimi vent’anni, la tutela dei cittadini rischiava di impantanarsi tra mille rivoli privi di una tutela capace di approccio più complessivo.
Solo chi non sa delle cose dei consumatori può sottovalutare l’impatto di questo intervento il cui principale merito è proprio quello di realizzare un nuovo “ordinamento”: e non solo inteso come complesso finalmente ordinato di regole, ma come insieme di norme che vivono le une in ragione delle altre e che le une in ragione delle altre devono essere lette ed interpretate.
Ricordo le molte occasioni nelle quali non ho mancato di produrre davanti al giudice, insieme alla legge speciale disciplinante il caso di specie, anche la stessa legge quadro dei diritti dei consumatori e degli utenti (la celebrata legge 281 del 1998) per ricordare che la fattispecie concreta deve esser letta alla luce dei diritti proclamati come “fondamentali” da quella legge, anch’essa oggi rifluita nel codice del consumo.
Ed ecco che, oggi, ritrovare quei principi nell’incipit del nuovo Codice permette di ricordare che sono queste luci che dovranno illuminare il percorso argomentativi dell’interprete.
Ho avuto modo –come è stato ricordato– di esprimere il mio apprezzamento per l’opera di riassetto nel mio libro, edito da Giappichelli, “Il Codice del consumo regole e significati”. Ma non di apprezzamento agiografico si tratta: pur consapevole che non è questo “il migliore dei mondi possibili”, devo ricordare agli scettici che si tratta di iniziativa originale del nostro legislatore che come sappiamo era ormai abituato a limitarsi a tradurre (e non sempre con la dovuta perizia) le direttive scritte a Bruxelles.
Il Codice del consumo, vale la pena di ricordarlo una volta di più, rappresenta tuttora un unicum nello scenario europeo e mi sento di affermare che la difficoltà dell’impresa meriti di attenuare la gravità dei giudizi espressi fin qui, in qualche caso ad opera di chi, lamentando, ad esempio, la mancata introduzione della tanto attesa class action, trascura che l’ambito della delega legislativa non consentiva simili innovazioni.
E tuttavia il legislatore del riassetto non si è limitato, come sostiene qualcuno, ad un’opera di semplice “copia-incolla”, cimentandosi, invece, in interventi di limatura che si traducono in un innalzamento della tutela riconosciuta ai consumatori italiani. Piccole e grandi migliorie, più o meno appariscenti, tutte però di sensibile impatto nel rendere più agevole la tutela dei diritti troppo spesso resa difficoltosa dai troppi interstizi dell’impianto di tutela. Solo per fare alcuni esempi non possiamo dimenticare la nuova formulazione del termine per recedere nelle vendite aggressive, l’unificazione delle regole circa le modalità del ripensamento e le sorti del contratto di credito al consumo, l’estensione della tutela turistica anche ai venditori abusivi di viaggi, la previsione della azione inibitoria estesa a tutte le materie del codice, la individuazione accanto ai rapporti di consumo dei rapporti di utenza e via dicendo.
Il tutto fa del Codice del consumo (si badi bene che questo è il codice “del consumo” e non “dei consumatori”, per rappresentare che disegna un assetto complessivo di diritti e doveri comuni a tutti gli operatori del mercato) un momento importante di crescita del livello di civiltà di questo paese.
E da pratico del diritto mi sento di esortare ad abbandonare le disquisizioni teoriche su ciò che avrebbe potuto essere e non è stato, invitando questo autorevole consesso a cominciare ad interrogarsi sulle dinamiche che ne scaturiranno e sui nuovi percorsi che d’ora innanzi si aprono al nostro cospetto.
Per cominciare su questa strada ricordo l’appuntamento a Roma per i giorni 16 e 17 giugno 2006, al Corso interattivo sul Codice del Consumo (
www.dirittodeiconsumatori.it) organizzato dall’Unione Nazionale Consumatori.
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