Sommario: 1. Premessa. – 2. Il quadro normativo di riferimento nella pronuncia della Corte Costituzionale n. 276 del 25-7-1997: la distinzione tra ente ‘sottoposto a vigilanza’ ed ente’ dipendente’ dalla Regione – 3. Le spiegazioni della Corte nella sentenza n. 376/2004. – 4. Conclusioni.
1. Premessa.
La recente sentenza che qui si commenta, la n.376 del 6 dicembre 2004, contiene nel percorso motivazionale alcuni passaggi che si presentano, per un verso in linea con i principi ispiratori il nostro ordinamento costituzionale, d’altra parte in distonia rispetto al dato esegetico fuoriuscito da una pronuncia di qualche anno più remota della stessa Consulta
[1].
In chiave solutoria la Corte Costituzionale, con la citata pronuncia, la n. 376/2004, a seguito di ricorso del Commissario dello Stato avente ad oggetto il giudizio di legittimità costituzionale sul disegno di legge n.702 dal titolo “Norma di interpretazione autentica dell’art.13 L.R.20-6-1997, n.19, approvato dall’Assemblea Regionale Siciliana il 13-11-2003, è così intervenuta per definire il giusto ambito di operatività di alcuni principi del nostro ordinamento (il divieto di retroattività, il valore della legge di interpretazione autentica
[2]) nel raccordo con altri principi di pari portata costituzionale (principio di eguaglianza, certezza del diritto, ragionevolezza
[3], principio della libertà del voto).
La questione che ha interessato i giudici costituzionali vedeva il Commissario dello Stato lamentare l’intervento del legislatore siciliano, con la previsione dell’art.13 L.n.19/97 cit., in senso assolutamente innovativo, attraverso la formula dell’interpretazione autentica
[4], rispetto alla previgente disciplina siciliana regolante i casi di ineleggibilità e di incompatibilità
[5], e perciò in deroga al divieto di retroattività della legge, prevista all’art.11 disp.prel.cod.civ.
A dire del ricorrente, il legislatore regionale avrebbe, in altre parole, determinato retroattivamente l’eliminazione delle situazioni peculiari previste dalla legge regionale 20-3-1951, n.59, spacciando per interpretazione ciò che invece era innovazione tout court.
A replica di tali asserzioni, la Regione Sicilia, costituitasi, aveva osservato che l’intento del legislatore non era stato quello di favorire una delle parti del giudizio elettorale o di disattendere un orientamento giurisprudenziale comunque isolato (Cass. n.9831/2002), bensì quello di adeguare il regime delle cause di ineleggibilità ed incompatibilità
[6] dei deputati regionali alla normativa statale di cui alla L.23-4-1981, n.154 (disciplina, questa, applicabile ai consiglieri regionali, che si affianca, parallelamente e coerentemente, con quella contenuta negli artt.55 e ss. T.U.E.L.
[7], applicabile, invece, ai candidati alle poltrone di sindaco, presidente della provincia, consiglieri comunali, provinciali e circoscrizionali).
La normativa statale, infatti, si presentava sicuramente più garantista del diritto di elettorato passivo che non la legge regionale siciliana; di tal chè, assicurando una perfetta attuazione del principio di eguaglianza, di cui all’art.3 Cost., l’introduzione dell’art.13 L.n.19/97 avrebbe comportato che, ove vi fosse stata coincidenza fra la fattispecie della legge regionale e quella della legge statale relativa a situazioni di incompatibilità, si sarebbe verificata una trasformazione di cause di ineleggibilità, previste dalla legge regionale n.29/51 (e ss.modifiche) in cause di incompatibilità, fermo restando la (permanente) vigenza delle residue cause di ineleggibilità previste dalla legge regionale.
2. Il quadro normativo di riferimento nella pronuncia della Corte Costituzionale n. 276 del 25-7-1997: la distinzione tra ente ‘sottoposto a vigilanza’ ed ente’ dipendente’ dalla Regione.
Da una lettura della sentenza n.376/2004 emerge come le argomentazioni e le conclusioni dei giudici costituzionali si pongano perfettamente in linea con l’ordine dei principi costituzionali che reggono l’ordinamento giuridico di tal chè l’uno si spiega ed è spiegato, nel rapporto armonico, con l’altro.
Tuttavia, per amor del vero, deve essere qui menzionata un ulteriore pronuncia della Corte, che, nonostante di qualche anno più indietro nel tempo, si muove su un piano logico-argomentativo diverso e parallelo rispetto a quello seguito di recente dalla Corte Costituzionale e, giunge, così, a dei risultati diametralmente opposti, in assoluta distonia rispetto alla giustificazione concettuale formulata nel 2004 e nelle pronunce citate del 1993 e del 1994.
La vicenda, sulla quale vale la pena soffermarsi, per la quale venne richiesto l’intervento della Corte Costituzionale, ancora una volta riguarda la materia elettorale ed, in particolare, vide contendersi un seggio all’Assemblea Regionale Siciliana.
In particolare, un candidato all’A.R.S., risultato primo tra i non eletti, chiese che fosse dichiarata nei confronti di un altro candidato eletto la sussistenza della causa di ineleggibilità prevista dall’art.10, 1°c., n.4, e 2°c., della L.R.20-3-1951 n.29. e ss.modifiche, per avere questi ultimo rivestito la carica di membro del Comitato Direttivo e del Consiglio di Amministrazione del Consorzio per l’Area di Sviluppo Industriale della Provincia di Agrigento, ente sottoposto per legge alla vigilanza della Regione.
Il resistente, costituitosi in giudizio, eccepì preliminarmente l’inammissibilità del ricorso del non eletto e l’infondatezza della domanda, allegando peraltro di essersi dimesso dalla carica di membro del Comitato direttivo e del C.d.A. del Consorzio poco dopo la data prevista per le votazioni; eccepì poi l’incostituzionalità della norma regionale invocata dal ricorrente, peraltro già dichiarata illegittima in parte qua con sentenza della Corte Costituzionale n.171 del 20-6-1984;
Il Tribunale sollevò la q.l.c. dell’art.10 L.r.29/51 per contrasto con gli artt.3 e 51 Cost., ritenendo ingiustificata la disparità di trattamento della situazione regolata dalla norma come causa di ineleggibilità, rispetto alla disciplina di situazioni in tutto simili dettata dalla normativa elettorale nazionale, in particolare dall’art.3 n.1 L.23-4-1981 n.154, che prevedeva al contrario una semplice incompatibilità. Ed ancora i giudici rimettenti osservarono che essendo il Consorzio ASI un ente vigilato, non sussistevano né la relazione di dipendenza tra Regione e Consorzio, né la rappresentatività esterna dell’amministratore, che, secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, fondano, nella legislazione statale, la previsione di una causa di ineleggibilità.
Con sentenza n.276 del 18-7-1997 la Corte Costituzionale dichiarò infondata la questione e il giudizio è proseguito davanti al Tribunale in una situazione per altro verso mutata dal punto di vista dei riferimenti normativi, essendo stata emanata, nelle more, la L.R.S. n.19 del 20-6-1997
[8], con cui la medesima situazione veniva considerata causa di incompatibilità e non di ineleggibilità; alla luce di questo
ius superveniens il Tribunale ritenne di dare ragione al candidato risultato eletto e rigettò il ricorso dell’altro.
Contro tale provvedimento seguì naturalmente l’appello del candidato escluso dall’A.R.S., fondato sulla presunta violazione da parte del tribunale del principio di irretroattività delle leggi stabilito dall’art.11 disp.prel.al c.c. e sul dato che la L.R.S. non contiene disposizioni analoghe a quelle previste dall’art.12 della L.154/1981, che prevede un analogo mutamento di “classificazione di alcune situazioni personali (da cause di ineleggibilità a cause di incompatibilità). Secondo l’appellante sarebbe allora stato necessario riconoscere l’ineleggibilità del suo avversario, risultato eletto, con la conseguente, integrale riforma della sentenza impugnata.
Il candidato risultato eletto, resistente in appello, chiese che la q.l.c. dell’art.10 L.29/51, nel testo anteriore alla novella (in quanto dovesse ritenersi tuttora applicabile), venisse sollevata davanti alla Corte Costituzionale.
La Corte di Appello, pronunciatasi a favore dell’appellante relativamente alla proponibilità, nei termini, del ricorso (v.art.82 D.P.R.570/1960 nel testo introdotto dalla L.23-12-1966, n.1147), ritiene anche sussistente, nel caso di specie, la causa di ineleggibilità e non già di incompatibilità per una serie di motivi
[9]; pronuncia, questa, che venne confermata dai giudici di legittimità
[10].
La Corte di Cassazione, con sentenza del 17-7-1998, ha confermato la pronuncia di appello.
Vi è chi non veda come la vicenda, se da una parte richiama all’attenzione questioni rilevanti quali quella del significato e dei limiti all’interpretazione autentica, che, in ogni caso non era stata ancora posta al vaglio della Corte Costituzionale, dall’altra ripropone la problematica dell’individuazione dell’esatta linea di confine definitoria tra “ente sottoposto a vigilanza” ed “ente dipendente” della Regione, laddove, infatti, l’una fattispecie può considerarsi più garantista del principio di salvaguardia del diritto di elettorato passivo che non la seconda.
L’iniquità e le imprecisioni nelle argomentazioni contenute nelle pronunce di appello e della Suprema Corte nonché la peculiare drammaticità dell’esperienza vissuta dal deputato escluso ingiustamente, in corso di legislatura, dal consiglio regionale siciliano sono tanto più evidenti quanto chiari sono stati gli intendimenti della Corte Costituzionale che, nel 1992
[11], ebbe a precisare che l’attuale elaborazione dottrinale e giurisprudenziale consente una sufficiente precisazione del termine ‘ente dipendente’ in relazione all’altro ‘ente soggetto a vigilanza’ (com’è nel caso in esame); la seconda situazione, infatti, integrerebbe un’ipotesi di incompatibilità e non già di ineleggibilità
[12].
Nel caso in esame
[13], essendo il Consorzio Asi un ente vigilato, non poteva configurarsi alcuna relazione di dipendenza tra Regione e Consorzio, né la rappresentatività esterna dell’amministratore che, secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, come già si è detto, fondano,nella legislazione statale, la previsione di una causa di ineleggibilità; di modo che la fattispecie sarebbe stata, quindi, riconducibile a quella regolata, per le altre regioni, dall’art. 3, numero 1 della legge n. 154 del 1981, che stabilisce una mera incompatibilità fra la cariche
[14].
Peraltro l’identità dei poteri degli amministratori dei Consorzi Asi in Sicilia e nelle altre regioni non giustificava, infatti, la diversa disciplina di fattispecie identiche
[15].
In ogni caso, anche qualora si fosse voluto ricondurre tra gli enti dipendenti, comunque l’amministratore del Consorzio Asi non poteva essere assimilato al presidente dell’Eas, sia per la diversità dei poteri connessi alle due cariche, sia per la diversità della competenza territoriale dei due organismi
[16].
3. Le spiegazioni della Corte nel 2004.
Nell’iter giurisprudenziale, che ha accompagnato la vicenda dei due candidati all’A.R.S. e che ha visto l’esclusione, in corso di legislatura di uno di questi, va in chiusura di un cerchio richiamata la sentenza n.376/2004.
In questa occasione, la Corte Costituzionale, in linea con altri precedenti, ha ribadito che “l’art.11 disp.prel.cod.civ., non può assumere per il legislatore regionale altro e diverso significato da quello che assume per il legislatore statale, con la possibilità per l’uno e per l’altro di emanare fuori della materia penale norme legislative alle quali possa essere attribuita efficacia retroattiva.” (ciò conformemente a quanto nell’ordinanza n.713 del 1988 e nella sentenza n.19-1989 della Corte Costituzionale); ed ancora: ‹‹….la giurisprudenza di questa Corte è da tempo univoca nel ritenere che
quello della ragionevolezza[17] e del non contrasto con altri valori e interessi costituzionalmente protetti costituisce il limite della potestà del legislatore di conferire efficacia retroattiva alla legge, quale che sia lo strumento (“un’ apposita norma…o l’autodefinizione di interpretazione autentica”: sentenze n.36 del 1985 e n.123 del 1988) a tal fine utilizzato; con la conseguenza che non è decisivo verificare se la norma censurata abbia carattere effettivamente interpretativo (e sia perciò retroattiva) ovvero sia innovativa con efficacia retroattiva. Infatti, il divieto di retroattività della legge –pur costituendo valore di civiltà giuridica e principio generale dell’ordinamento, cui il legislatore deve in linea di principio attenersi- non è stato tuttavia elevato a dignità costituzionale, salvo che per la materia penale la previsione dell’art.25 Cost. Quindi il legislatore, nel rispetto di tale previsione, può emanare norme con efficacia retroattiva –interpretative o innovative che esse siano- purchè la retroattività trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non si ponga in contrasto con altri valori e interessi costituzionalmente protetti” (sentenza n.374/2002; sentenze n.229 del 1999 e n.419 del 2000; ordinanza n.263 del 2002)››.
Non di meno ha affermato: ‹‹….non è dato vedere come l’eliminazione di talune cause di ineleggibilità possa limitare il diritto di accedere alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza; dall’altro lato, il carattere retroattivo di tale eliminazione non contrasta con il principio di ragionevolezza- da scrutinarsi con particolare rigore nella materia elettorale, giacchè, nel caso in esame, la legge di interpretazione autentica mira a realizzare un allineamento pressoché totale della legislazione siciliana a quella nazionale e pertanto una riduzione delle ipotesi di restrizione all’accesso alle cariche elettive in linea con il precetto di cui all’art.51 Cost., a norma della quale “l’eleggibilità è la regola, l’ineleggibilità è l’eccezione” (sentenza n.46 del 1965, conformi sentenza n.166/1972; n.5/1978; n.334/1993; n.141/1996; n.3056/2003). E ciò è sufficiente per escludere la violazione dell’art.3 Cost. ››.
4. Conclusioni.
Può oggi dirsi che il recente intervento della Corte Costituzionale è senz’altro servito a chiarire quale debba essere la giusta lettura da dare alla legge, anche se, nel dubbio sul suo significato innovativo o interpretativo, essa si trovi a regolare, con forza retroattiva, una situazione in senso più favorevole al principio che assicura il diritto di elettorato passivo per il soggetto interessato alla medesima stregua di come opera il principio del favor rei in materia penale.
Tanto più che, trovandoci in un ambito, il cui livello di protezione e tutela assicurata al soggetto è inferiore, per ovvie ragioni, rispetto a quella accordata in materia penale
[18], anche se avente, comunque, derivazione costituzionale (v.artt.2, 3 e 51 Cost), non si trovano ragioni valide per contestare l’applicazione delle norme più favorevoli (che prevedono la fattispecie come causa di incompatibilità anziché di ineleggibilità) per il soggetto con forza retroattiva.
Ed alle medesime conclusioni dovremmo giungere pur concordando con il ricorrente e con la Regione Sicilia costituitasi secondo le quali la ratio della norma più sfavorevole, deve essere individuata nel “realistico apprezzamento dello specifico ambiente in cui le elezioni regionali siciliane sono destinate a svolgersi> e nell’inopportunità di una norma di contenuto analogo a quella statale per una regione che è <tradizionalmente improntata dalla prassi del clientelismo e della sopraffazione elettorale, in un contesto degradato dalla interferenza mafiosa”.
Ed infatti il richiamo alla diversità delle situazioni, derivante dalla peculiarità della <realtà storica, culturale ed ambientale dell’isola>, che ha fondato il riconoscimento in norme costituzionali della potestà legislativa primaria in materia elettorale, lascia maturare una palese disapplicazione (rectius violazione) dell’art.3 Cost, esclude, cioè, che possano essere assicurate condizioni di eguaglianza per tutti coloro che aspirano alla carica di deputato regionale.
E ciò pur avallando il costante indirizzo dei giudici costituzionali, l’ordinamento costituzionale, secondo cui il sistema dell’ineleggibilità nelle Regioni ad autonomia particolare, regolato da leggi speciali, regionali o statali, consente una regolamentazione differenziata
[19], dato che altrimenti si priverebbe il potere legislativo della sua stessa ragion d’essere.
Vi è chi non veda come tale diversità di disciplina, pur sorretta da motivi adeguati e ragionevoli, finalizzati alla tutela di un interesse generale"
[20] o comunque correlati a condizioni peculiari locali, consente oggi di rivedere ed apprezzare gli interventi correttivi del legislatore siciliano.
L’autonomia, cioè, che ancor oggi, si è mantenuta non impedisce quindi di valorizzare l’intervento del legislatore in maniera innovativa o interpretativa, che dir si voglia, relativamente alla determinazione dei casi di ineleggibilità e incompatibilità.
Ceteris verbis, se pur volessimo negare forza retroattiva alla legge interpretativa che trasforma i casi di ineleggibilità in casi di incompatibilità, comunque dovremmo giungere alla conclusione che quei “motivi adeguati e ragionevoli” hanno perso la loro natura emergenziale che giustificava un trattamento differenziato dei casi di incompatibilità rispetto alla disciplina nazionale.
Dovremmo, ancora, convenire che la necessità di mantenere più rigorosamente separati compiti e funzioni propri di un determinato ufficio pubblico dalla candidatura al mandato elettivo diventa irragionevole così come ingiustificata risulta la preoccupazione che l’amministratore di un ente, quale il consorzio Asi, versi in una situazione che possa determinare il pericolo di alterazioni della par condicio elettorale.
Queste considerazioni risultano indissolubilmente legate alla preoccupazione che la disposizione dell’art.48 Cost. non trovi effettiva tutela.
Ed infatti se è vero che il principio della riconoscibilità del voto, che è libero per come viene riconosciuto dall’art.48 Cost., spiega, insieme alla distinzione tra casi di ineleggibilità e casi di incompatibilità, come debbano essere evitati –e perseguiti- i condizionamenti di tipo mafioso (tanto più nella Regione Sicilia in cui il fenomeno della criminalità è radicato, come si legge nella memoria di costituzione della Regione Sicilia, nel procedimento innanzi alla Corte Costituzionale del 1997, relativamente al caso del candidato prima eletto, poi escluso
[21]), d’altra parte è altrettanto vero che in giurisprudenza sono stati elaborati altri e più importanti principi, quali quello del
favor voti[22], a tutela della libertà del voto; libertà, questa, che verrebbe inevitabilmente sacrificata.
A ciò è da aggiungersi che ripetutamente la Corte Costituzionale ha avuto modo di precisare: “l’elettorato passivo assicurato in via generale dall’art.51 Cost. va considerato come diritto inviolabile sancito dall’art.2 Cost., la restrizione del contenuto del quale è ammissibile solo nei limiti indispensabili alla tutela di altri interessi di rango costituzionale, in base alla regola della necessarietà e ragionevole proporzionalità della limitazione”
[23].
Ora se è senz’altro vero che, dopo la modifica dell’art.117 Cost., si sono attenuati i contrasti e/o i confronti tra legislazione statale e legislazione di alcune regioni a statuto speciale, posto che la normativa relativa alle cause di ineleggibilità e di incompatibilità dei consiglieri regionali ricade
[24] nella potestà legislativa delle regioni, dall’altra parte è altrettanto vero che l’intervento del legislatore siciliano, con disposizioni più garantiste per il diritto di elettorato passivo e dispieganti forza retroattiva, perché interpretative, va spiegato non solo in ragione di un generale principio di coordinamento con i principi fondanti uno Stato di diritto (eguaglianza, ragionevolezza, certezza del diritto), ma anche, e soprattutto, facendo un passo indietro nel tempo : guardando, cioè, alla specialità della nostra Regione.
La specialità, infatti, va letta non come regolamentazione peggiorativa e penalizzante di situazioni regolate in senso più favorevole dalla legislazione statale, bensì come riconoscimento di una maggiore autonomia (legislativa, amministrativa, finanziaria) e di maggiori garanzie per il cittadino; laddove queste, di fatto, risultassero sacrificate non vi sarebbe più motivo di mantenere alcuna specialità.
“La specialità
[25] è una formula che riassume un trattamento differenziato e in un certo senso di favore che alcune Regioni hanno ottenuto per diverse ragioni storiche”; quale trattamento di favore può essere assicurato attraverso una legislazione più sfavorevole rispetto a quella statale e attraverso un soffocamento di quelli che sono diritti garantiti costituzionalmente?
Fuor di dubbio che constatata, soprattutto dopo la riforma dell’art.116 Cost., la permanenza di dubbi relativamente al mantenimento di un carattere di “specialità” per alcune delle nostre regioni, comunque la vicenda esaminata, che ha visto il candidato, prima eletto e poi escluso, soccombere sotto due ordini di profili giuridici, quello della disparità di trattamento rispetto alla normativa statale e quello dell’affermazione dell’impero del divieto di retroattività della legge interpretativa, a lui più favorevole, amareggia ancor di più perché la Corte Costituzionale si è pronunciata in via chiarificatrice e soddisfacente solo nel 2004, cioè troppo tardi data l’intervenuta definitività del giudicato.
Corte costituzionale, 6 dicembre 2004, n. 376Pres. Cons. c. Reg. Sicilia) È infondata la q.l.c. del disegno di legge approvato dall’Assemblea regionale siciliana il 13 novembre 2003, nella parte in cui stabilisce che l’art. 13, comma 1, l. reg. Sicilia 20 giugno 1997 n. 19 va interpretato, fin dal giorno della sua entrata in vigore, nel senso che le condizioni di ineleggibilità dei deputati dell’Assemblea regionale sono regolate, sia per ciò che concerne l’individuazione delle singole cause di ineleggibilità e di incompatibilità, sia per quanto riguarda la disciplina degli aspetti procedurali, dagli art. 2, 3 e 4 l. 23 aprile 1981 n. 154, in riferimento agli art. 3, 51 e 97 cost. (
[1] Ci si riferisce alla pronuncia n.276 del 1997.
[2] Ex plurimis v. C. Cost. 12-3-99 n. 65; C. Cost. 27-12-96, n. 418; Cons. Stato, sez. V, 30-10-97, n. 1207; C.Cost. 28-5- 99 n. 197, C.Cost., 23-4-98, n. 140.
[3] In tema v.
Caravita, Le quattro fasi del giudizio di eguaglianza-ragionevolezza, in Aa.Vv., Il principio di ragionevolezza nella Giurisprudenza della Corte Costituzionale. Riferimenti comparatistici, Milano, 1994, 259.
[4] La giurisprudenza costituzionale, secondo Verde,
L’interpretazione autentica della legge, Torino, pagg.34 e ss
., si assesta su posizioni che sostanzialmente escludono un’inammissibilità delle leggi interpretative per violazione del principio dell’irretroattività della legge. La Corte non approfondisce se la retroattività delle leggi interpretative sia o non sia apparente, ritiene che la vigente Costituzione contempli la possibilità di leggi interpretative e in quanto tali retroattive. La legge sostanzialmente interpretativa deve, a parere dei giudici della Consulta (10 novembre-23 novembre 1994, n.367), rispettare alcuni limiti, che attengono alla “salvaguardia, oltre che dei principi costituzionali, di altri fondamentali valori di civiltà giuridica posti a tutela dei destinatari della norma e dello stesso ordinamento”; tali principi e valori si esprimerebbero nella ragionevolezza della legge, nella tutela dell’affidamento “connaturato allo Stato di diritto”, e, infine, nella certezza e coerenza dell’ordinamento. “Secondo tali limiti la legge interpretativa è irragionevole se opera una disparità di trattamento, ed interferisce sul potere giudiziario se mira a paralizzare gli effetti del giudicato, ovvero se cerca di interferire su fattispecie ancora sub iudice”.
[5] Questi due istituti (in tema vedi pure
Cacciavillani, Ineleggibilità per incompatibilità funzionale: un costume di trasparenza facilmente dimenticato, nota a sent. App. Venezia 28-12-1989, in, Giur.merito 1991,637; Ciaurro, Sull’incompatibilità tra la carica di consigliere regionale e il mandato parlamentare, nota a sent. Trib. Ancona 19-11- 1985, in Giur. merito 1987,781; Davoli, Elezioni amministrative, ineleggibilità e ricorsi elettorali, Roma, 1975, 40; Dello Sbarba, Le incompatibilità alla carica di sindaco e la forma di governo comunale , nota a sent. C. cost. 20-2- 1997 n. 44, in Giur. cost. 1997,I, 425; Elia, Incertezze di concetti e di pronunzie in tema di ineleggibilità nella giurisprudenza più recente della Corte Costituzionale, in Giur.cost., 1972, 266; Gabriele, La Corte costituzionale tra ineleggibilità e incompatibilità nelle elezioni amministrative, in Foro it., 1976, 306; Girotto, Incompatibilità ed azione popolare, nota a sent. C. Cost. 4-6-1997 n. 160, in Regioni 1997, I, 939; Imarisio, La “degradazione” delle ineleggibilità a incompatibilità e la razionalizzazione giurisprudenziale del sistema delle ineleggibilità e incompatibilità amministrative, in Giur.it., 2001; Maggiora, Ineleggibilità, incompatibilità, incandidabilità nell’ente locale. Milano, 2000; Id., L’ineleggibilità dei dipendenti della regione, della provincia e del comune per i rispettivi consigli, in Stato civ.italiano 1990,676; Midiri, Precisione testuale del legislatore e controllo di ragionevolezza sulle ineleggibilità amministrative, nota C. Cost. 17-6-92 n. 280, in Giur.cost. 1992,fasc.4; Molica, Ineleggibilità ed incompatibilità del consigliere provinciale dipendente dalla stessa amministrazione, in Nuova rass. 1995, II, 524; Santacroce, Ancora sulla decadenza di diritto degli amministratori elettivi: novità e conferme nella più recente giurisprudenza della Corte costituzionale, nota a Trib. sent. Monza 26-2-96, in Giur. merito 1997,I, 359; Sirna-Sirna, Deputati regionali ed amministratori locali. Ineleggibilità ed incompatibilità. Disciplina. Quali regole?, in Nuove autonomie n1/2000; Ventura, Sull’ineleggibilità del dipendente a consigliere regionale: la Corte costituzionale "rettifica" ancora una volta la legge n. 154 del 1981, nota a sent. C.Cost. 17-11-91 n. 388, in Giur.cost. 1992, 443.; Volpi, L’ineleggibilità al Parlamento dei consiglieri regionali tra declaratoria di incostituzionalità e necessità di una nuova disciplina legislativa, nota a sent. C. Cost. 28-7-93 n. 344, in Giur. cost. 1993, II, 2695) “sono congiuntamente esaminati dalla dottrina, come congiuntamente sono disciplinati dalla legislazione”[5]; tuttavia diversi ne sono i fondamenti giuridici e diversi gli effetti. Con Bin-pitruzzella, Istituzioni di Diritto Pubblico, Torino,101, potremmo affermare che “l’ineleggibilità consiste in un impedimento giuridico a costituire un valido rapporto elettorale per chi si trova in una delle cause ostative previste dalla legge”[5]. Essa vizia, perciò, l’atto di investitura, laddove l’incompatibilità vizia l’esercizio di investitura..
[6] E’ bene precisare che l’incompatibilità, secondo V pure
Naso, La Costituzione italiana nell’interpretazione della Corte Costituzionale, Commento sistematico, art.24-54, Roma , è quella situazione giuridica in cui il soggetto, validamente eletto, non può cumulare nello stesso tempo la funzione di parlamentare con altra carica Tuttavia, trattandosi di limitazioni all’elettorato passivo, cioè ad un diritto fondamentale di un ordinamento democratico, la Corte Costituzionale ha sempre affermato che l’eleggibilità è la regola e l’ineleggibilità l’eccezione[6] a cui si può far luogo solo in presenza di validi e ragionevoli motivi (sent.42/1961). Ed ancora le cause di ineleggibilità sono considerate di “stretta interpretazione” e devono comunque contenersi entro i limiti di quanto sia ragionevolmente indispensabile per il rispetto dei valori costituzionali altrettanto degni di tutela di quelli sacrificati (sentenza n. 46/1969). Ciò deve indurre altro il legislatore a tipizzare con estrema chiarezza e precisione le singole ipotesi di ineleggibilità per evitare soluzioni applicative discriminatorie (sentenza n.166/1972).
[7] In tema v.
Maggiora, Il diritto degli enti locali, Milano, 147 e ss.; Mari, Incandidabilità, ineleggibilità e incompatibilità negli organi degli enti locali, in Giornale di diritto amministrativo, n.1/2001, 99.
[8] Il cui art.13,
Modifiche alla legge regionale 20 marzo 1951, n. 29, e successive modifiche ed integrazioni così recita: “ 1. Le condizioni di ineleggibilità previste dall’ articolo 8, con esclusione del n. 4, dall’ articolo 9 e dall’ articolo 10 della legge regionale 20 marzo 1951, n. 29 , e successive modifiche ed integrazioni, rimangono regolate dagli articoli 2, 3 e 4 della legge 23 aprile 1981, n. 154.
2. Quanto previsto nel comma 1 non si applica ai presidenti ed agli assessori di giunte provinciali, ai sindaci ed agli assessori dei comuni compresi nel territorio della Regione.”
[9] Anzitutto perché il Consorzio ASI rientra tra gli enti pubblici soggetti per legge alla vigilanza o tutela della regione, derivandone a carico degli amministratori specificatamente indicati nella norma (tra i quali i membri del C.d.A.), indipendentemente dal possesso di poteri di rappresentanza esterna, la causa di ineleggiblità all’epoca previsti dalla legge; secondo poi perchè il D.B. non ha rimosso detta causa di ineleggibilità tempestivamente (ma solo dal 20-6-1996); ancora ritiene ammissibile, data la specialità della nostra Regione, una legge regionale siciliana contrastante, relativamente alla determinazione delle cause di ineleggibilità e di incompatibilità, con la disciplina nazionale. Infine, ritiene non “trasformabile”, in forza dello
ius superveniens, la fattispecie da causa di ineleggibilità a causa di incompatibilità, per motivi che riguardano la stessa natura dei due istituti; e quindi ritiene imperante l’applicazione del principio di irretroattività di cui all’art.11 disp.prel. (cita sent.Cass.21-7-1992, n.8810, secondo cui le cause di ineleggibilità e di incompatibilità devono operare al momento delle elezioni e perciò devono essere soggette alle leggi in quel momento vigenti” ed anche Cass.civ.sez.I, 9-2-.1995 n.1465).
[10] Con sentenza del 17-7-1998.
[11] Con la sent.17-6-1992, n.280.
[12] Sul punto v.pure
Bianco, I limiti dell’elettorato passivo nella giurisprudenza costituzionale, 1975 e Corte Cost., 17-6-1992, n.280.
[13] Non di meno i giudici di legittimità, con una sentenza del 1983 (la n.2777 del 22 aprile) precisarono, anche se con riguardo alla disciplina statale, che “…..la situazione del candidato eletto consigliere regionale che rivesta la carica di amministratore di un ente soggetto a vigilanza della regione è compresa non tra le cause di ineleggibilità previste dall’art.2 della legge citata…, ma tra le cause di incompatibilità, previste dall’art.3, correlate a situazioni che, confliggendo con il corretto esercizio delle funzioni connesse alla carica elettiva, vietano all’eletto di ricoprire quest’ultima”.
[14] Osservazioni, queste, ritenute non convincenti dai giudici di merito e dalla Corte Costituzionale, che piuttosto ha avallato la tesi del ricorrente P., secondo cui
“Il Consorzio Asi, a suo avviso, in virtù delle previsioni contenute nella legge della Regione Sicilia 4 gennaio 1984, n. 1, è ente pubblico non economico, ha lo scopo di favorire gli insediamenti di piccole e medie industrie, fruisce di contributi a carico del bilancio regionale, è sottoposto alla vigilanza ed alla tutela dell’Assessore regionale all’industria e, quindi, va qualificato come ente strumentale della Regione. Il Comitato direttivo del Consorzio è, inoltre, organo titolare di poteri particolarmente intensi, astrattamente idonei a consentire ai suoi membri di esercitare la captatio benevolentiae o il metus publicae potestatis, ossia di influire sulla libera manifestazione del voto, rischio peculiarmente intenso in una provincia quale quella di Agrigento, afflitta da gravissimi problemi occupazionali ed economici.”
[15] Inoltre, la carica neppure consente di influire sulla libertà della competizione elettorale, anche in considerazione della limitata competenza territoriale del Consorzio e della circostanza che, nella specie, l’ente opera in una zona pressoché priva di industrie ed ha, quindi, un’utenza limitata; conclusione, questa, che non risultava compromessa da quelle decisioni
della Corte[15] che hanno, rispettivamente, affermato la legittimità della previsione dell’ineleggibilità a deputato all’Assemblea regionale del Presidente dell’Ente acquedotti siciliano (Eas) ed a consigliere provinciale o comunale in comuni con oltre 25.000 abitanti degli amministratori e revisori dei conti degli enti pubblici economici. La Corte aveva, infatti, qualificato il primo ente come "dipendente" dalla Regione, relazione che, anche secondo la legislazione statale, integra una causa di ineleggibilità, ma non sussisteva per il Consorzio Asi, che è invece soltanto "vigilato" dalla prima.
[16] Osservazioni anche queste disattese cui si replicava da parte della Regione Sicilia che “
la Regione, ha infatti ‘considerato rischioso, per la libertà e la genuinità delle elezioni in Sicilia, lasciare in carica amministratori di enti pubblici regionali impegnati ad assicurarsi il seggio di deputato regionale’, analogamente peraltro a quanto previsto in riferimento alla fattispecie disciplinata dall’art. 24, primo comma, della legge regionale n. 212 del 1979, giudicata legittima dalla Corte con la sentenza n. 127 del 1987” ed ancora affermando che “D’altra parte, la Corte ha già affermato in altra occasione, con riguardo alla locuzione "ente dipendente", di cui alla legge n. 154 del 1981, che "spetta al giudice ordinario l’interpretazione della norma, mentre questa Corte ha la funzione di porre a confronto la norma nel significato comunemente attribuitole o assegnatole dall’interprete con i precetti costituzionali invocati" (sentenza n. 280 del 1992).
[17] Sul canone di ragionevolezza si sofferma
Sorace, in A proposito della giurisprudenza della Corte Costituzionale sulle “ineleggibilità”, in Giur.cost., 1975, 2705, il quale ritiene costituire uno strumento per il legislatore per comprimere il diritto costituzionalmente garantito all’art.51 Cost.; il canone di ragionevolezza, cioè, sganciato da un riferimento a qualsiasi parametro oggettivo equivarrebbe ad una libertà del legislatore di limitare il diritto all’elettorato passivo dei cittadini, condizionata solo dalla necessità che le modalità della limitazione imposta siano congrue rispetto al fine che si vuole raggiungere. Allora puntualizza come “i parametri della ragionevolezza non sono costituiti dall’empirico buon senso, ma dai valori fissati nella Carta costituzionale, valori che, quando sono indicati in modo generico, sta appunto anche alla Corte di precisare con aderenza alla situazione storica, facendo così ‘vivere’ la Costituzione”.
[18] Si pensi al principio di legalità come riserva di legge, tassatività, determinatezza, irretroattività.
[19] Ex plurimis sentt n. 130 del 1987 e n. 162 del 1995.
[20] Così sent.
n. 539 del 1990.
[21] “Il legislatore siciliano –osserva testualmente la Regione- ha infatti considerato rischioso, per la libertà e la genuinità delle elezioni in Sicilia, lasciare in carica amministratori di enti pubblici regionali impegnati ad assicurarsi il seggio di deputato regionale” analogamente, peraltro, a quanto previsto in riferimento alla fattispecie disciplinata dall’art.24, 1°c., della legge regionale n.212 del 1979, giudicata legittima dalla Corte con la sentenza n.127 del 1987. La
ratio della norma deve essere individuata nel ‘realistico apprezzamento dello specifico ambiente in cui le elezioni regionali siciliane sono destinate sono destinate a svolgersi’ e nell’inopportunità di una norma di contenuto analogo a quella statale per una regione che è tradizionalmente improntata dalla prassi del clientelismo e della sopraffazione elettorale, in un contesto degradato dall’interferenza mafiosa.
[22] Per una trattazione v.
Sciarrino M., La non riconoscibilità ed univocità del voto tra sovrapposizione di norme e non univoci indirizzi giurisprudenziali, in Rass.amm.sicil.,n.3 2005.
[23] Così Corte Cost., 06-5-1996, n.141.
[24] Vedi sent.T.a.r.Lazio, sez.I, 19-11-2002, n.10132.
[25] V.
Pitruzzella, C’è un futuro per la specialità della Regione siciliana?, in Le Regioni, n.3, 2003 e, più in generale sulla specialità, anche AA.VV., La specialità siciliana dopo la riforma del titolo V della Costituzione, Atti del seminario di Palermo, 15 aprile 2002, Torino, 2003.
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