1 – Il telelavoro, quale forma di flessibilità del rapporto di lavoro, non ha preso il decollo. Ci sono criticità culturali, strutturali o cosa?
On.le Treu:
All’inizio vi è stato senz’altro un sistema di aspettative eccessive: una quindicina di anni fa si credeva che bastasse avere un pc connesso alla rete per evitare di uscire di casa al mattino e lavorare da lì comodamente evitando traffico, stress etc..; ora che c’è persino la banda larga, ci si rende conto di questo antico smisurato entusiasmo.
Un po’ di anni fa vi erano ostacoli tecnologici che si sono via via ridotti e che sono quasi completamente superati, però innegabilmente vi è un complesso di fattori che vanno al di là della tecnologia.
Ci potrebbe essere uno sviluppo maggiore del telelavoro, ma non come forma di flessibilità sostitutiva del lavoro tradizionale, bensì come forma alternativa, al pari di come avviene in altri Paesi, però per fare questo ci vuole persuasione, un cambio culturale, e soprattutto, fiducia nei rapporti di lavoro, che in questo momento non è molto alta.
Non credo avverrà mai che una fetta di lavoratori possa optare esclusivamente per il telelavoro; una scelta radicale si è compreso comportare una perdita circa gli aspetti di interazione e socializzazione cui nessun lavoratore vuole rinunciare, ovviamente quando si trova ad operare in ambienti adeguati!
Ci saranno tipi, porzioni di lavoro che potranno sfruttare al meglio le tecnologie, probabilmente con una crescita lenta ed una specificazione delle regole giuridiche, che però in parte già esistono, teniamone conto; anche se sono poco applicate!
Dott. Verbaro:
I problemi credo nascano da una mancata riorganizzazione del lavoro prima ancora che da problemi di recepimento normativo.
Possiamo riscontrare che abbiamo un quadro di norme utili ed adeguate, ma il telelavoro investendo le i.c.t., l’organizzazione e la gestione delle risorse umane contemporaneamente, richiede necessariamente una visione d’insieme che guardi alla correttezza del management complessivo, privo di autoreferenzialità. In questi anni, viceversa, abbiamo registrato una certa rigidità.
Inoltre abbiamo verificato come le innovazioni tecnologiche vengono introdotte senza guardare agli aspetti organizzativi e giuridici.
Le criticità sono, pertanto, culturali e strutturali insieme, in quanto è prerogativa (negativa) propria delle pp.aa. tradizionalmente intese, non lavorare molto sull’organizzazione, che tende a rimanere statica ed immodificabile.
Confrontarsi sul telelavoro significa investire diversi ambiti, la presentazione delle attività, del progetto, delle modalità di articolazione del lavoro, la gestione del personale, oltre che una formazione mirata: il telelavoro non si può calare dall’alto indifferentemente su qualunque pubblica amministrazione.
2 – Quali sono i comparti delle pp.aa. maggiormente preordinati ad attuare agevolmente il telelavoro?
On.le Treu:
Più che comparti vedo molti dei servizi automatizzabili delle pp.aa. che possono essere oggetto di telelavoro: penso a tutte quelle operazioni intermedie, come il trattamento dei dati degli enti previdenziali; tutta l’area ex amministrativa e documentale può rendersi agevolmente telelavorabile.
Un po’ come hanno fatto le banche.
Ovviamente mai i servizi alla persona.
Prevedo un aumento, ma lento.
Dott. Verbaro:
Quei comparti che hanno amministrazioni abbastanza articolate sul territorio, con cattiva distribuzione di personale tra nord e sud, per esempio; senz’altro quelli più articolati e complessi.
3 – Con riferimento alla contrattazione, lei crede che in futuro ci possa essere una maggiore attenzione al telelavoro?
On.le Treu:
La gestione delle risorse umane non deve essere unilaterale, la contrattazione deve essere di qualità e la concertazione vera, con rispetto dei ruoli e responsabilità, senza depotenziamenti.
La contrattazione sul telelavoro dovrà necessariamente confrontarsi con la precarietà, con la sovrapposizione di uffici oltre che con la litigiosità: quest’ultima nel pubblico impiego è talmente corposa da aver superato un contenzioso di due miliardi di controversie.
Per qualche settore vi è già un quadro di normativa leggera nazionale sul telelavoro, poi nella singola realtà ci possono essere normazioni circa il singolo profilo. Lo schema dei due livelli tradizionali di normazione può funzionare, bisogna solo metterlo in moto.
La scarsa diffusione sia nel settore privato che nel settore pubblico è anche dovuta ad una resistenza datoriale, oltre che delle organizzazioni sindacali; queste ultime perché, gestire lavoratori lontani dal luogo di lavoro e dislocati un po’ ovunque sul territorio, esige una coordinazione molto più sofisticata di quella contemporanea.
Teniamo presente che se il telelavoro fosse troppo diffuso richiederebbe una ristrutturazione complessiva dei rapporti datore – lavoratore – organizzazione sindacale.
Dott. Verbaro:
Possono prevedersi forme di incentivo, per esempio, ma rimango dell’idea che le incertezze maggiori sono quelle di natura culturale-organizzativa.E’ verso questa direzione che reputo indispensabile spingersi!
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