Una delle principali leve organizzative di ogni azienda per premiare la fedeltà e le buone performance è quella dei riconoscimenti professionali interni (sviluppo di carriera, premi retributivi, attestati simbolici, ecc.). Ogni operatore sviluppa nel tempo un processo di identificazione aziendale anche grazie a queste progressive gratificazioni.
In contesti di spiccata professionalizzazione, come si registrano nelle aziende sanitarie, esistono però numerosi ambiti e strumenti per riconoscimenti professionali esterni (società scientifiche, convegni, pubblicazioni, università, esposizione massmediale, ecc.) spesso dotati di intensità simbolica e motivazionale superiore agli stessi possibili riconoscimenti interni.
Questo comporta per l’azienda sanitaria due ordini di problemi. In primo luogo, indebolisce il potere degli strumenti di riconoscimento interni, in quanto mitigati dalla presenza di meccanismi esterni, indipendenti dalle dinamiche aziendali. Il professionista può risultare disinteressato ai riconoscimenti interni, in quanto gratificato a sufficienza da quelli esterni, e quindi poco proteso ad operare in armonia con la propria organizzazione o addirittura disponibile ad accettare elevati livelli di conflittualità. In secondo luogo, risulta particolarmente critica la gestione di livelli eccessivamente eterogenei tra i riconoscimenti interni e quelli esterni, come potrebbe essere un professionista carico di onori esterni e costantemente trascurato dall’azienda, o viceversa, un professional costantemente premiato dall’organizzazione, ma che non riesce mai a qualificarsi presso il suo mondo professionale di appartenenza. In questi casi, l’azienda si trova nel difficile dilemma se rompere la coerenza interna tra livello di identificazione e performance aziendale dei professionisti e i relativi riconoscimenti, oppure se continuare ad avere vistose differenze tra i livelli di riconoscimento interni ed esterni. Il problema è rilevante nel caso di professional, mentre non costituisce criticità nel caso di incarichi di struttura, in cui le performances attese sono di tipo gestionale e non professionali.
Logiche di gestione del sistema premiante interno
Se l’azienda sanitaria rappresenta un’organizzazione professionale, il personale è necessariamente la risorsa più strategica e diventa quindi fondamentale passare da logiche di amministrazione del personale a logiche di gestione dello stesso. Il governo del sistema premiante rappresenta uno degli strumenti fondamentali su cui agire per favorire processi di cambiamento; la variabilità delle retribuzioni, in base alla posizione di responsabilità assunta e ai risultati conseguiti, tra professionisti di livello omogeneo, è infatti uno degli strumenti più importanti dell’azienda e sembra destinato ad assumere un’importanza sempre maggiore.
In tema di percorsi di carriera interni le aziende sanitarie sono dotate di rilevanti gradi di libertà, sia rispetto ai dirigenti, sia rispetto al personale del comparto.
La politica degli avanzamenti interni deve rispettare alcune logiche e principi che nello sviluppo di questo contributo tenteremo di esaminare.
· Riconoscere che la gestione dei percorsi di carriera è intrisa di elementi valutativi soggettivi e che quindi deve prevalere il principio di responsabilità nell’assunzione di decisioni, evitando di nascondersi dietro presunti meccanismi di valutazione “oggettivi”;
· distinguere i ruoli e le funzioni attribuite dal livello di inquadramento: soprattutto in organizzazioni professionali è ipotizzabile un livello di inquadramento più alto del professional rispetto al responsabile organizzativo diretto, grazie alle competenze tecnico-specialistiche del primo a cui può non corrispondere alcun incarico organizzativo. In questo modo si riesce a spezzare la trama viziosa che vedeva i professionisti premiati con ruoli organizzativi (Borgonovi, 1996);
· in prima battuta, la posizione organizzativa assegnata può anche non coincidere con il livello di inquadramento (una funzione/posizione rilevante attribuita a un professionista con un livello più basso), valorizzando competenze e potenzialità: in questo modo si supera la logica di attribuzione degli incarichi in base ai livelli e non alle attitudini. Nel medio periodo questa distanza deve progressivamente colmarsi, perché questa asimmetria è percepita comunque come incoerente;
· le politiche di avanzamento devono essere cogestite dai responsabili intermedi, i quali devono disporre però di un budget negoziato di avanzamenti possibili, in coerenza al ruolo e alle performance della loro èquipe, per sterilizzare il pericolo di un eccesso di avanzamenti;
· gli avanzamenti possono superare la logica dell’anzianità, se si riesce comunque a definire dei percorsi di carriera condivisi e accettati dal cuore dell’organizzazione, coerentemente alla cultura che essa esprime, e a evitare di generare conflitto e demotivazione;
· nel caso dei dirigenti, i percorsi di avanzamento sono prevalentemente a tempo determinato: questo è uno strumento potente per tenere alta la tensione e la motivazione, ma, se mal gestito, può rivelarsi un boomerang;
· la leva dell’avanzamento deve essere usata con moderazione, perché è comunque uno strumento ad esaurimento (non tutti possono raggiungere il massimo), anche per mantenere nella giusta tensione il singolo, che vede ancora davanti a sé delle tappe che sente che sta per maturare.
La rotazione del personale
Le aziende sanitarie dovrebbero imparare, a ogni livello, ad attivare maggiore rotazione del personale, per favorire la crescita professionale, lo scambio infra-organizzativo ed evitare il burn out degli operatori. Questo può valere sia per il personale sanitario del comparto (per es. infermieri), sia per il personale amministrativo, ma anche per i medici. Le rotazioni devono essere pianificate, programmate, negoziate per ottenere un livello di consenso accettato. In ognuna di esse si perde qualche grado di specializzazione e competenza acquisita e si guadagna in flessibilità professionale, rinnovo delle energie, interscambio organizzativo. Le attuali rilevanti dimensioni delle aziende sanitarie permettono le rotazioni anche in contesti di elevata specializzazione. L’aspetto critico è farle percepire come premianti e liberatorie e non come punitive.
Il riposizionamento organizzativo
Le aziende sanitarie dispongono in media di qualche migliaio di dipendenti: spesso tra di essi vi sono dipendenti che per motivi storici o personali occupano dei ruoli o delle funzioni assolutamente incoerenti rispetto alle loro competenze o potenzialità (per esempio personale laureato che svolge funzioni tecnico-ausiliare oppure medici collocati all’interno di specializzazioni in cui non si riconoscono appieno). In molti di questi casi è ipotizzabile, creando valore aggiunto per l’azienda e per il dipendente, un radicale riposizionamento organizzativo (diverso dalla rotazione, dove si assolvono funzioni simili e di stesso livello in altro settore dell’azienda). Questo lavoro richiede la gestione dinamica di una banca dati curriculare dei dipendenti, che in maniera proattiva cerchi di favorire il sorgere di proposte di riposizionamento dei dipendenti, sapendo gestire e sterilizzare proposte opportunistiche, al fine di tutelare i reali fabbisogni dell’azienda.
Il problema della gestione del turnover e dell’outplacement
Le aziende sanitarie devono anche iniziare a porsi il problema della gestione del turnover e dell’outplacement, soprattutto in presenza di un numero crescente di incarichi dirigenziali a tempo determinato e dell’aumentata possibilità della mobilità interaziendale del personale. Questa funzione critica deve essere prima di tutto identificata ed esplicitata all’interno delle aziende, rappresentando un forte elemento di discontinuità e rottura, in evidente contrasto con la storica irrevocabilità degli incarichi pubblici. Il presidio attento di questa funzione può essere uno strumento di tutela del lavoratore, soprattutto quando l’alternativa è lo scontro legale o la generazione di elementi che mettano il professionista forzatamente nelle condizioni di andarsene, senza alcun strumento di supporto.
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