L’aiuto statale alla produzione cinematografica italiana: dal Fascismo alla riforma Urbani passando per gli interventi europei

L’intervento dello Stato nel settore cinematografico è stato sempre notevolissimo. I motivi dichiarati che determinano questo intervento sono molteplici: necessità di difendere un’industria giovane, prestigio nazionale, necessità di disporre di valuta pregiata e necessità di limitarne l’esodo, necessità di mantenere e di creare nuovi posti di lavoro, etc. Ma le vere ragioni consistono nel fatto che il cinema costituisce strumento potentissimo di propaganda, talché, accade che il governo tenti in vari modi di legarlo a sé; nonché nel fatto che nel settore cinematografico sono investiti ingenti capitali e circola una parte cospicua del reddito nazionale.1
Già a partire dagli anni ’20 il sostegno alle attività cinematografiche assume una dimensione organica e strutturata, e fino al ’45 l’intervento statale si svolge lungo due direttrici: a) interventi volti a favorire la produzione nazionale privata; b) partecipazione diretta dello Stato stesso alla attività cinematografica mediante creazione di enti e società da esso controllati.
Tutti i provvedimenti fino ad ora adottati dallo Stato hanno per oggetto solo l’economia dell’impresa cinematografica che per le sue necessità finanziarie fa ricorso al credito bancario.
Il nostro cinema, però, per varie cause, incontra gravi difficoltà e le imprese produttrici subiscono notevoli perdite. Per consentire la ripresa di questo settore, lo Stato intraprende il finanziamento diretto dell’industria cinematografica e con la legge 13 giugno 1935 n. 1143 interviene a favore delle imprese di produzione istituendo il meccanismo delle anticipazioni sui costi di produzioni preventivati.
Per meglio garantire il recupero delle somme anticipate dallo Stato la riscossione dei diritti di sfruttamento, sia nazionali che esteri, viene affidata alla Società Italiana Autori ed Editori (S.I.A.E.) e per dare un più adeguato sviluppo al credito cinematografico, la legge in esame prevede, all’art. 9, che con Decreto Reale possa essere costituita una Sezione Autonoma per il Credito Cinematografico presso la Banca Nazionale del Lavoro S.A.C.C. – B.N.L., per la concessione diretta di mutui, ad interessi di particolare favore, per la produzione di pellicole cinematografiche; così, nel 1935, con il r. d. l. n. 2504 viene costituita presso la B.N.L. la Sezione Autonoma per il Credito Cinematografico. Tale Sezione concede finanziamenti per il commercio di pellicole internazionali ed estere, l’esercizio di sale cinematografiche, anticipazioni su premi ed ogni altro diritto di spettanza del produttore. Il compito principale della Sezione, però, è quello del finanziamento della produzione di film nazionali in misura non superiore al 60% del costo globale del film accertato dagli organi della Sezione stessa (art. 3).
Dopo il fascismo, si passa repentinamente dall’economia diretta dal centro all’economia di mercato libero, per cui lo Stato ha maggiore difficoltà a recuperare i suoi crediti, e non vi sono più le ragioni politiche che giustificano il finanziamento di film di propaganda per i quali lo Stato era disposto a perdere le somme mutuate.
Lo Stato, o più esattamente la S.A.C.C., per cautelarsi contro impossibili insolvenze dei produttori, assicura finanziamenti solo fino al 60% del costo di produzioni ed ha il privilegio su: a) gli incassi nazionali; b) i premi governativi; c) i ricavi esteri.
Fino ai primi anni ’50, le provvidenze a favore della produzione cinematografica nazionale si risolvono, essenzialmente, nei premi, nella concessione di mutui a basso tasso di interesse e nella programmazione obbligatoria, oltre ad altre provvidenze collaterali che giovano alla produzione solo indirettamente.
Dopo vari interventi frammentati, solo nel 1965 con la legge 4 novembre n. 1213, l’intervento di sostegno economico statale, riesce a coprire l’intera gamma delle attività connesse alla cinematografia, dalla produzione e distribuzione all’esercizio.
Le provvidenze si possono distinguere in finanziarie e parafinanziarie: per le prime si pensi ai contributi in denaro, per le seconde alle agevolazioni tributarie. Oltre che dirette, le provvidenze possono essere indirette come quando vengono sovvenzionate manifestazioni o iniziative per lo sviluppo del cinema sul piano artistico, culturale e tecnico; ma le prime sono più numerose e più rilevanti.2
Presupposto per la concessione dei benefici è la dichiarazione di nazionalità, conseguente all’accertamento della sussistenza di determinati requisiti che attestino che il prodotto cinematografico in questione è prevalentemente italiano. Deroghe sono ammesse per le riprese all’estero per le coproduzioni, nonché per i film prodotti in uno dei paesi membri della CEE.
Ma la legge n. 1213, e con essa tutte le leggi di incentivazione, non statuisce degli imperativi assoluti ed incondizionati, vale a dire degli obblighi giuridici, bensì soltanto degli oneri, prevedendo per le imprese produttrici determinate scelte ed attività che ad esse si impongono solo in quanto intendano conseguire gli effetti utili previsti. Le norme di incentivazione si rivolgono solo a quelle che intendono dare alla luce film rientranti nell’astratto schema delineato dalla legge.
In sintesi, la legge “Corona”, dal nome del ministro del Turismo e Spettacolo che l’ha sostenuta non rompe con la precedente legislazione, ma tenendo conto dei risultati raggiunti introduce alcuni elementi innovativi per favorire il cinema di qualità.
La S.A.C.C. con la legge n. 1213 vede potenziate le proprie capacità d’azione: abilitata a concedere finanziamenti a medio termine ad enti, società e privati che svolgano la loro attività nel settore della produzione, distribuzione e commercio di pellicole cinematografiche nazionali alimentati da un apposito fondo di dotazione; la sezione gestisce anche fondi a destinazione speciale, due dei quali istituiti dalla legge n. 1213. Questa ha incaricato la Sezione di contribuire al pagamento degli interessi sui mutui alla produzione e di finanziare film ispirati a finalità artistiche e culturali.
Il “fondo particolare” è disciplinato dal noto art. 28 ed è stato istituito per la concessione di finanziamenti a film ispirati a finalità artistiche e culturali e come fondamentale sostegno per gli autori italiani esordienti.
La legge n. 1213 del ’65 perde però col passare degli anni ogni valenza incentivante diluendosi in un meccanismo inceppato la cui connotazione democratica si è andata trasformando in una macchina corporativa che ha appiattito imprenditorialità e creatività, perdendo spirito promozionale.
 Il dato da sottolineare è che il 24% di film finanziati con questo meccanismo non ha avuto uscita nelle sale; la disposizione creata per stimolare il debutto di giovani autori ha accentuato, invece, la tendenza del cinema italiano alla moltiplicazione di sigle produttive nate e morte intorno ad un film con una finalità più speculativa che imprenditoriale. 
Tante sono state le proposte per una nuova legge di riforma in favore delle attività cinematografiche e intense le attività di consultazione di tutte le componenti del mondo cinematografico nonché degli uffici culturali dei partiti politici, ma la legge di riforma prende corpo solo nel 1994, grazie al Governo con il d.l. n. 26 convertito, poi, nella legge n. 153.
Non si tratta ancora di una compiuta riforma della vecchia legge del 1965, ma di una serie di modifiche e di integrazioni della stessa.
La novità più rilevante consiste nell’istituzione del Fondo di Garanzia che dovrà garantire gli investimenti operati sia sul versante della produzione che distribuzione ed esportazione di opere cinematografiche nazionali di particolare livello culturale. A questi progetti la legge assegna un mutuo a tasso agevolato assistito dal Fondo di Garanzia, in misura pari al 90% dell’importo massimo ammissibile. Il suddetto fondo, insieme all’istituzione dei premi alle sceneggiature meritevoli per originalità e ricerca creativa, fa parte dell’art. 8 che sostituisce il 28 della legge n. 1213.3
La percentuale di finanziamento da parte dello Stato, regolata dalla legge n. 153 del ’94 è stata da molti considerata troppo elevata. I prodotti cinematografici d’interesse culturale e le opere prime e seconde che fruiscono del sostegno pubblico sono finanziati con percentuali che vanno da un minimo del 70% fino al 90% dei costi.
Con i finanziamenti assicurati già allo stadio di progetto, il produttore è scarsamente motivato a coinvolgere altri partners e finisce per disinteressarsi del destino del film. Le proposte vanno nel senso di far rientrare il produttore nel proprio ruolo, rubatogli da un intervento statale troppo pressante e da una struttura degli incentivi che sembra premiare la produzione dei costi piuttosto che quella dei ricavi.
 
Dall’incrocio tra la legge n. 1213 del ’65 e la legge n. 153 del ’94 venne fuori due forme fondamentali di produzione assistita: per i film d’interesse culturale nazionale e gli allora detti “articoli 8”, cioè le opere prime e seconde. Tra le due categorie, riguardo alle modalità di finanziamento, cambia solo la percentuale di “fondo perduto”che lo Stato è disposto ad erogare. L’aiuto statale consiste in un contratto di mutuo a tasso agevolato, che il produttore stipulerà con la Banca Nazionale del Lavoro, e che restituirà parzialmente. I meccanismi di finanziamento e le valutazioni delle commissioni sono sostanzialmente gli stessi sia per i film di ICN che per le opere prime e seconde dei giovani ma vi sono alcune differenze. La percentuale di finanziamento che viene erogato dipende da tre criteri, quali l’attività dal punto di vista industriale svolta dall’impresa, aspetti relativi all’occupazione ed elementi artistici e culturali del progetto. Il criterio che conta di più perché arriva a determinare un 50% del finanziamento riguarda l’attività produttiva dell’impresa, il 30% può essere influenzato dall’importanza dell’impatto occupazionale che significa tasso di italianità o europeismo del film e ciò dipende da variabili come le riprese effettuate totalmente o prevalentemente in Italia. Il sistema infatti, premia chi lavora soprattutto in Italia o nell’UE e con cast e troupe italo-europei.
Le maggiori critiche mosse a questo vecchio sistema provengono proprio dai produttori che accusano tale legislazione di affidare solo agli autori la paternità dell’intero progetto, e di conseguenza un grosso potere, escludendo quella fondamentale dialettica creativa che dovrebbe esserci tra sceneggiatore, regista e produttore. Si avverte, dunque, l’esigenza di maggiori incentivi a favore della giovane imprenditoria, impegnandosi a coniugare l’industria con l’arte, la cultura con il mercato, riservando al cinema e alla cultura cinematografica una maggiore autonomia. Si ribadisce una modifica del finanziamento sostenuto dal fondo di garanzia sostenendo un reale controllo della sua applicazione e condizionato alla ricostruzione di un effettivo e libero mercato cinematografico che rinforzi anche la produzione indipendente, e in particolar modo quella di opere destinate prioritariamente alle sale cinematografiche.4
L’intervento dello Stato attraverso i suoi enti deve essere da stimolo per la riforma del nostro cinema nella linea della qualità e dell’indipendenza sancita dal Parlamento e della Commissione dell’Unione europea; esso dovrebbe operare cercando di soddisfare al massimo la domanda culturale del pubblico evitando compromissioni consumistiche che lascerebbero il mercato con le sue concentrazioni e le sue chiusure a scapito di un maggiore pluralismo culturale.5 Fin dall’inizio lo schema di decreto legislativo si è posto come tentativo di ammodernare la legge n. 1213 del 1965 e successive modificazioni, e di giungere ad un sistema unitario e coerente perché la legge originaria ha quasi quaranta anni di vita, e l’habitat multimediale ha modificato radicalmente il sistema cinematografico (dalla produzione alla fruizione), e l’impianto normativo precedente mostra oggi tutta la sua vetustà ed inattualità.6 Il decreto ha dovuto adeguarsi agli articoli 117 e 118 della Costituzione7, per cui si è dovuto tener conto della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 secondo cui le attività di spettacolo potrebbero rientrare tra le materie di “legislazione concorrente” tra Stato e regioni, ma i confini e soprattutto le modalità di questa “concorrenza” sono ancora assolutamente confusi.
Ora il fulcro della riforma Urbani avvenuta nel 2004 è centrato sull’esigenza di sostenere aziende e progetti in grado di gestire meglio le risorse pubbliche loro affidate attraverso una filosofia creativo-commerciale attenta al pubblico. Il provvedimento, modificato con l’apporto delle categorie del cinema, dà il via alle nuove regole e i cambiamenti più rilevanti riguardano proprio la produzione. I punti di maggior rilievo, i cardini che influenzano tutto il resto sono due: il reference system e l’abbattimento al 50% del mutuo assistito dal fondo di garanzia, mutuo che sarà erogato a condizione che la società di produzione provi di aver reperito sul mercato l’altro 50%. Il reference system tiene conto dell’affidabilità imprenditoriale del produttore; i fondi saranno decisi da una sola commissione e il film stesso rappresenterà la garanzia per ottenere credito dalle banche. La proposta del fondo di garanzia abbassato al 50% nasce da due esigenze: da una parte quella di ancorare meglio i film al mercato, allo scopo di garantire ai singoli film un’accettabile visibilità perché si possano sviluppare e inverare le loro reali potenzialità economiche e culturali; la seconda esigenza, legata alla prima, era di restituire alla figura del produttore, attraverso il 50% dei diritti da commercializzare, le sue peculiari capacità imprenditoriali e ideative. Dato che l’obiettivo di questa forma è massimizzare l’efficienza nel settore8, è evidentemente risultato fondamentale fare ricorso ad alcuni criteri per decidere quali progetti favorire, nonostante rimanga ugualmente difficile la valutazione oggettiva sulla qualità di un progetto e il suo possibile successo di mercato.
Riguardo ai cortometraggi d’interesse culturale il finanziamento è pari all’intero costo dichiarato nel progetto. Il costo massimo ammissibile è di quarantamila euro, precisa il decreto attuativo. L’interesse culturale è valutato dalla Commissione per la cinematografia di cui all’art. 8 del provvedimento Urbani. Con riferimento ai nuovi autori e con lo scopo di rendere competitivo il settore cinematografico, lo Stato diventa tutore dovendo fare scelte difficili, ma cercando sempre progetti validi qualitativamente. Le somme per il cinema sono, come nella legge precedente, stanziate dal Fondo Unico dello Spettacolo (FUS) ma l’art. 12 della riforma ha soppresso i fondi speciale, particolare, di intervento, di sostegno, di garanzia creati dalle scorse legislazioni.
Riguardo alle coproduzioni si favoriscono quelle con altri paesi membri dell’Unione Europea, le quali rappresentano il futuro della produzione cinematografica. In queste ipotesi le aliquote e gli importi massimi si riferiscono all’intero costo, nel caso in cui la quota italiana sia uguale o superiore al 60%. Nell’ipotesi in cui sia inferiore al 60% il riferimento è alla sola quota italiana. E’ chiaro, dunque, che il nuovo sistema di sostegno vuole unirsi saldamente al mercato attraverso meccanismi di erogazione delle sovvenzioni legati alla produttività; ciò è soddisfatto dalle verifiche sui ritorni economici degli investimenti effettuati con le somme erogate.
Il n. 5 dell’ art. 13 esclude da ulteriori finanziamenti, per un periodo di tre anni, quell’impresa di produzione che non abbia restituito una data percentuale del finanziamento ottenuto. La stessa direzione è seguita dall’art. 10 che riguardo agli incentivi alla produzione non concede contributi per opere che abbiano realizzato nelle sale cinematografiche incassi inferiori ad un limite massimo fissato. Tale contributo, qualora sia concesso, è destinato in modo prioritario all’ammortamento dei mutui contratti per la produzione del film, mentre il residuo entra nel patrimonio dell’impresa anche al fine del reinvestimento per produrre altri film che abbiano il requisito della nazionalità di cui all’art. 5. Secondo il decreto attuativo l’importo del contributo così reinvestito non sarà computato ai fini dei costi ammissibili per i finanziamenti alla produzione previsti dall’art. 13 del provvedimento.
Il contributo dell’art. 10 è l’unico congegno automatico, tra tante modalità selettive, previsto nel nuovo sistema a favore della produzione. L’assistenza finanziaria pubblica dipende anche dall’origine del prodotto: il film infatti deve possedere il requisito della nazionalità italiana che va cercata nelle componenti artistiche e tecniche dell’opera cinematografica dettate dall’art. 5 n. 2. In Italia la nuova disciplina ha adottato la direzione più rigorosa dato che la componente nazionale deve essere esclusiva o maggioritaria sebbene esistono previsioni di deroghe per motivi artistici e per le coproduzioni (art. 5 n. 5). Collegato ad uno scopo protezionistico, il criterio della nazionalità si scontra con l’unificazione dei mercati europei e con la politica industriale comunitaria. Per reperire risorse che vadano ad integrare i finanziamenti pubblici, la legge all’art. 9 prevede la possibilità di utilizzare il “product placement”: l’inserimento di marchi e prodotti commerciali all’interno di un film ottenendo in cambio introiti pubblicitari. Il collocamento del prodotto deve essere coerente alla narrazione filmica in modo che possa essere accresciuto il valore e la riconoscibilità presso gli spettatori del film. Lo stesso decreto attuativo rimette alla contrattazione tra le parti le forme di collocamento pianificato dei marchi e dei prodotti nelle scene di un’opera cinematografica, sebbene nel rispetto di alcuni limiti: tra questi la già citata coerenza con il contesto narrativo e un avviso nei titoli di coda che informi il pubblico della presenza di tali marchi e prodotti nel film. Nessuno si illude che il product placement possa produrre grandi risultati, ma se i produttori sapranno efficacemente dialogare con le agenzie di pubblicità le risorse per il cinema potrebbero salire perché la vita commerciale di un film non si esaurisce più con il mercato di sala.
Nel provvedimento di Urbani non si prevedono meccanismi di incentivazione al finanziamento privato. Conosciuto da anni in altri paesi, il tax shelter consente sgravi fiscali anche ad imprese che operano in altri settori e che intendono reinvestire parti dei loro utili nei diversi rami dello spettacolo. La reintroduzione del meccanismo del tax shelter in Italia anche ad imprese non appartenenti al settore dello spettacolo può significare l’ingresso di grandi imprese nella cinematografia così da consentire alla produzione nazionale di disporre di capitali ingenti, richiedere una minore intermediazione pubblica ed assumere le dimensioni industriali indispensabili per operare competitivamente sui mercati internazionali.9 E’ importante che ci siano altri strumenti oltre al sostegno statale a disposizione per il finanziamento, per cui ricavare risorse sul fiscale è fondamentale e di probabile successo, soprattutto se si guarda agli altri paesi europei; l’esempio inglese dove il tax shelter ha moltiplicato di due o tre cifre nel giro di due-tre anni dalla sua introduzione il budget produttivo della cinematografia, è eclatante e da seguire.10
Un altro metodo per aiutare un settore in difficoltà è costituito dal finanziamento alle proiezioni oltreconfine. L’intervento dello Stato per la promozione e il marketing sono insignificanti per il cinema italiano all’estero, per cui esso è poco conosciuto fuori dall’Italia: il 60% delle esportazioni italiane viene proiettato in Europa, ma solo il 10-15% arriva fino ai nuovi mercati. Il provvedimento Urbani coinvolge le Regioni solamente in funzione di indirizzo e consultiva (Consulta territoriale per le attività cinematografiche) di cui all’art. 4 della legge, e con competenza solo in merito agli immobili destinati all’esercizio cinematografico (Apertura di sale cinematografiche) di cui all’art. 22. La riforma costituzionale non chiarisce, infatti, la nuova linea di confine delle competenze che vanno alle Regioni e delle competenze che restano allo Stato. I rappresentanti delle Regioni, intanto, ribadiscono che, secondo l’art. 117, potestà legislativa e funzioni amministrative in materia di spettacolo fanno capo alle Regioni in via esclusiva, mentre gli esponenti statali insistono sulle competenze generali del governo centrale e sulla necessità di un’identità culturale nazionale.
 
Nell’obiettivo comune di riscatto dall’impero americano, già negli anni ’50, si guarda all’Europa nella speranza di poter costruire un mercato cinematografico comune europeo. Il criterio della nazionalità che ha avuto la benefica funzione di alzare una barriera contro l’invadenza del cinema americano ha però impedito l’allargamento dell’industria cinematografica europea poiché siffatto sistema si contraddice con la spinta verso l’unificazione dei mercati cinematografici europei; a livello europeo il continuo pronunciarsi delle istituzioni sull’importanza dell’individualismo nella creazione cinematografica in Europa porta al fallimento di molteplici operazioni di intervento. Un fondamentale programma d’interventi europei a favore dell’industria audiovisiva denominato “Piano Media” (Measures to Encourage the Development of the Audio-visual Industry), viene presentato nel 1989 rappresentando un passo importante nell’approccio al problema e il primo programma esclusivamente comunitario. I programmi “Media” che si suddividono in una lunga serie di sottoprogrammi riguardanti ogni comparto dell’audiovisivo, sono le risoluzioni più importanti perché sostengono, promuovono, sviluppano il settore dell’audiovisivo all’interno dell’UE. A livello europeo i programmi “Media” sono basati su un punteggio minimo che deve essere raggiunto per ottenere il finanziamento. I punti sono assegnati in funzione delle risorse creative e tecniche impiegate per realizzare il film.
Nel 1988 il Consiglio d’Europa vara il fondo Eurimages per favorire le coproduzioni e la distribuzione di opere cinematografiche e audiovisive europee, frutto della collaborazione fra paesi anche non appartenenti alla Comunità. Il fondo agisce indipendentemente ma in simbiosi con il Programma “Media” sostenendo finanziariamente opere che riflettono i molteplici aspetti della società europea e che ne evidenziano l’appartenenza ad una stessa cultura; con ciò vuole proteggere l’industria cinematografica europea dalla concorrenza americana. Nel caso di lungometraggi, il requisito minimo per accedere a questo fondo è che esista un accordo di coproduzione fra almeno tre paesi e che il regista possegga una nazionalità europea. Il sostegno finanziario massimo per la coproduzione di lungometraggi, fiction e documentari non può superare il 20% del costo totale della produzione. La necessità di aumentare il livello degli investimenti e di ripartire il rischio ad essi collegato ha incentivato la realizzazione di coproduzioni europee, attraverso cui vengono ripartiti i rischi finanziari delle imprese che partecipano all’operazione. La coproduzione è un efficace strumento per la realizzazione dei progetti anche al fine di stimolare la sperimentazione di nuove idee e la realizzazione di film capaci di varcare finalmente i propri confini nazionali.11 Oggi sono 26 gli accordi di coproduzione bilaterale tra Italia e altrettanti Paesi. Ogni deroga ai parametri fissati dall’accordo è consentita per l’Italia previa l’adozione di un procedimento particolare, che consta dell’emanazione di un decreto ministeriale una volta sentita una Commissione speciale. Per coproduzioni con Paesi che non hanno firmato accordi con l’Italia, o per situazioni che vedano il coinvolgimento di tre o più nazioni, la trattativa può essere regolamentata in due modi: a) attraverso la Convenzione europea alla Coproduzione se il paese che vuole coprodurre con l’Italia ha ratificato tale Convenzione, firmata a Strasburgo nel ’92 ed è stata emanata dal Consiglio d’Europa; b) secondo l’istituto di Compartecipazione internazionale che regola ciascun caso. Gli strumenti finanziari sono offerti all’industria cinematografica ed audiovisiva europea da alcuni accordi raggiunti tra la Commissione europea ed il Gruppo BEI12 (Banca europea per gli Investimenti). Più in particolare, esistono due strumenti per il sostegno alle iniziative di piccole e medie imprese: linee di credito al settore bancario nazionale e finanziamento tramite il FEI (Fondo Europeo degli Investimenti) di fondi di capitali di rischio specializzati nel settore audiovisivo (FCR). Si prevede, ancora, il sostegno a grandi gruppi privati o pubblici, di produzione e di distribuzione cinematografica attraverso prestiti. Riguardo alle fonti dei finanziamenti comunitari, non esistono organismi autonomi che operano per l’assegnazione e gestione, ma fondi pubblici. Il finanziamento pubblico, sia nazionale che comunitario, crea il problema di definire la nazionalità del film, per individuare quali prodotti o soggetti possiedono i requisiti per partecipare ai programmi di sostegno.13 Si ripresenta il concetto di nazionalità che continua a segnare il legame tra gli obiettivi culturali e gli obiettivi economici perseguiti dalle politiche di intervento pubblico. Il successo dei programmi europei, confermano gli autori dell’audiovisivo, dipende da un miglior coordinamento con i meccanismi di sostegno nazionali; il programma “Media”, infatti, e quelli successivi dovranno essere rafforzati sul piano finanziario e riguardo agli strumenti di sostegno, per completare efficacemente le azioni degli Stati membri. Bisogna tenere sempre presente, inoltre, il ribadito obiettivo della tutela e rafforzamento della diversità delle culture così come delle tradizioni dei popoli d’Europa, e il contributo al rispetto e alla promozione della diversità culturale nel mondo.14 Tale “diversità”, richiamata dall’art. 315 del Trattato costituzionale, rende difficilmente realizzabili le misure di armonizzazione, soprattutto in considerazione della salvaguardia di quelle misure di sostegno pubblico che l’Europa non può smantellare a favore di una liberalizzazione senza regole. In considerazione, dunque, dei successi ottenuti, il Programma Media Plus è stato prolungato fino al 31 dicembre 2006, e in virtù del suo prolungamento e della nuova estensione dell’Europa a 25 Paesi membri, sono stati disposti degli stanziamenti aggiuntivi. Il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione europea hanno però, già deciso il successivo programma Media 2007 di sostegno al settore audiovisivo europeo, valido per il periodo compreso tra il 1° gennaio 2007 e il 31 dicembre 2013. Gli obiettivi del programma, oltre alla ovvia valorizzazione della diversità culturale dei paesi europei e del dialogo tra le culture, sono l’accrescimento della circolazione delle opere europee all’interno e all’esterno dell’Unione europea e il rafforzamento della concorrenzialità dell’audiovisivo europeo in un mercato dell’Europa più aperto. Si sostiene lo sviluppo, la distribuzione e la promozione delle opere audiovisive europee con una dotazione finanziaria, per il periodo suddetto, di 1.055 milioni di euro, e ciò segna un forte impegno per l’Unione nel settore audiovisivo. L’azione comunitaria interverrà a livello delle fasi di preproduzione e di post produzione con stanziamenti annuali autorizzati dall’autorità di bilancio entro i limiti delle prospettive finanziarie. Per riappropriarsi di un mercato unico che per gli americani è una vecchia realtà, gli operatori del settore dovranno affrontare un cammino lungo dal quale dipenderà l’avvenire del cinema europeo, ma anche una parte del futuro economico del continente.  
    
 
*Testo tratto da: V. Formuso, “Il sostegno alla produzione cinematografica: finanziamenti statali e risorse aggiuntive”, 2005.
 
1 L. Favilli, “Lo Stato e il cinema”, 1961.
2 A. Fragola, “La legislazione italiana sulla cinematografia”, 1982.
3 B. Corsi, “Con qualche dollaro in meno. Storia economica del cinema italiano”, 2001.
4 Da un documento finale di una manifestazione organizzata dall’associazione nazionale degli autori cinematografici insieme a tutte le forze del cinema, GULLIVER, maggio 2003.
5 B. Torri, “L’opzione culturale”, GULLIVER, febbraio 2004.
6 GULLIVER, novembre-dicembre 2003.
7 Tali articoli precisano la nuova distribuzione di competenze tra stato e Regioni in seguito alla legge costituzionale 18 Ottobre 2003, n.3 che ha portato alla revisione del Titolo V della Costituzione.
8 L’art. 1 al comma 1 afferma che le “attività cinematografiche sono riconosciute di rilevante interesse generale, anche in considerazione della loro importanza economica ed industriale.
9 A.M. Bagnasco, “ Analisi economica della nuova legge sul cinema”, 2004
10 G. Profita, “Risorse per il cinema”, GULLIVER, febbraio 2003.
11G. Pedde, “Coproduzioni europee: funzionano così”, in “Rivista del cinematografo e delle comunicazioni sociali”, febbraio 1994.
12 Il gruppo Bei è composto dalla banca europea degli investimenti e dal fondo europeo d’investimento.
13 F. Perretti, G. Negro, “Economia del cinema”, Etas Libri 2003.
14 Conferenza sull’audiovisivo, GULLIVER, maggio 2004.
15 “L’Unione rispetta la ricchezza della sua diversità culturale e linguistica e vigila alla salvaguardia e allo sviluppo del patrimonio culturale europeo”.

Formuso Maria Vittoria

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento