La realtà del diritto esige che le situazioni giuridicamente rilevanti siano riconoscibili all’esterno, in modo tale da ingenerare nei soggetti che vi si imbattano la corretta percezione dei diritti e degli obblighi ad esse connessi.
Soltanto attraverso la esatta attribuzione di una qualità giuridica ad un soggetto è infatti possibile ricollegarvi le relative conseguenze sul piano giuridico.
Di contro, la falsa convinzione circa i requisiti giuridici di un soggetto o di una situazione può comportare una rappresentazione inesatta della relativa realtà giuridica, con conseguente affidamento dei terzi negli effetti che il legislatore ricollega alla presenza di questo o di quel requisito.
Per tale ragione, in alcune fattispecie normative il legislatore si è preoccupato di apprestare adeguata tutela al soggetto che, confidando incolpevolmente in una solo apparente qualità giuridica di un altro soggetto, sia venuto con questo in rapporti giuridici; in alcune fattispecie codicistiche la volontà normativa si è mossa infatti nel senso di evitare il nocumento che possa derivare ad una parte dalla solo apparente sussistenza di alcune caratteristiche giuridiche nella controparte.
Si pensi, a titolo esemplificativo, alla situazione disciplinata dall’art. 534 c.c.: il secondo comma della norma in questione fa salvi i diritti acquistati dai terzi in buona fede per effetto di convenzioni a titolo oneroso concluse con l’erede “apparente”; soggetto, quest’ultimo, che trovandosi nel possesso dei beni ereditari pur senza titolo, tuttavia ne dispone, ingenerando nei terzi la convinzione che egli sia effettivamente erede del de cuius..
Ancora, il codice civile, in materia di obbligazioni, detta una norma di notevole importanza a tutela del debitore che esegua il pagamento a favore del creditore apparente: l’art. 1189 c.c. sancisce infatti la liberazione del debitore che effettui il pagamento a favore del soggetto che appaia “legittimato a riceverlo in base a circostanze univoche”. Il secondo comma completa la disposizione stabilendo a carico del creditore apparente l’obbligo di restituzione al vero creditore di quanto indebitamente ricevuto.
Il legislatore, di fronte a situazioni di apparenza del diritto, sembra dunque agire in una duplice direzione: da un lato tiene indenne da ricadute patrimoniali il soggetto che incolpevolmente subisce le conseguenze negative di una non effettiva sussistenza della situazione nella quale aveva riposto affidamento; dall’altro colpisce il soggetto che crea la situazione di apparenza, obbligandolo a ristorare i terzi incolpevoli dai pregiudizi patiti.
Il fenomeno dell’apparenza del diritto non ha risparmiato neppure il settore del mercato dei valori mobiliari, che nell’ultimo ventennio ha visto aumentare in maniera esponenziale il suo volume nel mondo economico tanto da indurre il legislatore italiano a conferire una disciplina organica alla materia.
Il decreto legislativo n. 58/1998 ha infatti disciplinato l’intermediazione finanziaria, pratica economica finalizzata alla gestione del risparmio attraverso l’investimento nei mercati mobiliari.
L’apparenza del diritto ha riguardato, in particolar modo, i profili di responsabilità dei soggetti giuridici abilitati all’attività di intermediazione in concorso con i promotori finanziari incardinati presso gli stessi.
Si è infatti spesso presentata al cospetto degli operatori la fattispecie avente ad oggetto la richiesta di risarcimento del danno da parte dell’investitore nei confronti del promotore finanziario solo apparentemente dipendente da un soggetto abilitato a svolgere attività di intermediazione. Si tratta, in altre parole di casi nei quali il cliente, al fine di realizzare gli utili di investimento, versa somme pecuniarie ad un promotore che solo apparentemente agisce per conto di un soggetto abilitato.
Orbene, la responsabilità dei soggetti che svolgono attività di intermediazione e dei promotori utilizzati per l’offerta fuori sede dei prodotti finanziari è disciplinata dall’art. 31 del decreto legislativo 58/1998.
La norma, dopo aver fornito la nozione tecnico-giuridica della figura del promotore, ne disciplina la responsabilità conseguente ai danni arrecati ai terzi, fissando a suo carico una responsabilità solidale con il soggetto abilitato che gli conferisce l’incarico.
Ma v’è di più: il regime di responsabilità solidale persiste anche se i danni provocati dal promotore siano conseguenti ad una sua accertata responsabilità di tipo penale.
Il nesso che lega l’attività del promotore interposto a quella del soggetto interponente non viene reciso quindi neanche a seguito dell’accertamento della responsabilità penale del primo.
Chiara sembra la ratio della norma: estendere quanto più possibile l’area patrimoniale aggredibile dall’investitore al quale siano derivati danni dall’attività svolta dal promotore per conto del soggetto interponente.
Senonchè, come pocanzi rilevato, nella pratica giuridico-commerciale accade non di rado che il promotore sia soltanto in apparenza legato al soggetto interponente.
A tal proposito ci si è domandato se ed in quali casi debba essere considerato solidalmente responsabile con il promotore il soggetto abilitato all’attività di intermediazione.
Ai fini della corretta delimitazione dell’area di responsabilità del soggetto dal quale il promotore finanziario dipende occorre operare una premessa in ordine alla conoscibilità, da parte dei terzi, dell’effettiva dipendenza del promotore dal soggetto.
Il quarto comma dell’art. 31 del decreto legislativo 58/1998 prevede che presso la Consob è istituito l’albo unico nazionale dei promotori finanziari, alla tenuta del quale contribuiscono gli stessi soggetti abilitati all’attività di intermediazione. L’onere di pubblicità assolto dall’iscrizione dei promotori all’albo svolge, tra le altre funzioni, quella di garantire ai terzi la veridicità della posizione professionale del promotore rispetto al soggetto interponente, con il conseguente richiamo ai profili di responsabilità di quest’ultimo.
Alla luce di tale premessa possono iniziarsi a discernere le ipotesi nelle quali il soggetto abilitato può essere chiamato a rispondere dei danni provocati dall’attività del promotore da quelle, nelle quali, al contrario, il soggetto va esente da qualsiasi responsabilità.
In linea di principio può dirsi che il soggetto interponente deve essere chiamato a rispondere in solido con il promotore in tutti quei casi in cui, con il suo comportamento, ha contribuito a creare l’apparenza giuridica della posizione professionale del promotore: ciò si verifica quando, ad esempio, il soggetto abilitato abbia omesso di provvedere alla cancellazione dall’albo professionale del promotore esonerato dall’incarico, ovvero quando non abbia provveduto a ritirare al promotore i segni esteriori del suo incarico (tesserini o qualsiasi altro documento attestante la posizione professionale del promotore).
Per converso il soggetto abilitato dovrebbe andare esente da responsabilità in tutte quelle ipotesi nelle quali abbia tenuto un comportamento tale da garantire ai terzi, nei limiti delle sue possibilità giuridiche e logiche, la conoscibilità della posizione del promotore.
E’ chiaro, infatti, che laddove l’ente preponente abbia correttamente pubblicizzato l’interruzione del nesso di immedesimazione con il promotore, l’aggravio di responsabilità patrimoniale non appare giustificato. Invero, se l’obbligo di informazione da parte del soggetto preponente risulta correttamente adempiuto, grava quindi sul cliente che non si è avveduto della solo apparente posizione del promotore il rischio di un illecito di quest’ ultimo.
In conclusione può dirsi che il rafforzamento di tutela del cliente attraverso la previsione di un regime di responsabilità solidale tra il soggetto abilitato ed il promotore sembra giustificato nella misura in cui entrambi i soggetti abbiano concorso a determinare la situazione di apparenza; mentre è esclusa la responsabilità del preponente in caso di sua estraneità ai fattori che hanno ingenerato l’incolpevole affidamento dei terzi.
A delineare i profili della responsabilità del cosiddetto promotore “apparente” e della società preponente di appartenenza contribuisce una recentissima pronuncia della Suprema Corte, la n. 8229/2006. La decisione costituisce un esempio di applicazione dei principi in materia di apparenza del diritto, fenomeno che, come detto, si verifica laddove la presenza solo fittizia di un carattere giuridico attribuito ad una situazione o ad un soggetto determina l’affidamento dei terzi negli effetti giuridici ricollegabili a quel carattere. I pregiudizi derivanti da tale affidamento, quando si accerti che esso sia incolpevole, ricadono sui soggetti che hanno contribuito al determinarsi della situazione di apparenza giuridica, con conseguente addebito di responsabilità in capo agli stessi.
Il casus decisus riguarda l’accertamento della responsabilità di una società di intermediazione mobiliare in ordine al comportamento illecito tenuto da un promotore da essa “apparentemente” dipendente nei confronti di un cliente, che, versate al promotore le somme occorrenti per un investimento, era stato pregiudicato dalla mancata esecuzione dell’investimento da parte del promotore.
Adite le vie legali per ottenere la condanna in solido del promotore “apparente” e della società di intermediazione al risarcimento dei danni in misura pari all’importo complessivo degli assegni a suo tempo versati maggiorato degli interessi convenzionali di cui avrebbe beneficiato se gli investimenti fossero stati eseguiti nei termini convenuti, il cliente risulta vittorioso in entrambi i gradi di giudizio di merito e ottiene la conferma della condanna anche nella pronuncia di legittimità.
La Cassazione è chiamata a dare risoluzione a tre questioni: in primis, se sussistano, nel caso in esame, di estremi di una colpa esclusiva o concorrente del cliente danneggiato dall’illegittimo comportamento del promotore finanziario, del cui illecito la società d’intermediazione preponente è stata chiamata a rispondere; in secondo luogo se sussista una situazione di apparenza del diritto, colpevolmente imputabile alla società d’intermediazione, in forza della quale quest’ultima debba esser tenuta responsabile anche della condotta illecita posta in essere dal promotore dopo la cessazione del rapporto tra la società ed il promotore medesimo; infine, se sia attribuibile al cliente, a titolo di risarcimento, una somma comprensiva degli interessi convenzionali che lo stesso cliente avrebbe percepito ove l’investimento da lui disposto fosse stato eseguito nei termini contrattualmente convenuti.
Le statuizioni espresse dalla Corte debbono inquadrarsi nel contesto normativo applicabile, ratione temporis, al caso di specie: la L. n. 1 del 1991, art. 5, comma 4 (poi sostituito dal D. Lgs. n. 415 del 1996, art. 23 e quindi dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 31, comma 3) pone a carico dell’intermediario la responsabilità solidale per gli “eventuali danni arrecati a terzi nello svolgimento delle incombenze affidate ai promotori finanziari anche se tali danni siano conseguenti a responsabilità accertata in sede penale”.
Orbene, per quanto concerne la prima questione, quella relativa al possibile concorso del fatto colposo del danneggiato ex art. 1227 c.c., gli ermellini ritengono che nel caso di specie non sussista né collusione tra cliente e promotore, né quanto meno una consapevole e fattiva acquiescenza del cliente alla violazione, da parte del promotore, di regole di condotta su quest’ ultimo gravanti, circostanze che avrebbero giustificato un’attenuazione della responsabilità del promotore e della società di intermediazione. Invero, secondo quanto deciso dalla Suprema Corte, la mera considerazione che il cliente abbia consegnato al promotore finanziario somme di denaro con modalità difformi da quelle con cui quest’ultimo sarebbe stato legittimato a riceverle non vale, in caso d’indebita appropriazione di dette somme da parte del promotore, ad interrompere il nesso di causalità esistente tra lo svolgimento dell’attività del promotore finanziario medesimo e la consumazione dell’illecito, e quindi non preclude la possibilità d’invocare la responsabilità solidale dell’intermediario preponente.
Il secondo problema, riguardante la configurabilità del concorso della società preponente nella creazione della situazione di apparenza giuridica che aveva dato luogo all’incolpevole affidamento del cliente nelle qualità professionali del promotore, viene risolto positivamente.
I giudici di legittimità ritengono che l’applicazione dei principi elaborati dalla giurisprudenza in tema di apparenza del diritto comporti un addebito di responsabilità solidale a carico della società preponente: un intermediario finanziario può esser chiamato a rispondere di un illecito compiuto in danno di terzi da chi appaia essere un suo promotore, ed in tale apparente veste abbia commesso l’illecito, ogni qual volta l’affidamento del terzo risulti incolpevole ed alla falsa rappresentazione della realtà abbia invece concorso un comportamento colpevole (ancorche’ magari solo omissivo) dell’intermediario medesimo. In particolare, si è ritenuto che nel caso in esame la società avesse contribuito al determinarsi dell’apparenza giuridica in base alla considerazione che essa avrebbe dovuto diligentemente comunicare la cessazione del proprio rapporto con il promotore a chi, come il cliente in questione, aveva avuto nel tempo una serie di ripetuti contatti contrattuali con detta società per il tramite di quel promotore ed era perciò logicamente incline ad identificare in costui appunto un promotore di quella società d’intermediazione. Difatti, pur non potendosi pretendere che l’intermediario informi della cessazione del rapporto di preposizione tutti coloro che in passato siano entrati in qualche modo con lui in contratto per il tramite del promotore cessato, un tale dovere d’informazione è invece configurabile nei confronti di coloro i quali, essendosi sempre e ripetutamente avvalsi del promotore poi dimissionario, hanno intrattenuto rapporti con la società d’intermediazione in un arco di tempo che ragionevolmente può far supporre la loro attitudine ad effettuare ulteriori investimenti per il tramite di quel medesimo promotore.
Anche la terza questione, quella inerente alla estensione del quantum del risarcimento anche agli interessi convenzionali non riscossi per effetto della mancata esecuzione dell’investimento, viene risolta a favore del cliente: la violazione, da parte di un soggetto cui una determinata somma era stata affidata, dell’obbligo di investirla conformemente alle disposizioni ricevute, comporta il dovere di tenere indenne il creditore da tutti i pregiudizi patrimoniali subiti, compresa la misura degli interessi che questi avrebbe percepito qualora le somme da lui affidate al promotore fossero state impiegate come dovevano.
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