(1 Premessa – 2 Il fatto – 3 La raccolta dei dati presso i soggetti interessati 3.1 L’obbligo dell’informativa – 3.2 Spunti per l’adottando codice di deontologia circa l’obbligo di informativa – 3.3 Casi specifici di raccolta dei dati presso il soggetto interessato – 4 Il diritto di opporsi al trattamento dei dati – 5 Conclusioni)
1 Premessa
Nel mondo investigativo ha suscitato molto clamore la decisione della Corte di Cassazione dell’agosto del 2005 che, per la prima volta, si è pronunziata sul difficile bilanciamento del diritto alla privacy con il diritto alla difesa. La tematica non è nuova, invece, ai giudici di merito seppur va evidenziato come l’importanza della decisione dei giudici di piazza Cavour risieda sia nell’autorevolezza della fonte da cui promana sia nel principio di diritto che essa sembrerebbe aver voluto affermare e consistente, in termini sintetici, nella prevalenza del diritto alla privacy sul diritto alla difesa.
Verosimilmente la pronunzia della Cassazione, sulla quale ci si accinge ad esporre un conciso commento, inciderà profondamente sul Codice delle investigazioni difensive, da adottare ai sensi dell’art. 135 del Codice privacy (1), i cui lavori sono stati recentemente ripresi dal Garante per la protezione dei dati personali e dalle Associazioni di categoria lo scorso febbraio 2006 (2).
2 Il fatto
I fatti sui quali la Cassazione si è espressa risalgono ai primi anni del 2000 e concernono la presentazione di un rapporto investigativo nell’ambito di un giudizio arbitrale attivato da parte di una società per far valere la violazione del patto di non concorrenza che avrebbe avuto luogo ad opera di un ex dirigente. Quest’ultimo ha adito il Garante per la protezione dei dati personali al fine di ottenere la cancellazione dei suoi dati personali nel rapporto investigativo o, in subordine, il blocco degli stessi stante la violazione, a suo parere, del principio del consenso richiesto quale condizione di legittimità del trattamento, in mancanza, nel caso concreto ed a suo dire, di altre condizioni di equipollenza del consenso.
La società di investigazione e le committenti del rapporto difensivo, costituendosi in giudizio, hanno, invece, evidenziato la piena liceità del trattamento tenuto conto che il trattamento dei dati del soggetto investigato era stato effettuato per esigenze di natura difensiva e che durante il periodo necessario a far valere un diritto in giudizio il diritto di opposizione del soggetto interessato viene differito.
Il Garante ha accolto, parzialmente, il ricorso del soggetto investigato/interessato rappresentando, per un verso, che la finalità difensiva può essere ravvisata anche nel caso in cui il giudizio pende innanzi ad un collegio arbitrale per cui era corretta la tesi dell’investigatore privato e delle società committenti circa la non necessità di raccogliere il consenso del soggetto interessato per poter procedere al trattamento dei suoi dati.
Per altro verso, l’Authority privacy ha evidenziato come vi sarebbe stata una violazione del principio di trasparenza dei dati poiché l’investigatore avrebbe omesso di rilasciare al soggetto investigato l’informativa privacy prevista dall’abrogato art. 10 Legge 675/1996, ora art. 13 del Codice privacy (3).
Detto obbligo di informativa, infatti, sussiste nel caso di trattamento dei dati per finalità difensive qualora la raccolta delle informazioni venga effettuata direttamente presso il soggetto interessato/investigato. In caso di raccolta dei dati presso soggetti terzi per fini di carattere difensivo non è necessario procedere né alla raccolta del consenso del soggetto interessato né, tanto meno, ad informarlo: appare quindi evidente come in siffatte ipotesi il legislatore abbia inteso affermare la prevalenza del diritto alla difesa rispetto al diritto alla riservatezza seppur con talune precisazioni concernenti relative al trattamento dei dati relativi alla salute per fini di carattere difensivo
L’Authority privacy procedeva, pertanto, all’emissione di provvedimenti inibitori sia nei confronti dell’investigatore privato che nei confronti delle società clienti. La decisione del Garante veniva impugnata innanzi al Tribunale di Bergamo che confermava il provvedimento del Garante privacy evidenziando come la compressione del diritto di opposizione del soggetto interessato possa ravvisarsi limitatamente al periodo di tempo necessario per far valere un diritto in giudizio e, nella specie, fino al tempo della raccolta dei dati da parte dell’investigatore, decorso il quale non vi sarebbe più alcun diritto investigativo da tutelare. In altri termini, intervenuta la produzione in giudizio del rapporto investigativo non esisteva più alcun motivo per differire l’esercizio del diritto di opposizione dell’interessato considerato che l’esigenza difensiva era già stata salvaguardata.
Il Tribunale di Bergamo, inoltre, in relazione all’asserita illiceità del trattamento dei dati per mancato rilascio dell’informativa al soggetto investigato, enunziava il principio secondo cui “debbono considerarsi raccolti presso il soggetto interessato (anche) quei dati la cui fonte di apprendimento sia, comunque, l’interessato, sia che questi ne abbia o meno la consapevolezza ed a prescindere dai metodi utilizzati, atteso che non sono comunque terze persone a comunicarli all’investigatore” e presumeva che le trascrizioni delle conversazioni durate circa sette ore in luoghi aperti al pubblico dovessero escludere che la modalità di apprendimento fosse costituita dall’apprendimento occasionale da parte di terzi presenti in loco.
La tesi del Tribunale di Bergamo sembra, peraltro, essere stata confermata dai provvedimenti del Garante per la protezione dei dati personali relativi alla raccolta, da parte del datore di lavoro, dei dati di navigazione in rete dei dipendenti. Con due distinti provvedimenti, risalenti al febbraio ed al maggio del 2006, infatti, l’Authority ha ribadito che la liceità del trattamento dei dati inerenti la navigazione in rete dei dipendenti, eseguito per la finalità di difesa del datore di lavoro, è subordinata alla circostanza che quest’ultimo abbia effettivamente informato di queste specifiche finalità e modalità di trattamento dei dati gli stessi dipendenti (4).
In mancanza dell’adempimento di un siffatto onere informativo i dati dei dipendenti non potranno essere utilizzati stante il divieto previsto nell’art. 11, comma 2, del Codice privacy che, appunto, prevede la non utilizzabilità dei dati trattati in violazione di legge (5).
Anche nei casi sopra citati, implicanti la raccolta dei dati, anche generatisi in automatico, relativi alla navigazione in rete dei dipendenti, il Garante ha evidenziato il diritto dei dipendenti di essere informati pur laddove la raccolta avvenga per finalità difensive, al pari di quanto previsto nell’ipotesi di raccolta di dati per fini difensivi mediante investigatori privati.
Ad ogni modo andrà analizzato, caso per caso, la specifica modalità di raccolta al fine di verificare se la stessa si configuri come una raccolta presso il soggetto interessato (come, appunto, per l’ipotesi di raccolta dei dati presso il suo PC o raccolta delle informazioni direttamente presso lo stesso) oppure tramite terzi.
Il provvedimento del Tribunale di Bergamo è stato impugnato da parte della società di investigazione con un unico motivo di ricorso articolato nei seguenti profili:
1) mancato riconoscimento del differimento del diritto di opposizione per tutto il periodo di tempo necessario a far valere in giudizio il diritto alla cui tutela sono finalizzate la raccolta ed il trattamento dei dati, vale a dire, fino al momento della decisione della controversia con il lodo arbitrale;
2) la raccolta dei dati sarebbe stata effettuata in luogo aperto al pubblico e detta circostanza avrebbe, pertanto, importato una rinunzia tacita al diritto alla privacy;
3) le informazioni riportate nel rapporto investigativo sarebbero state apprese, tramite interposta persona, il giorno successivo a quello dell’incontro e, quindi, mediante una raccolta dei dati presso terzi per la quale non è necessario procedere al rilascio dell’informativa in presenza di un’esigenza di natura difensiva.
I giudici di legittimità, con la sentenza n. 15076/2005, si sono pronunziati esclusivamente in ordine al primo profilo di ricorso inerente l’individuazione del periodo di differimento del diritto di opposizione del soggetto interessato a tutela del diritto di difesa di terzi ed hanno condiviso la decisione dell’Authority privacy, confermata dal Tribunale di Bergamo, che avrebbe operato un equo bilanciamento tra il diritto alla tutela dei dati personali del soggetto investigato con l’opposto diritto alla difesa del soggetto che intende avvalersi, in giudizio, dei dati raccolti con lo strumento investigativo.
La Cassazione, pertanto, ha ritenuto di non poter condividere la tesi proposta dalla società di investigazione, finalizzata a vedere ampliato il lasso temporale di compressione del diritto di opposizione.
Gli altri due motivi di ricorso sono stati dichiarati inammissibili dalla Corte di Cassazione poiché la stessa ha correttamente rappresentato alla società investigativa ricorrente che la loro eventuale trattazione non avrebbe consentito di riformare la sentenza del Tribunale di Bergamo. La società investigativa, infatti, aveva omesso di impugnare la sentenza dei giudizi di merito nella parte in cui avevano presuntivamente ritenuto che la raccolta dei dati fosse stata effettuata presso i soggetti interessati a causa della lunghezza delle trascrizioni, circostanza quest’ultima che, da sola, avrebbe consentito di supportare la decisione dei giudici bergamaschi pur in caso di accoglimento degli altri due profili del ricorso.
3 La raccolta dei dati presso i soggetti interessati
Allo stato, pertanto, non esiste alcun orientamento dei giudici di legittimità riguardo la circostanza che maggiormente interessa le società investigative vale a dire una definizione certa della “raccolta dei dati presso l’interessato” seppur sembra andarsi consolidando l’indirizzo affermato dal Garante per la protezione dei dati personali come si vedrà a breve.
3.1 L’obbligo dell’informativa
La questione assume un rilievo predominante considerato che, come si è avuto modo di anticipare, il soggetto investigato ha il diritto di essere informato della qualità del soggetto che procede alla raccolta dei dati, della natura facoltativa del conferimento dei dati e delle altre circostanze indicate dall’art. 13 del Codice privacy qualora le informazioni vengano raccolte direttamente presso il medesimo, seppur per soddisfare esigenze di natura difensiva.
In caso di raccolta di dati presso terzi, invece, non si è tenuti ad adempiere all’obbligo dell’informativa qualora i dati vengano utilizzati per finalità difensive. L’art. 13, commi 4 e 5, del Codice privacy, infatti, recita:
“ 4 Se i dati personali non sono raccolti presso l’interessato, l’informativa di cui al comma 1, comprensiva delle categorie di dati trattati, è data al medesimo interessato all’atto della registrazione dei dati o, quando è prevista la loro comunicazione, non oltre la prima comunicazione.
5. La disposizione di cui al comma 4 non si applica quando: [ omissis] b) i dati sono trattati ai fini dello svolgimento delle investigazioni difensive di cui alla legge 7 dicembre 2000, n. 397, o, comunque, per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, sempre che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento”.
L’obbligo di informativa previsto dal Codice privacy in caso di raccolta presso il soggetto interessato per il trattamento preordinato a soddisfare esigenze difensive, risponde, peraltro, pienamente al dettato della Legge 397/2000 sulle indagini difensive in ambito penale e, sotto questo profilo, appare inverosimile che in sede di lavori per la preparazione del Codice deontologico per il trattamento avente finalità difensive (indirizzato ai difensori ed al mondo investigativo), il menzionato principio possa essere sovvertito. L’art. 391 bis del c.p.p. introdotto dalla menzionata legge, infatti, prevede che gli investigatori privati in fase di raccolta di informazioni nell’ambito di indagini difensive penali siano tenuti ad informare le persone che possono riferire circostanze utili sui fatti, tra l’altro, della propria qualità e dello scopo del colloquio, dell’obbligo di dichiarare, se sono sottoposte ad indagini o imputate nell’ambito del medesimo procedimento o in un procedimento connesso nonché della facoltà di non rispondere alle domande e di non rendere dichiarazioni (6).
3.2 Spunti per l’adottando codice di deontologia circa l’obbligo di informativa
Ad onor del vero va, ad ogni modo, rilevato che il citato obbligo di informativa se per un verso risponde al principio di trasparenza costituente uno dei capisaldi della normativa data protection, per altro verso vanifica il potere investigativo del soggetto (eventualmente) danneggiato, risolvendosi detta circostanza in un vantaggio, certamente ingiustificato sul piano quanto meno del diritto naturale, per i soggetti autori di fatti illeciti siano essi di tipo penale o civile.
Sarebbe, pertanto, opportuno che in sede di redazione del codice di deontologia sul trattamento eseguito per fini di carattere difensivo venga inserita quanto meno una norma inerente l’obbligo dell’informativa di tenore analogo a quanto già previsto nel codice per i giornalisti laddove, all’art. 2 del Codice deontologico approvato il 29 luglio 1998, viene stabilito: “ Il giornalista che raccoglie notizie per una delle operazioni di cui all’art. 1, comma 2, lett. B) della legge 675/1996 (leggi trattamento dei dati personali) rende note la propria identità, la propria professione e le finalità della raccolta salvo che ciò comporti rischi per la sua incolumità o renda altrimenti impossibile l’esercizio della funzione informativa, evita artifici e pressioni indebite. Fatta palese tale attività, il giornalista non è tenuto a fornire gli altri elementi dell’informativa di cui all’art. 10, comma 1, della legge n. 675/1996.” In altri termini anche per l’attività investigativa privata preordinata al perseguimento di finalità di carattere difensivo (stante la garanzia costituzione di tale diritto), andrebbe prevista, nell’adottando codice deontologico, una norma che statuisca la facoltà di rilasciare una informativa semplificata rispetto all’obbligo di cui all’art. 13 del Codice privacy nonché individuati casi ulteriori, rispetto a quanto già previsto nel menzionato art. 13 del Codice, di esonero dell’obbligo di informativa (come ad esempio previsto per i giornalisti nei casi in cui la soddisfazione di questo obbligo comporti rischi per l’incolumità della persona o renda altrimenti impossibile la finalità difensiva).
Evidenziati nei termini di cui sopra i rischi dell’attuale assetto normativo e possibili soluzioni legislative che potrebbero essere raccolte nell’adottando codice di deontologia, si ritiene necessario puntualizzare la situazione di diritto allo stato vigente.
3.3 Casi specifici di raccolta dei dati presso il soggetto interessato
Al fine di individuare l’esatta portata dell’obbligo di informativa degli investigatori privati nei confronti dei soggetti interessati, risulta necessario chiarire la terminologia “raccolta di dati presso il soggetto interessato”.
Orbene, la tesi che sembra maggiormente condivisibile consente di ravvisare una raccolta dei dati diretta presso il soggetto interessato qualora le informazioni vengano raccolte da parte dell’investigatore, o dei soggetti che operano per suo conto indipendentemente dalla circostanza che gli stessi siano stati individuati incaricati al trattamento ai sensi dell’art. 30 del Codice privacy o meno, direttamente nei confronti del soggetto investigato, al di là della circostanza che lo stesso ne sia o meno a conoscenza (7).
Una siffatta interpretazione pone problematiche particolari in relazione ai rapporti investigativi che contengono quella tipologia di dati personali costituiti dalle immagini. A tal proposito occorre ricordare, seppur solo in via succinta che la liceità della raccolta della documentazione fotografica (tipica ipotesi di accertamento investigativo finalizzato a verificare l’esistenza di infedeltà coniugali) è subordinata non solo al rispetto della normativa privacy ma anche al rispetto del codice penale in considerazione della circostanza che lo stesso prevede il delitto di interferenza illecita nella vita privata che si integra, secondo le ultime pronunzie della Suprema Corte, anche qualora le foto siano riprese nel luogo di lavoro quand’anche lo stesso sia aperto al pubblico.
Sarebbe, pertanto, opportuno che in sede di redazione del Codice per il trattamento per fini difensivi venga rilasciata una chiara definizione di raccolta dei dati presso i soggetti interessati anche facendo riferimento alle ipotesi maggiormente frequenti nella prassi investigativa (es. infedeltà coniugale, verifica di un sospetto di contraffazione del marchio mediante acquisto del prodotto contraffatto presso il punto vendita).
4 Il diritto di opporsi al trattamento dei dati
Il diritto di opporsi al trattamento dei dati personali è previsto nel Codice privacy (e prima ancora nella legge 675/1996) unicamente nei seguenti casi:
– trattamento eseguito dal Titolare, vale a dire chi decide le finalità e le modalità di trattamento, per il perseguimento di finalità promozionali;
– trattamento illegittimo;
– ipotesi in cui sono stati esauriti gli scopi della raccolta e mancanza di un diritto alla conservazione dei dati.
Al fine di bilanciare il diritto alla riservatezza con il diritto di difesa, entrambi garantiti costituzionalmente, il Codice privacy ha statuito delle limitazioni al primo diritto circoscrivendone la portata temporale.
Il medesimo Codice, all’art. 8, ha previsto la possibilità per il titolare del trattamento, in presenza di esigenze difensive, di non soddisfare le richieste avanzate da parte del soggetto interessato tese ad ottenere:
– la conferma dell’esistenza di dati personali che lo riguardano, la comunicazione in forma intelligibile dei medesimi, della loro origine, della logica e delle finalità su cui si basa il trattamento,
– la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione di legge, compresi quelli di cui non è necessaria la conservazione,
– l’aggiornamento, la rettificazione o l’integrazione dei dati,
– l’attestazione che le operazioni di cui ai precedenti due punti siano state portate a conoscenza di coloro ai quali i dati sono stati comunicati o diffusi.
Nel caso risolto con la sentenza dell’agosto 2005 appare interessante osservare come la Cassazione si sia limitata a pronunziarsi riguardo la riespansione del diritto di opposizione del soggetto interessato, nulla osservando in merito alle condizioni, richieste dalla normativa vigente, ai fini dell’accoglimento della richiesta di opposizione, vale a dire l’esistenza di profili di liceità del trattamento ed il diritto alla conservazione dei dati personali.
In altri termini nulla ha statuito la Cassazione in ordine alla sussistenza o meno, nel caso specifico, dell’obbligo di rilasciare l’informativa al soggetto interessato/investigato oppure sull’obbligo di raccogliere il consenso del soggetto interessato decorso il termine necessario per l’esercizio del diritto di difesa innanzi alle sedi giudiziarie ordinarie o alternative.
Ne consegue che l’unico effetto del principio enunziato dalla Corte di Cassazione è che i soggetti investigati potranno far valere il loro diritto di opposizione al trattamento dei dati anche in presenza di un’esigenza difensiva qualora si sia conclusa l’attività investigativa di raccolta dei dati per detta specifica finalità. In altri termini la domanda di opposizione, in tali casi, dovrà essere dichiarata ammissibile ma resta fermo l’obbligo per il titolare del trattamento di valutarne le condizioni di accoglimento sulle quali i giudici di legittimità nulla hanno statuito.
Appare evidente come l’effettivo esercizio del diritto di opposizione da parte dei soggetti interessati sia condizionato dall’”esistenza” di questi dati, in altri termini nessun diritto di opposizione potrà essere efficacemente esperito laddove si sia proceduto alla cancellazione dei dati, pur nel rispetto della medesima normativa privacy che prevede, tra l’altro, l’obbligo di cancellare i dati dei quali sia stato esaurito lo scopo della raccolta oppure in attuazione di altri obblighi di legge.
5 Conclusioni
La tematica inerente il bilanciamento del diritto alla difesa con il diritto alla privacy impone una celere adozione del Codice deontologico ormai in fase di discussione, da diversi anni, dagli organismi di categoria e dal Garante privacy e sui cui contenuti viene mantenuto il più stretto riserbo.
L’individuazione di un punto di equilibrio tra questi diritti necessita di riferimenti legislativi fermi ed univoci che vadano a delimitare gli interventi giurisprudenziali ispirati a principi personalistico – equitativi ed attualizzino l’esigenza di certezza del diritto che si fa sempre maggiormente pregante.
E. Olimpia Policella – Avvocato in Roma
NOTE
(1) L’art. 135 del Codice privacy recita: 1. Il Garante promuove, ai sensi dell’articolo 12, la sottoscrizione di un codice di deontologia e di buona condotta per il trattamento dei dati personali effettuato per lo svolgimento delle investigazioni difensive di cui alla legge 7 dicembre 2000, n. 397, o per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, in particolare da liberi professionisti o da soggetti che esercitano un’attività di investigazione privata autorizzata in conformità alla legge.
(2) V. Newsletter del Garante per la protezione dei dati personali del 24 febbraio 2006 visionabile sul sito ufficiale dell’Authority,
www.garanteprivacy.it.
(3) L’art. 13 del Codice privacy elenca, al comma 1, gli elementi che debbono essere contenuti in un’informativa affinché la stessa sia idonea ad adempiere il principio di trasparenza nei confronti del soggetto interessato. Il menzionato articolo recita: “1. L’interessato o la persona presso la quale sono raccolti i dati personali sono previamente informati oralmente o per iscritto circa: a) le finalità e le modalità del trattamento cui sono destinati i dati; b) la natura obbligatoria o facoltativa del conferimento dei dati; c) le conseguenze di un eventuale rifiuto di rispondere; d) i soggetti o le categorie di soggetti ai quali i dati personali possono essere comunicati o che possono venirne a conoscenza in qualità di responsabili o incaricati, e l’ambito di diffusione dei dati medesimi; e) i diritti di cui all’articolo 7; f) gli estremi identificativi del titolare e, se designati, del rappresentante nel territorio dello Stato ai sensi dell’articolo 5 e del responsabile. Quando il titolare ha designato più responsabili è indicato almeno uno di essi, indicando il sito della rete di comunicazione o le modalità attraverso le quali è conoscibile in modo agevole l’elenco aggiornato dei responsabili. Quando è stato designato un responsabile per il riscontro all’interessato in caso di esercizio dei diritti di cui all’articolo 7, è indicato tale responsabile”.
(5) L’art. 11 del Codice privacy enunzia i principi di liceità del trattamento dei dati. Esso recita: “1. I dati personali oggetto di trattamento sono: a) trattati in modo lecito e secondo correttezza b) raccolti e registrati per scopi determinati, espliciti e legittimi, ed utilizzati in altre operazioni del trattamento in termini compatibili con tali scopi, c) esatti e, se necessario, aggiornati; d) pertinenti, completi e non eccedenti rispetto alle finalità per le quali sono raccolti o successivamente trattati; e) conservati in una forma che consenta l’identificazione dell’interessato per un periodo di tempo non superiore a quello necessario agli scopi per i quali essi sono stati raccolti o successivamente trattati. 2. I dati personali trattati in violazione della disciplina rilevante in materia di trattamento dei dati personali non possono essere utilizzati”.
(6) L’art. 391 bis del c.p.p., introdotto dalla Legge 397/2000
rubricato (Colloquio, ricezione di dichiarazioni e assunzione di informazioni da parte del difensore) prevede che: “ 1. Salve le incompatibilità previste dall’articolo 197, comma 1, lettere c) e d), per acquisire notizie il difensore, il sostituto, gli investigatori privati autorizzati o i consulenti tecnici possono conferire con le persone in grado di riferire circostanze utili ai fini dell’attività investigativa. In questo caso, l’acquisizione delle notizie avviene attraverso un colloquio non documentato.
2. Il difensore o il sostituto possono inoltre chiedere alle persone di cui al comma 1 una dichiarazione scritta ovvero di rendere informazioni da documentare secondo le modalità previste dall’articolo 391-ter. 3. In ogni caso, il difensore, il sostituto, gli investigatori privati autorizzati o i consulenti tecnici avvertono le persone indicate nel comma 1: a) della propria qualità e dello scopo del colloquio; b) se intendono semplicemente conferire ovvero ricevere dichiarazioni o assumere informazioni indicando, in tal caso, le modalità e la forma di documentazione; c) dell’obbligo di dichiarare se sono sottoposte ad indagini o imputate nello stesso procedimento, in un procedimento connesso o per un reato collegato; d) della facoltà di non rispondere o di non rendere la dichiarazione; e) del divieto di rivelare le domande eventualmente formulate dalla polizia giudiziaria o dal pubblico ministero e le risposte date; f) delle responsabilità penali conseguenti alla falsa dichiarazione. 4. Alle persone già sentite dalla polizia giudiziaria o dal pubblico ministero non possono essere richieste notizie sulle domande formulate o sulle risposte date. 5. Per conferire, ricevere dichiarazioni o assumere informazioni da una persona sottoposta ad indagini o imputata nello stesso procedimento, in un procedimento connesso o per un reato collegato, è dato avviso, almeno ventiquattro ore prima, al suo difensore la cui presenza è necessaria. Se la persona è priva di difensore, il giudice, su richiesta del difensore che procede alle investigazioni, dispone la nomina di un difensore di ufficio ai sensi dell’articolo 97. 6. Le dichiarazioni ricevute e le informazioni assunte in violazione di una delle disposizioni di cui ai commi precedenti non possono essere utilizzate. La violazione di tali disposizioni costituisce illecito disciplinare ed è comunicata dal giudice che procede all’organo titolare del potere disciplinare. 7. Per conferire, ricevere dichiarazioni o assumere informazioni da persona detenuta, il difensore deve munirsi di specifica autorizzazione del giudice che procede nei confronti della stessa, sentiti il suo difensore ed il pubblico ministero. Prima dell’esercizio dell’azione penale l’autorizzazione è data dal giudice per le indagini preliminari. Durante l’esecuzione della pena provvede il magistrato di sorveglianza. 8. All’assunzione di informazioni non possono assistere la persona sottoposta alle indagini, la persona offesa e le altre parti private. 9. Il difensore o il sostituto interrompono l’assunzione di informazioni da parte della persona non imputata ovvero della persona non sottoposta ad indagini, qualora essa renda dichiarazioni dalle quali emergano indizi di reità a suo carico. Le precedenti dichiarazioni non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese. 10. Quando la persona in grado di riferire circostanze utili ai fini dell’attività investigativa abbia esercitato la facoltà di cui alla lettera d) del comma 3, il pubblico ministero, su richiesta del difensore, ne dispone l’audizione che fissa entro sette giorni dalla richiesta medesima. Tale disposizione non si applica nei confronti delle persone sottoposte ad indagini o imputate nello stesso procedimento e nei confronti delle persone sottoposte ad indagini o imputate in un diverso procedimento nelle ipotesi previste dall’articolo 210. L’audizione si svolge alla presenza del difensore che per primo formula le domande. Anche con riferimento alle informazioni richieste dal difensore si applicano le disposizioni dell’articolo 362. 11. Il difensore, in alternativa all’audizione di cui al comma 10, può chiedere che si proceda con incidente probatorio all’assunzione della testimonianza o all’esame della persona che abbia esercitato la facoltà di cui alla lettera d) del comma 3, anche al di fuori delle ipotesi previste dall’articolo 392, comma 1.
(7) L’art. 30 del Codice privacy stabilisce l’obbligo di individuare gli Incaricati al trattamento e recita: “1. Le operazioni di trattamento possono essere effettuate solo da incaricati che operano sotto la diretta autorità del titolare o del responsabile, attenendosi alle istruzioni impartite. 2. La designazione è effettuata per iscritto e individua puntualmente l’ambito del trattamento consentito. Si considera tale anche la documentata preposizione della persona fisica ad una unità per la quale è individuato, per iscritto, l’ambito del trattamento consentito agli addetti all’unità medesima”.
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