Affido congiunto, affido condiviso, obbligo di contribuzione al mantenimento dei figli.

 
Con l’approvazione della legge 8 febbraio 2006 n. 54 l’ Italia si è adeguata alla normativa della maggior parte dei paesi Europei, nonché alla Convenzione sui diritti del fanciullo sottoscritta a New York il 20 Novembre 1989, introducendo l’istituto dell’affido condiviso fondato sul principio della c.d. bigenitorialità.
Viene abbandonato l’attuale sistema monogenitoriale – che finiva per comprimere ingiustificatamente la partecipazione del genitore non affidatario alla vita dei figli – a favore di un nuovo modello che, invece, tende a garantire ed agevolare la prosecuzione del rapporto genitore-figli così com’era in costanza di matrimonio.
L’affido condiviso, come tutti gli istituti giuridici che debbono poi trovare applicazione pratica, presta il fianco a numerose questioni e dubbi di natura interpretativa.
In questa sede, si intende affrontare, nello specifico, le problematiche riguardanti le modalità di adempimento dell’obbligo di mantenimento dei figli alla luce della nuova normativa.
In tal senso, una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 18187/2006 – giunta agli onori della cronaca per la celebrità delle parti coinvolte – fornisce degli importanti spunti interpretavi con riferimento a questo nuovo istituto.
La ricorribilità per Cassazione dei provvedimenti in merito alla prole
In via preliminare, la sentenza n. 18187/2006 detta un principio fondamentale in merito alla ricorribilità per Cassazione ex art. 111 Cost., dei provvedimenti resi in sede di modifica delle condizioni di separazione riguardanti l’affidamento ed i rapporti dei figli con il genitore non affidatario (oltre che il loro mantenimento).
Il Collegio ha dichiarato espressamente di essersi voluto conformare all’orientamento consolidatosi con le recenti pronunce della medesima Corte di legittimità (Cass. 30/12/2004 n. 24265; Cass. 04/02/2005 n. 2348), secondo il quale i provvedimenti riguardanti i figli ed emanati ai sensi ai sensi dell’art. 155 c.c., seppure emessi in forma camerale e dunque non impugnabili ex art. 360 c.p.c., hanno natura sostanziale di sentenza, con carattere decisorio e definitivo.
Dunque, la S.C. ha respinto, espressamente, il più datato indirizzo giurisprudenziale (Cass. 9482/02; Cass. 8046/98; Cass. 8495/97) che – operando una distinzione tra provvedimenti di separazione che incidono sui rapporti patrimoniali tra coniugi, immodificabili e definitivi, e provvedimenti riguardanti i figli, privi di tali caratteristiche – escludeva la ricorribilità per Cassazione di questi ultimi.
Ne consegue che, in forza del nuovo orientamento, si può ricorrere in via straordinaria ex art. 111 Cost. avanti alla Suprema Corte di Cassazione contro il decreto di Corte d’Appello contenente direttive riguardo i figli, facendo valere, ovviamente, solo ed esclusivamente censure di legge.
L’inosservanza dell’obbligo di motivazione potrà essere eccepito solo in caso di motivazione inesistente, meramente apparente o palesemente illogica, tale da non consentire l’individuazione della ratio decidendi.
 
La sentenza 18187/06, come già accennato in apertura, fornisce agli interpreti del diritto delle direttive fondamentali con riferimento al nuovo istituto dell’affidamento condiviso dei figli, introdotto dalla legge 8 febbraio 2006 n. 54.
Il Collegio, infatti, censura la decisione della Corte territoriale che, attribuendo una valenza patrimoniale all’affidamento congiunto, fa gravare l’onere di provvedere ai bisogni della prole paritariamente sui genitori.
Secondo la S.C. la decisione sull’affidamento congiunto – “non sindacabile in Cassazione, sempre che la relativa scelta, oltre che essere logicamente e sufficientemente motivata, non si disancori dal parametro di valutazione del sereno sviluppo del minore” – deve essere svincolata da considerazioni di ordine economico.
Ciò significa, dice la Corte, che l’affidamento congiunto ove disposto non comporta necessariamente un “pari” obbligo patrimoniale a carico dei figli, nel senso che ciascun genitore è tenuto a provvedere autonomamente e direttamente al loro mantenimento.
La Cassazione intende quindi operare una distinzione netta tra i due profili di interesse del minore: quello “esistenziale”, cui attiene l’affidamento congiunto, e quello strettamente economico, concernente anche il rapporto patrimoniale tra i due genitori e disciplinato dall’art. 144, comma 4, C.C., in forza del quale “salvo accordi diversi liberamente scritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito”.
Ne deriva, pertanto, che l’istituto dell’affidamento congiunto non può escludere in via automatica l’obbligo del versamento di un contributo a favore del genitore presso il quale materialmente i figli vivono.
La S.C. detta questo principio interpretando quanto disposto dall’art. 6 della legge n. 898/70 (come modificato dall’art. 11 della legge 78/87) – applicabile in via analogica alla separazione – in tema, per l’appunto di affidamento congiunto o alternato, essendo la decisione impugnata precedente alla nuova legge 54/06 in tema di affido condiviso.
Sul punto, però, il supremo organo di legittimità pone espressamente l’accento sul parallelismo esistente tra il vecchio affidamento congiunto ed il nuovo affido condiviso.
Secondo la Cassazione, infatti, la recente legge n. 54/06, introducendo il c.d. principio della bigenitorialità, ha inteso privilegiare l’interesse “esistenziale” del minore, prescindendo sia dal rapporto patrimoniale intercorrente tra i due ex coniugi, sia dagli aspetti economici riguardanti la vita del minore, autonomamente disciplinati dall’art. 155, comma 4, C.C..
Questa, secondo la Corte, è “la definitiva conferma che l’affidamento congiunto non può far venire meno l’obbligo patrimoniale di uno dei genitore a contribuire con la corresponsione di un assegno al mantenimento dei figli in relazione alle loro esigenze di vita, sulla base del contesto familiare e sociale di appartenenza.”
Il contributo di mantenimento ex art. 155, 4 comma C.C.
Per quanto concerne il profilo economico-assistenziale dell’interesse del minore, l’art. 155, 4 comma, C.C. stabilisce che “salvo accordidiversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei coniugi provvede al mantenimento figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità da determinarsi considerando:
1)     le attuali esigenze del flglio;
2)     il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori;
3)     i tempi di permanenza presso ciascun genitore;
4)     le risorse economiche di entrambi i genitori;
5)     la valenza economica di entrambi i coniugi.”
Il Legislatore ha, quindi, riconosciuto alle parti maggiore autonomia, consentendo ai genitori, ex coniugi, di stipulare e sottoscrivere un accordo volto a regolare gli aspetti meramente economici del loro rapporto con la prole.
In tal caso, infatti, il giudice dovrà esclusivamente verificare la corrispondenza tra il contenuto di tali pattuizioni e l’interesse prevalente preminente dei figli.
Diversamente, se i coniugi non riuscissero a raggiungere un’ intesa in merito, sarà allora compito del giudice, come in passato avveniva di norma, a fissare un assegno perequativo, in conformità con i parametri dettati dal citato articolo.
Conclusioni
La sentenza 18187/06 della Corte di Cassazione Civile fornisce agli interpreti ed operatori del diritto degli strumenti di fondamentale importanza che, se adeguatamente e correttamente utilizzati, garantiranno la corretta applicazione della nuova legge sull’affido condiviso.
 
Dott.ssa Federica Malagesi
 

Malagesi Federica

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