1. I servizi sportivi. Servizi a rilevanza economica o privi. Un caso di dubbia collocazione
Un caso emblematicodi servizi aventi una disciplina speciale e secondo un orientamento giurisprudenziale privi di rilevanza economica mentre secondo recenti tendenze aventi rilievo economico in presenza di determinate condizioni, riguarda i servizi sportivi ambito nel quale vi è la tendenza a garantire forme privilegiate di affidamento diretto mediante stipula di una convenzione con le associazioni sportive in linea con l’art.35 Legge 448/2001
[1] . Tale orientamento risulta confermato dalla norma introdotta dall’art. 90, comma 25, della legge finanziaria 2003 che prevede che
“nei casi in cui l’ente pubblico territoriale non intenda gestire direttamente gli impianti sportivi, la gestione è affidata in via preferenziale a società e associazioni dilettantistiche, enti di promozione sportiva, discipline sportive associate e Federazioni sportive nazionali, sulla base di convenzioni che stabiliscono i criteri d’uso e previa determinazione di criteri generali e obiettivi per l’individuazione dei soggetti affidatari” così statuendo la norma viene a colmare il vuoto normativo precedentemente esistente.
Sulla natura di concessione di pubblico servizio dell’affidamento della gestione di impianti sportivi comunali, e sull’obbligo di indire procedure selettive per la scelta del concessionario improntate ai principi comunitari è intervenuta una importante sentenza del TAR Lombardia Milano Sez III, 20/12/2005 n.5633
[2] dalla quale emerge la qualifica di servizio pubblico e la rilevanza economica della gestione di impianti sportivi comunali. Ciò conferma che la classificazione del servizio nell’ambito delle attività prive di rilevanza economica dovrà essere valutata nel singolo caso concreto non potendosi trarre una conclusione definitiva univoca.
2. Il caso dei servizi culturali: valorizzazioneprogettazione, conservazione e manutenzione dei beni culturali
Ancora in materia di servizi culturali che non rientrerebbero nei servizi a rilevanza economica ma piuttosto in quelli privi di rilevanza economica ma che sarebbero dotati di una specifica disciplina prevalente sull’art.113 bis del Dlgs 267/2000 quando era vigente (ora abrogato dalla sentenza della Corte Costituzionale 272/2004), possiamo trarre le medesime conclusioni dei servizi sportivi sulla base del recente entrata in vigore del Codice dei beni culturali e del paesaggio, approvato con Decreto legislativo n.42 del 22 gennaio 2004
[3]
La giurisprudenza amministrativa e la sentenza Corte Costituzionale 272/2004 ancor prima hanno ribadito cosa debba intendersi per servizi privi di rilevanza economica richiamando il Libro Verde del 2003 (v.sentenza 272/2004 già cit.) A questo proposito la Commissione europea, nel «Libro verde sui servizi di interesse generale» (COM-2003-270) del 21 maggio 2003, ha affermato che le norme sulla concorrenza si applicano soltanto alle attività economiche, tuttavia dato il carattere dinamico ed evolutivo della distinzione tra attività economiche e non economiche non sarebbe possibile fissare a priori un elenco definitivo dei servizi di interesse generale di natura «non economica»”dovrà essere il giudice nazionale a valutare “circostanze e condizioni in cui il servizio viene prestato, tenendo conto, in particolare, dell’assenza di uno scopo precipuamente lucrativo, della mancata assunzione dei rischi connessi a tale attività ed anche dell’eventuale finanziamento pubblico dell’attività in questione (Corte di giustizia C.E., sentenza 22 maggio 2003, causa 18/2001).” e (c.f.r. sentenza Corte Cost. 272/2004).
Inoltre, prosegue il TARLazio “In tale contesto, il legislatore nazionale ha emanato l’art. 113 bis del T.U. degli enti locali che avrebbe potuto avere una sua rilevanza rispetto al caso di specie soltanto in assenza di una disciplina speciale di settore”. E ancora precisa il giudice laziale “Tale evenienza invece si desume,, proprio dall’emanazione del citato D.Lgs. n. 42 del 2004 che ha assegnato alle attività di valorizzazione del patrimonio culturale di cui all’art. 6 ed alle attività connesse di cui all’art. 117 una valenza essenzialmente pubblica, più che economica e concorrenziale”.(TAR Lazio, sez. II, 17/11/2005 n. 11741).
In merito alle modalità di gestione l’articolo 115 del Codice dei bei culturali, infatti, prevede due distinte forme di gestione delle attività di valorizzazione del patrimonio culturale nazionale ad opera della pubblica amministrazione: la prima in forma diretta e la seconda in forma indiretta.
La normativa (art.6, art.115, art.117 Codice dei beni culturali, D.lgs 22.1.2004 n.42 Codice dei beni culturali) non fa altro che attribuire agli enti pubblici territoriali la facoltà di ricorrere ad una pluralità di modelli di gestione diretta ed indiretta per la organizzazione delle attività di valorizzazione di beni culturali, già definite dai primi osservatori come costituenti il "servizio pubblico della valorizzazione". In questo modo per la valorizzazione viene introdotta una disciplina speciale, integrativa di quella generale dei servizi pubblici per costituire un unicum rispetto alla gestione del patrimonio pubblico, privilegiando la partecipazione del privato e le forme associate a prevalenza pubblica, ammettendo affidamenti diretti in house o alternativamente indiretti attraverso la concessione a terzi, nel rispetto della concorrenza ma anche della convenienza economica, ma soprattutto progettuale con ampi margini di discrezionalità amministrativa in capo al titolare del bene, per garantire il profitto in termini di efficacia ed efficienza, di mezzi, di metodi e di tempi.
Riguardo proprio alla valorizzazione è intervenuto recentemente il TAR Lazio, sez. II, 23/8/2006 n. 7373 riconoscendo la natura di servizi a rilevanza economica dei restauri e della valorizzazione e promozione dei beni culturali ed ha ribadito che in tale settore l’affidamento in house può concernere soltanto il servizio relativo alla valorizzazione.
Infatti il TAR Lazio ha sancito che ”Il settore dei restauri e quello della valorizzazione e promozione dei beni culturali costituiscono servizi a rilevanza economica, secondo la regola evincibile dalle norme comunitarie e nazionali. Una società in house dei servizi di progettazione, conservazione, manutenzione, documentazione e catalogazione dei beni culturali aggira le regole dell’evidenza pubblica di cui agli artt. 1 e 7 del Dlg 30/2004, forzando le norme ex artt. 6, 101 e 117 del Dlg 42/2004”
Aggiungeil TAR” L’art. 113, c. 5, lett. c) del Dlg 267/2000 consente sì l’erogazione del servizio pubblico con l’affidamento in house, ma nel rispetto delle normative di settore che, dunque, dettano il contenuto ed i limiti del servizio da erogare in tal modo. Dal canto suo, l’art. 115, c. 3, lett. a) del Dlg 42/2004 riguarda non tutte le possibili competenze in tema di beni culturali, ma solo le attività di valorizzazione degli stessi, secondo le regole, per vero assai generali e programmatiche, di cui ai precedenti artt. 6 e 112”
In definitiva secondo il Giudice amministrativo “
L’affidamento diretto non può dunque che concernere il servizio relativo alla valorizzazione, non anche, in difetto di specifiche ed inequivocabili norme derogatrici, le attività di progettazione, conservazione e manutenzione. Ove tali attività non siano sicuramente ascrivibili alla valorizzazione, il concetto di quest’ultima, essenzialmente rivolta alla promozione ed al sostegno degli interventi di conservazione del patrimonio culturale, non può esser dilatato in via di mera interpretazione fino a comprendere istituti di altre normative inderogabili” (TAR Lazio, sez. II, 23/8/2006 n. 7373)
[4]
La gestione indiretta, contravvenendo al disposto dell’art.113 bis ( ora abrogato dalla Sent Corte Cost 272/2004 ) e alla regola generale considerata prioritaria rispetto ad altre scelte indicate dal Legislatore nel TUEL (art.113 del Dlgs 267/2000) a condizione sempre che l’Ente affidante si avvalga di soggetti che presentino una quota di partecipazione congiunta o integrata dell’amministrazione a cui il bene culturale appartiene e non necessariamente totalmente pubblica e non necessariamente il socio di minoranza deve essere scelto con la procedura ad evidenza pubblica. I criteri prevalenti sono la pertinenza del bene di rilevanza storico artistico e la partecipazione dell’amministrazione interessata in misura prevalente in modo da assicurare il controllo sull’utilizzo del o dei beni culturali, di rilevanza storico artistica.
A conferma delle conclusioni tratte vale la pena ricordare che g
li enti pubblici territoriali ordinariamente ricorrono alla gestione in forma indiretta attraverso soggetti a prevalente partecipazione pubblica salvo che, per le modeste dimensioni o per opportuna la gestione in forma diretta mentre non viene utilizzato lo schema della concessione a terzi[5].
Questa modalità di gestione diretta viene svolta mediante strutture organizzative interne alle amministrazioni come se fossero una longa manus della amministrazione con adeguata autonomia scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile e provvista di idoneo personale tecnico.
La disciplina dettata per i servizi culturali quindi richiama il modello degli affidamenti in house, a favore di un soggetto che sia parte della stessa amministrazione aggiudicataria e deroga alle procedure di evidenza pubblica prescritte dalle disposizioni comunitarie per i servizi di interesse economico generale.
La gestione in forma indiretta si attua attraverso un affidamento diretto a istituzioni, fondazioni, associazioni, consorzi, società di capitali o altri soggetti, costituiti o partecipati, in misura prevalente, dall’amministrazione pubblica alla quale appartengono i beni; ovvero concessione a terzi, in base ai criteri indicati ai commi 4 e 5 del Codice dei beni culturali.
Viene rispettato il principio di sussidiarietà come principio comportamentale tra enti locali e collettività rivolto alla partecipazione di più soggetti alla realizzazione dell’interesse pubblico: anzi il titolare dell’attività può partecipare al patrimonio o al capitale dei soggetti sopra indicati (e previsti al comma 3, lettera a) art.115 del Codice dei beni culturali, anche con il conferimento in uso del bene culturale oggetto di valorizzazione.
In conclusione la scelta della forma di gestione è rimessa all’Ente locale che dovrà operare nel rispetto della normativa di settore-locale e dovrà mirare ad assicurare un adeguato livello di valorizzazione dei beni culturali. Questi si pongono come un limite invalicabile al corretto e conveniente uso delle risorse pubbliche, con la finalità di consentire un utilizzo dei beni a rilevanza culturale e storico artistica che favorisca il recupero, la promozione, il mantenimento del patrimonio culturale in uno stato di efficienza e di efficace disponibilità sia nel presente che nel futuro e preservi l’integrità storica e fisica dello stesso bene.
Per queste ragioni di opportunità e di corretto utilizzo della res pubblica la scelta di gestione dovrà avvenire tra le due forme di gestione di cui alla lettere a) e b) articolo 115 del Codice dei Beni Culturali, (Decreto legislativo n. 42 del 22 gennaio 2004) è sarà attuata previa valutazione comparativa in base ai parametri sopra descritti, e in relazione agli obiettivi prefissati e ai relativi mezzi proposti, ai metodi ed ai tempi convenuti.
Lo strumento convenzionale nelle attività culturali è maggiormente utilizzato ed è sempre congegnato in modo da rispettare il principio di sussidiarietà.
In relazione agli strumenti proposti si fa soprattutto ricorso alla convenzione che è un atto che trova legittimazione anche nella previsione del comma 7 art. 115 del Codice beni culturali dove viene riconosciuta la facoltà di disporre l’affidamento o la concessione in modo congiunto ed integrato purchè vi sia un accordo precedente a monte dell’operazione tra i titolari delle attività di valorizzazione.
Infine in tutti i casi che restano esclusi si potrà ricorrere al contratto di servizio che dovrà regolare il rapporto tra il titolare dell’attività o servizio e l’affidatario od il concessionario.
3. Servizi non a rilevanza economica: Il caso dei servizi sociali e culturali
Sempre in tema di servizi sociali, infine, il DPCM 30 marzo 2000, codifica all’articolo 3 lo strumento classico della convenzione per la regolamentazione dei rapporti tra enti locali e terzo settore e dispone (articolo 4), espressamente dettato per i Comuni, i criteri di selezionamento dei soggetti privati, cui affidare i servizi (la formazione, la qualificazione e l’esperienza del personale coinvolto e l’esperienza maturata nel settore di riferimento), prevedendo puntualmente le modalità di aggiudicazione dei servizi che terranno conto di elementi qualitativi individuati nel contenimento del turn over degli operatori e negli strumenti di organizzazione del lavoro, nella conoscenza dei problemi del territorio e delle risorse sociali della comunità e nel rispetto dei contratti collettivi nazionali di categoria.
Dopo poco tempo dalla riforma della normativa di fine del 2003 , visto che gli articoli 113 e 113 bis Dlgs 267/2000 sono stati rispettivamente riformulati (113) e cadutati (113 bis) dalla Corte Costituzionale con la sentenza 272/2004, vengono fatte salve le disposizioni previste dalle discipline di settore e tutto lascia intuire che in futuro gli enti locali preferiranno abbandonare i modelli contenuti nel quadro legislativo generale, troppo rigido e in alcuni casi contraddittorio, e preferire le soluzioni organizzative fornite dalle discipline dei singoli settori in cui si può manifestare l’intervento pubblico che si presentano più snelle e pratiche.
Assistiamo ad una separazione tra servizi a rilevanza economica e privi della rilevanza economica sotto il profilo della normativa applicabile con forti spiragli per interventi legislativi regionali e quindi più aderenti alle esigenze della collettività locale con la probabile previsione della emanazione di differenti discipline regionali per settori magari identici o simili o affini in Regioni diverse.
In questo quadro da un lato si presenta il rischio di moltiplicare le discipline settoriali ognuna per singola regione nel rispetto delle specifiche esigenze della collettività del posto ma dall’altro un rischio di aumentare eccessivamente le discipline sui servizi privi di rilevanza economica.
di Luisa Capicotto Avvocato
Dottore di ricerca diritto Pubbl. dell’Economia e delle imprese
-Università di Pisa
socio AGEIE
[1] Questa tendenza di garantire forme privilegiate di affidamento diretto, alle associazioni sportive era stata confermata dal testo redatto dal comitato ristretto della VII Commissione Permanente del Parlamento in data 12.3.1998, il cui art. 8 come sottotitolo aveva “
gestione degli impianti sportivi” ed affida ancora la gestione degli impianti “in via prioritaria a società o associazioni sportive dilettantistiche, sulla base di convenzioni che ne stabiliscono i criteri d’uso, e previa determinazione di criteri generali ed obiettivi per la individuazione dei soggetti affidatari”
[2] Precisa il TAR Milano che “
La fattispecie avente ad oggetto l’affidamento a terzi del centro sportivo comunale, nella quale i costi sostenuti dal gestore del centro sportivo sono a carico dell’affidatario il quale potrà contare sui proventi derivanti dall’esercizio commerciale (bar) presente nell’impianto rientra nell’istituto della concessione in quanto: una parte del rapporto è rappresentato da un ente pubblico che è titolare del bene e responsabile in via diretta del servizio da affidare in gestione; l’alea relativa alla gestione viene trasferita al concessionario che si assume il "rischio economico" nel senso che la sua remunerazione dipende strettamente dai proventi che potrà trarre dall’utilizzo del bene.
In particolare, si tratta di concessione di pubblico servizio posto che, sul piano oggettivo, per pubblico servizio deve intendersi un’attività economica esercitata per erogare prestazioni volte a soddisfare bisogni collettivi ritenuti indispensabili in un determinato contesto sociale (cfr., in termini generali, Cons St., sez. IV, 29 novembre 2000, n. 6325 e Cons. St., sez. VI, n. 1514/2001).
Anche nel caso di concessioni pubbliche, per la scelta del concessionario è necessario ricorrere a procedure selettive in grado di garantire trasparenza (anche attraverso un’adeguata pubblicità), imparzialità e parità di trattamento. L’obbligo di dare corpo a forme idonee di pubblicità deriva in via diretta dai principi del Trattato dell’Unione Europea, direttamente applicabili a prescindere dalla ricorrenza di specifiche norme comunitarie o interne.
La norma contenuta nell’art. 90, comma 25, della n. 289/2002 secondo cui "…nei casi in cui l’ente pubblico territoriale non intenda gestire direttamente gli impianti sportivi, la gestione è affidata in via preferenziale a società e associazioni sportive dilettantistiche, enti di promozione sportiva, discipline sportive associate e Federazioni sportive nazionali, sulla base di convenzioni che ne stabiliscono i criteri d’uso e previa determinazione di criteri generali e obiettivi per l’individuazione dei soggetti affidatari…", non esclude affatto che l’amministrazione sia tenuta ad indire una procedura selettiva improntata ai principi di trasparenza, non discriminazione e parità di trattamento e ciò risulta confermato dal contenuto della stessa disposizione citata secondo cui l’ente territoriale, nell’affidare la gestione degli impianti in argomento, deve comunque predeterminare criteri per l’individuazione degli affidatari”.
[3] D.Lgs. n. 42 del 2004, recante il “Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137”
[4] Interessante sempre in merito alla specialità della disciplina dettata dal Codice dei beni culturali e alla prevalenza di essa rispetto all’art.113 TUEL è una decisione del medesimo TAR Lazio in cui il Giudice amministrativo ritiene
“legittima l’operazione del Comune di Roma di acquisire il 75% del capitale sociale di una società, e l’affidamento alla stessa, ai sensi del combinato disposto degli artt. 6, 115, c. 6, e 117 del Codice dei beni Culturali, dei servizi e delle attività di valorizzazione del "Sistema dei Musei Civici di Roma". (TAR Lazio sez. II 17.11.05 n.11741); fonti giurisprudenziali reperibili sul sito www.lexitalia.it; Espressamente il TAR afferma”
L’art. 115 del D.Lgs. 22 gennaio 2004 n. 42, Codice dei Beni Culturali qualificabile come lex specialis rispetto al T.U. sull’ordinamento degli enti locali, al c. 3 (forme di gestione indiretta), lett. a), prevede l’"
affidamento diretto a istituzioni, fondazioni, associazioni, consorzi, società di capitali o altri soggetti, costituiti o partecipati, in misura prevalente, dall’amministrazione pubblica cui i beni pertengono". Si tratterebbe di una clausola aperta che il legislatore ha inserito nella disposizione citata che descrive la tipologia organizzativa utilizzabile e pone come unica condizione quella della partecipazione in misura prevalente da parte dell’amministrazione alla quale i beni appartengono.
Pertanto,
nel menzionare le società o gli altri soggetti essa non impone la selezione del socio di minoranza mediante procedure ad evidenza pubblica, considerando invece quale criterio rilevante quello della pertinenza dei beni e quello della partecipazione prevalente da parte dell’amministrazioni interessate garantendo in tal modo il controllo sull’uso del bene connotato da una certa rilevanza culturale ed artistica (….) La disposizione non impone l’osservanza di procedure di evidenza pubblica con riferimento alle modalità di gestione indicate nella predetta lettera a) e questo
implica la precisa volontà del legislatore di consentire un affidamento diretto ad una società mista in cui il socio di minoranza non viene scelto mediante procedure predeterminate.
[5] S. Foà,
Gestione e alienazione dei beni culturali, 30 ss citato in G.Piperata,
I servizi culturali nel nuovo ordinamento dei servizi degli enti locali,in
www.aedon.mulino.it, cit.
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