Una risposta efficace per l’autore e la vittima del reato, repressione e mediazione nella societa’ contemporanea

Scarica PDF Stampa
I modelli penali – la pretesa punitiva dello Stato ed il danno conseguente al reato subito dalla vittima e dalla società, in un percorso storico analizzato con i criteri dell’efficacia e della deterrenza.
 
         Dopo aver affrontato il modello penale a cui fa ancora riferimento il nostro sistema penale generale, il sistema punitivo-retributivo, al quale si ispira il “Codice Rocco” che, sebbene sia nato nell’epoca fascista, costituisce ancora il Codice Penale vigente nel nostro Stato, valuteremo in questa parte tutte le criticità.
 
         Estenderemo quindi l’analisi agli altri sistemi penali, che sono stati peraltro recepiti in campi specifici, come ad esempio il sistema penale minorile, oppure in riforme normative che, sempre più, si orientano dalla semplice pena alla mediazione.
 
GLI ELEMENTI DI CRITICITA’ DEL MODELLO PUNITIVO RETRIBUTIVO
 
         Il modello punitivo retributivo solleva diversi interrogativi ed accesi dibattiti, troppo spesso politicizzati, benché la problematica della sicurezza richiederebbe un dibattito sereno su basi tecniche scientifiche che tengano conto tanto degli aspetti giuridici e sociologici, quanto dei risultati concreti dell’esperienza nazionale ed internazionale sull’applicazione di questo modello sanzionatorio penale.
 
         Tralasciando le considerazioni etiche sull’accettabilità, in una moderna e civile democrazia, di un sistema freddamente retributivo che, applicando una sorta di ragioneria punitiva, si limiti ad erogare punizioni rispondendo al male con il male, alla violazione della libertà della vittima del reato con la carcerazione del reo. I più attivi sostenitori di questo sistema in molti casi arrivano a concepire anche una risposta violenta alla violenza, prevedendo persino la pena di morte, com’è il caso non solo dei paesi c.d. “in via di sviluppo” ma anche degli Stati Uniti, che nell’applicazione più estesa di questo sistema rendono evanescente il confine tra giustizia e vendetta.      
 
         I dubbi sul sistema punitivo retributivo si concentrano anche e soprattutto sulla validità deterrente generale e particolare di questo modello e sull’efficacia nei confronti della società e della vittima.
 
DETERRENZA GENERALE E PARTICOLARE DEL MODELLO RETRIBUTIVO
         Partendo dalla funzione deterrente generale e particolare si deve osservare che in molti casi ed in molte nazioni lo Stato risponde alle richieste di sicurezza dei suoi cittadini ed all’allarme sociale con l’inasprimento della risposta sanzionatoria penale. Questa costituisce la più antica e simbolica risposta ad un bisogno emotivo di punizione suscitato da episodi allarmanti o da crimini efferati.
 
         Tuttavia l’esperienza nazionale ed internazionale dei “pacchetti-sicurezza” e delle politiche di “tolleranza zero” sono risultati deludenti, ed è curioso osservare che stati che hanno attuato politiche di repressione dura e violenta, pena di morte, lunghe pene detentive ed ampio ricorso all’ergastolo, automatismi delle aggravanti, pene esclusivamente carcerarie, hanno ottenuto risultati oggettivamente deludenti.
 
         Si pensi ad esempio agli Stati Uniti, è noto che in questo paese il livello di criminalità è marcatamente superiore a quello europeo. In realtà, come aveva ben osservato Cesare Beccaria diversi secoli addietro, il maggiore rigorismo repressivo, lungi dall’assicurare un minor livello di criminalità, è nel migliore dei casi inutile, nel peggiore addirittura criminogeno.
 
         Simili strumenti finiscono con il diventare l’ennesimo, consueto, non più credibile, modo di dare una parvenza di garanzia di sicurezza, lasciando invece tragicamente le cose come stanno fino al successivo atto delittuoso che determina ulteriori inasprimenti in un circolo vizioso fallimentare, inefficiente, inefficace e sempre più in contrasto con i principi di civiltà e democrazia.      
 
         Superando la demagogia e del falso buonismo, la repressione non conviene e non è utile.
 
         La sicurezza non si ottiene solo attraverso le pene e tanto meno con pene severe, ma agendo dapprima sui fattori criminogenetici, attraverso adeguate politiche sociali, educative, occupazionali, migratorie, contemporaneamente a sistemi e percorsi motivazionali che operino un percorso di responsabilizzazione del reo e lo reinseriscano concretamente nella società, offrendogli una vera alternativa al crimine e non “l’università del crimine” qual è il carcere, dal quale molto spesso si entra colpevoli e si esce criminali.
 
INEFFICACIA DEL SISTEMA RETRIBUTIVO NEI CONFRONTI DELLA SOCIETA’ ED ANCHE DELLA VITTIMA
 
         Molti studi europei e statunitensi hanno dimostrato come la collettività preferisca all’inflizione di una pena un impegno significativo e autonomo di responsabilizzazione e riparazione.
 
         La domanda della vittima, infatti, non riguarda la punizione del colpevole, ma l’affermazione che l’atto offensivo subito non sarebbe mai dovuto accadere e non dovrà mai più accadere.
 
         In sostanza la vittima non è risarcita dalla pena poiché il male subito dal colpevole non compensa il male subito dalla vittima, e non gli restituisce ciò che gli è stato tolto in termini di libertà, diritti, affetti, sentimenti. È evidente che la carcerazione del criminale non potrà restituire la vita a chi è stata tolta, ad esempio, ma non potrà neanche rendere più accettabile la perdita di un congiunto ai familiari, che non riusciranno mai a trovare un significato alla perdita subita.
 
         Quindi anche gli studi sulla vittimologia evidenziano chiaramente una richiesta di riparazione più che di vendetta. I paradigmi vendicativi soffocano le reali domande di giustizia delle vittime e della società civile; l’unico intervento progettato dallo Stato per la collettività si esaurisce nel vuoto e nella sterilità della condanna, separando il reo dal vivere sociale.
 
         Peraltro anche il senso di sicurezza della vittima e della società, leso dal reato, non è ristabilito dalla pena, che spesso innesca un inutile e pericoloso circolo vizioso di rivalsa e vendetta che anziché esaurire la tensione sociale la acuisce.
 
         La riparazione viceversa consente di intraprendere un percorso di responsabilizzazione del reo, che interrompa il circolo della violenza, con beneficio della vittima e della società, e consente alla parte offesa dal reato di dare un senso ed accettare la violenza subita, in un percorso di conciliazione generale con la società e, in alcuni casi, anche con l’autore del reato.
 
IL MODELLO RIEDUCATIVO TRATTAMENTALE
 
         S’ispira al positivismo criminologico e sposta l’attenzione dal fatto all’autore del reato.
 
         L’ordinamento penitenziale attuale, che risale alla Legge 374/75 si può considerare a cavallo tra il modello retributivo ed il modello rieducativo trattamentale.
 
         Infatti, fermo restando che, in ossequio alla disposizione Costituzionale che impone di considerare l’imputato innocente sino alla condanna definitive, nei confronti dei detenuti che scontano pene definitive, sono espressamente previsti trattamenti c.d. “rieducativi” che tendono, anche attraverso i contatti con l’ambiente esterno, al reinserimento sociale degli stessi.
 
         In ogni caso il trattamento è attuato secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti coinvolgendo gli specialisti (psicologi, assistenti sociali) ed anche il mondo del volontariato.
 
         L’ordinamento Penitenziario vigente in parte s’ispira al modello positivista, in particolare nella struttura delle misure di sicurezza che prevedono un meccanismo basato su previsioni del comportamento personale del soggetto in funzione della sua pericolosità sociale.
 
         In questo campo il focus si sposta dal fatto al soggetto, in misura meno garantista della sanzione penale e in ogni caso a prescindere dal fatto che può sottostare alla misura di sicurezza o prescinderne (ad esempio il caso del reato supposto).
 
         Questa stessa impostazione si trova anche nel sistema delle misure cautelari ed in molti istituti del sistema penale minorile, benché la giustizia minorile sia uno dei pochi casi nel nostro ordinamento ispirato principalmente al modello riparativo conciliativo.
 
IL MODELLO RIPARATIVO CONCILIATIVO
 
         È il modello meno presente nel nostro ordinamento. In questo caso il focus si estende oltre il fatto e l’autore del reato per includere la vittima in senso lato e quindi la società. Il modello parte dalla concezione della violazione della norma anche per l’allarme sociale che crea ogni violazione all’ordinamento.
 
         È un modello che difficilmente si può attuare nel chiuso del carcere ma prevede un intervento multifattoriale con la partecipazione di differenti operatori e professionalità.
 
         La parte riparativa può essere separata dall’attività conciliativa che richiede necessariamente la volontaria partecipazione dell’autore del reato ed anche della vittima per la riparazione specifica. La giustizia riparativa è un modo diverso di pensare il rapporto tra le parti (autore e vittima del reato) per tentare di ristabilire un equilibrio o di reintegrare le parti nel processo di riequilibrio conseguente al reato.
 
         In ogni caso non si prescinde dalla sanzione che è una sorta di mandato sociale nei confronti del diritto. Il reato non ha una valenza ontologica ma prettamente convenzionale e d’altronde la sanzione è applicata automaticamente per qualsiasi violazione della legge senza considerazioni etiche e morali.
 
         Questo modello non vuole neanche alleviare la sanzione oppure mutare l’atteggiamento processuale e penitenziario pro reo, ma cerca di trovare delle modalità più efficaci di riequilibrio all’interno della sanzione, preoccupandosi della forma della pena senza minare la certezza della pena.
 
         La pena tuttavia non è solo quella detentiva e quest’ultima non è sempre la più efficace. Quindi una pena più efficace e funzionale è l’alternativa al sistema detentivo classico, che consegue finalità proattive nei confronti dell’intera società.
 
         Se carcere generalmente non fa assumere responsabilità al reo, il modello riparativo si preoccupa proprio di trovare delle modalità di responsabilizzazione e di trasformare il rapporto del criminale con il reato promuovendo una riparazione nei confronti del reato a prescindere dalla conciliazione.
 
         La conciliazione e la mediazione sono aspetti contenuti all’interno dl modello riparativo ma che ne sono distinti e non si fondono con la primaria esigenza di responsabilizzazione nei confronti del reato, percorso che può prescindere o che in alcuni casi non può comunque unirsi con la conciliazione.

Mancini Massimiliano

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento