Pubblicità è Progresso ?
Diciamolo subito: non sempre il rapporto tra Pubblicità e Consumo è negativo. Addirittura si potrebbe arrivare a dire che non sempre le dinamiche della persuasione incidono negativamente su quello che dovrebbe divenire un sviluppo armonico ed omogeneo di un consumo maturo, dove Consumatore e Impresa trovano un reciproco interesse nello scambio efficiente di informazioni.
Torneremo sul punto.
Ci preme, ora, definire la cornice per quello che sarà un quadro visuale: la Comunicazione, quale ponte tra Consumo e Socializzazione.
Troppo spesso si oparla di Comunicazione tra esperti o tra questi e coloro che ne desiderano specificamente parlare. Raramente si propone un ponte, ad esempio, tra Comunicazione e Diritto (
[1]) o tra Comunicazione e Consumo (
[2]).
E’ un po’ come quando si riteneva che Fisica e Economia non potessero tangersi …e poi nacque la Econofisica, quindi addirittura la Neurofisica, ed hanno costituito la base per costruire dei sistemi esperti di controllo e gestione dei flussi finanziari, ovvero per comprendere i meccanismi di attuazione dei comportamenti umani alla base del “conflitto”.
Così, tanto un “contratto”, quanto le merci costituiscono strumenti di Comunicazione e sono Comunicazione essi stessi.
Sull’affermazione che “ogni uomo è un consumatore” non esistono più dubbi, neppure ideologici. Ora, senza addentrarci oltre, non possiamo non notare che il consumo deve costituire un oggetto privilegiato per chi analizza la società ed i suoi meccanismi di funzionamento e ciò anche perché esso – o meglio ciò che rappresenta – non si esaurisce nel mero rapporto tra soggetto e oggetto, ma si connota come un’azione compiuta tra attori sociali (
[3]).
In tale ambito, pertanto, orientare il cittadino “verso un consumo più equo e solidale” può costituire un esempio di finalità d’impresa ad utilità sociale. Indirizzare i consumatori verso acquisti di prodotti non contraffatti, oppure di effettuare uno smaltimento differenziato di rifiuti, possono essere altri esempi di condivisione delle finalità d’impresa. Finalità che rimane pur sempre quella di produrre ricchezza ….ma non più solo per sé.
Virtualità e virtuosismo
In un epoca in cui la distinzione tra “valore d’uso” e “valore di scambio” non ha più senso neppure per definire la nozione di “bene di consumo”, si assiste al sorgere di una sempre maggiore importanza del processo di acquisizione e consumo dei beni immateriali, rispetto a quelli materiali.
Non solo viviamo in un mondo sempre più “virtuale”, ma il valore della stessa merce è soprattutto simbolico, cioè immateriale.
Abbiamo avuto modo di evidenziare come la globalizzazione del mercato sia stata una causa della smonetarizzazione o virtualizzazione dell’economia (
[4]); conseguenze ulteriori sono state l’interconnessione dei rapporti e la standardizzazione dei comportamenti umani. E’ impensabile che il fenomeno “consumo” e la categoria dei “consumatori” non abbiano avuto corrispondenti differienziazioni, inquadrabili e miusurabili sotto vari punti di vista.
Facciamo due esempi: la conciliazione e la tutela dei beni immateriali.
La Conciliazione, nella sua accezione non giuridica, corrisponde ad un’azione – un insieme di possibili strumenti, nella pratica – tesa a diminuire una situazione di contrasto tra interessi, propedeutica alla creazione di una più duratura situazione di conflitto. Orbene, moltissime (ma non troppe) aziende hanno adottato tale via, quale strumento per comunicare il proprio approccio “more friendly” al mercato. In questa situazione, il bene tutelato in concreto risulta essere qualcosa di immateriale, cioè la reputazione.
La tutela dei beni immateriali costituisce un’altra situazione di per sé inquadrabile tra quelle strettamente collegate al fenomeno della globalizzazione: nel momento in cui è cresciuta di importanza la virtualità dei rapporti e la non fisicità dei beni, chiaramente è cresciuta d’importanza la ….ponderabilità dell’imponderabilità, ovvero la concretezza economica di valori. Per rimanere all’esempio precedente: costituisce danno alla persona, non più solo il nocumento alla reputazione (bene peraltro già immateriale) ma anche quello alla capacità di relazione con gli altri.
E allora ?
Vorrei concludere questi brevi spunti richiamando (
[5]) un concetto che ritengo estremamente importante: in una situazione così come quella delineata, diventa fondamentale l’intervento – a livello nazionale – dello Stato che assicuri lo sviluppo di una corretta società del “consumo maturo”.
L’individuo – sempre più un “cittadino e consumatore” – si inserisce in una rete di consumi capaci, da un lato, di rigenerare la domanda e, dall’altro, di incrementare il livello dello stile di vita.
D’altra parte – a livello sovrastatale, comunitario od internazionale che sia – ritengo essenziale studiare e monitorare la crescita di aree economiche omogenee, prevedendo e diminuendone anche la microconflittualità.
[1] Mi permetto di richiamare quanto avevo scritto (CARLI, C.C.,
l’impresa nell’economia e nel diritto dei consumi. Regioni ed autorità indipendenti, tra interessi dei cittadini “consumatori ed utenti” e rappresentatività delle associazioni consumeristiche, in: Impresa, 2004, 2, 266 e C
ARLI, C.C., Appalti e analisi economica. Spunti per un’audit giureconomica dei contratti d’impresa …verso un diritto dettato dall’economia ?, in: La Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, n. 4, luglio/agosto, 2005, p. 173 ss), indicando la forza unificatrice del diritto dei consumatori nei confronti della realtà multigiuridica di livello comunitario ed anche internazionale. In pratica. Lì dove non è riuscita a prudurre effetti concreti la forza di tecniche di “coordinamento” e “armonizzazione”, è riuscito il comune portato – spesso fattuale – delle regole afferenti ai diritti dei consumatori.
[2] Come ricorda MARCELLINI M. nella prefazione a SORICE, M.,
Logiche dell’illogico, Roma, 1995, il consumo si rivela quale dimensione unificante delle società postmoderne. Ed anche … come gigantesca e paradossale agenzia di socializzazione ….. Le logiche apparentemente razionali dell’economia si fondono con i comportamenti dei consumatori reali, apparentemente irrazionali, forse illogici eppure dotati di senso. Non possono bastare i soli strumenti dell’economia, né quelli della sociologia, né quelli della semiotica. C’è bisogno di un approcio pluridisciplinare, pewrsino sincretico, comunque capace di adattare strumenti cognitivi nuovi.
[3] Si v. SORICE, op.cit. Tra i testi ivi citati, richiamo: CASTEGNARO, A.,
I significati dei consumi. Una proposta di riflessione etica e culturale, in: Commissione Pastorale Triveneta per i Problemi Sociali e del Lavoro,
Il prezzo del consumo, ed. Dehoniane, 1994.
[4] V. CARLI, C.C.,
EURO: problematiche generali e strategie fiscali d’impresa. Come tutelare gli interessi comuni nell’area geoeconomica europea ? verso una costituzione comunitaria in materia monetaria ? quali saranno gli scenari per gli operatori ? quale sorte per i paradisi fiscali ?, in: Impresa, 1998, 6, 1272
[5] SORICE, op. cit., p. 17
[6] Giureconomista, specializzato in diritto dei consumatori ed in comunicazione istituzionale.
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